Jan Dix / Jan Pollok. Segni di una Bonelli (im)possibile.




Nei prossimi interventi proporrò alcune mie vecchie schede su Dylan Dog, realizzate negli scorsi anni per interesse personale. Ma voglio iniziare parlando di questo personaggio simbolico dei tentativi di trasformazione della Bonelli di questi anni.


Jan Dix è un nuovo esperimento di Carlo Ambrosini, per dieci anni mentore di Napoleone (1997-2006), sorto in parallelo all'avvio della "decadenza dylaniata" e divenuto - con alti e bassi nei suoi 54 numeri - la testata più sperimentale e onirica del bonelliano. Il merito probabilmente era anche di Bacilieri, che torna anche su questa testata in numeri successivi.

Il limite di Jan Dix è evidente fin dall'editoriale di Bonelli: doveva essere Jan Pollok, viene poi adattato a Dix. Pur nel valore di Otto Dix, caricaturista tedesco graffiante, Ja(ckso)n Pollo(c)k sarebbe stato un riferimento più dirompente.

Possibile il rimando a Philip Rembrandt di Crepax, il fumetto al cui interno emerge Valentina Rosselli, l'elegante fotografa masochista e femminista che ha reso famoso il suo autore. Rembrandt è il suo primo partner, critico d'arte molto simile nell'aspetto a Dix, un po' più solido per il minimo sindacale d'azione che gli spetta in Bonelli). Crepax citava anch'egli i fiamminghi, ma poi riprendeva visualmente l'informale dei suoi '60, dando appunto il la all'antinomia Vermeer/Pollock che Ambrosoli continuava.

Otto Dix è in fondo nobilitante proto-fumetto, specie nel suo lavoro sui giornali; Pollock è l'emblema della non-arte (forse, specie per certi lettori bonelliani, ossessionati dall'arte come "bel disegno" rileccato) unito col massimo emblema dell'"arte" in senso tradizionale, i fiamminghi (così venerati anche dal nostro monregalese Quadrone, iniziatore di una continuità - soprattutto locale ma non solo - del "grande Ottocento" figurativo). Jan Dix funziona come nome "da fumetto" per brevità ed efficacia, ma perde tutto l'ossimoro letterario.

"Jan" rimane così solo riferimento a Jan Vermeer, data l'ambientazione olandese della serie, situata ad Asterdam, e di Pollock resta il quadro citato nella copertina interna: la contrapposizione con la statua classica in primo piano non ha però più un significato forte.

Il protagonista, curioso investigatore-critico d'arte, mi affascina comunque per affinità professionale: il primo eroe Bonelli, tra l'altro, che non è per nulla eroe d'azione (Julia è perlomeno criminologa, quindi comunque investigatrice).

Ambrosini conduce la posta in prima persona, rivolgendosi ai "cari Napoleonici" che spera di ritrovare dal suo vecchio fumetto; uno stile, mi pare, impostato già con Julia di Berardo, che per primo rinuncio alla "posta per ragazzi" tenuta da un personaggio oppure comunque adorabilmente di genere, come su Dylan Dog. Già più asettico Alfacom, su Nathan Never.

Si comincia bene, con una grande splash page bonelliana, continua con due pagine mute, infine due pagine di dialogo con un armadio. A p.9-10, la sequenza è completamente sballata dal cambio nome del protagonista: va letta pensandolo Jan Pollok.

Perfino il titolo di p.11 ha senso grafico solo con Pollock: la metafora istituita, corretta (l'arte di Pollock come arte del caos informale di ogni esistenza), si perde. Tanto più l'albo uno era ben congegnato da Ambrosini, tanto più il cambio redazionale manda la storia fuori sesto.

Dopo un avvio potente, la storia prosegue piuttosto bonelliana. Il giallo procede su canoni immaginabili: c'è un falso Vermeer fatto benissimo, Jan deve scoprirne l'autenticità. La scelta di non realizzare fumettisticamente il dipinto di Vermeer ma di inserirlo in forma digitalizzata è interessante: un primo livello, potrebbe apparire negativa, potrebbe sembrare ammettere il limite del fumetto nel non poter "dire" il capolavoro della presunta "arte alta": ma il dipinto è forse (si scoprirà di sì) un falso, e quindi la sua "artisticità" è fallace, è (appunto) "fotocopia" inserita nella storia.

Di nuovo, la scelta di Vermeer sarebbe più interessante con Jan Pollok: la Ragazza è il più pop dei quadri di Vermeer, di recente oggetto di un noto romanzo di Tracy Chevalier (1999) e film del 2003, simbolo della "great art" nell'immaginario collettivo. In opposizione alla forza di Pollock sarebbe stata una riflessione anche meta-letteraria sul fumetto stesso: un naturalismo (al suo apice) fiammingo, oppure la forza dell'astrazione moderna come linfa del fumetto?

Il falso probabile è tuttavia perfetto, interessa l'ombroso Jan Dix e lo spinge a Budapest, a seguire la sua personale rapsodia ungherese. Con un abile twist "Alla Colombo", Ambrosini ci svela dunque le origini del quadro e ci palesa subito che è un falso, invece di giocare sull'ambiguità (è vero o no?), lasciandoci nuovamente il dubbio di un salto nel fantastico: è un falso, ma l'autore crede di averlo duplicato.

Conosco a Mondovì (non a caso, data la nostra "quadroniana" tradizione artistica) un pittore così, che si crede Caravaggio redivivo (e non per scherzo). Anche questo artista tutto genio e sregolatezza ha tale convinzioni (p.35) e ci viene lasciato il dubbio "napoleonico" se sia realtà o follia.

La storia prosegue su binari consueti, poi Ambrosini accelera di nuovo con due belle e potenti tavole mute a p.61, con cui ribalta rapidamente e con una certa spietatezza le carte in tavola.

Così tutto va storto, e a p.66-67 ci conferma la novità di Jan Dix: non è un eroe d'azione, come promesso dal suo lavoro di critico d'arte, "investigatore" solo a tavolino.

Inoltre, la discussione con il minibarone Stemaria a p.78 offre tra le righe una considerazione notevole sull'arte, tanto più notevole quanto più in contrasto con l'idea midcult del grande genio. A Dix sicuro della in-duplicabilità di Vermeer Stemaria, cinico, sostiene trattarsi di un mito, il mito dell'unicità dell'artista, che ci illude dell'unicità dell'uomo.

La rivelazione mette in crisi Jan Pollok, gli disvela appunto che non vive nell'unitarietà elegante dell'arte di Jan (Vermeer) ma nell'orrore di Jackson (Pollock). Ripiomba nel sogno (80-81) e finalmente vede la perduta Annika, non più copia ma Ragazza con-turbante realizzata in tratto fumettistico, e quindi qui "vera".

Jan raggiunge finalmente il luogo del pittore (a p.92 si azzarda anche una sequenza "fotografica" che ne mostra i quadri, credo per la prima volta in Bonelli) e, dopo una sparatoria, ha la visione di Vermeer, che lo lascia impassibile.

Nel coma, tra la vita e la morte, "i due Jan" discutono sul concetto di falso e di imitazione della natura. A p. 98, un'altra tavola estremamente innovativa per i canoni bonelliani, che rivela la piena consapevolezza del gioco su vero e falso, imitazione "fotografica" e sintesi fumettistica.



La chiusa ideale sarebbe venuta con pagina 120; le pagine successive sono piuttosto posticce, e le 130 pagine (altra innovazione della serie, per dare il senso di una maggiore profondità romanzesca, sul modello di Julia, che però mi pare si fermasse a 110). Anche qui, ovviamente, la cosa funzionerebbe con Pollok, che è alle sue spalle con un quadro, e c parla di un groviglio di oscure forze che è l'arte, lasciando intendere la liminalità della serie col fantastico, in cui però rifiuta volutamente di sfociare in pieno.