Dylan Dog N. 3 - Le notti della luna piena


LORENZO BARBERIS.

Spoiler alert, as usual.

Il terzo numero di Dylan Dog, "Le notti della luna piena", cita nel titolo il film di Rohmer del 1984, anche se ovviamente la trama è differente, lontana dalla poetica realista dell'autore. In copertina, eccezionalmente, l'eroe ha una camicia bianca (e scarpe blu!). La Bibbia secondo Dylan non è ancora definita.

Si tratta di una prima trasferta dell'eroe bonelliano fuori dalla sua Inghilterra, nella Foresta Nera, in Germania. Come rivelato sulla ristampa, inizialmente si pensava a un Dylan globetrotter: in seguito, però, complice la paura di volare (rivelata in questo albo, e legata al generale rifiuto della tecnologia), ci si limiterà alla cornice di Londra.

La collezione di mostri classici messi in scena, sia pure nella lettura moderna (Zombies, Jack the Ripper, e ora i Licantropi), porta verso questa idea di intervento ad ampio raggio; in verità poi la fortuna di Dylan Dog sarà data dagli orrori meno convenzionali, più psicologici e kafkiani, che si ambientano bene nella sua Londra immaginaria. Tra le rare trasferte l'America, per "Cagliostro" (n. 18), e l'Italia (negli speciali), e l'India, in Golconda (sequenza fortemente onirica, però).

Il numero segna l'esordio di Montanari e Grassani, duo di disegnatori milanesi (matite e inchiostri, rispettivamente) associati a Dylan Dog per la loro vasta produzione sulle sue pagine. Solitamente poco amati da una parte del pubblico per il tratto più convenzionale, se ben "diretti", in realtà, il loro stile si rivela pienamente funzionale all'orrore, e non privo di una sua particolare inquietudine.

I due autori esprimono insomma quella "vox media" di tante storie di Dylan che permettono di spiccare a storie più eccezionali.

La lunga sequenza muta iniziale (cinque pagine) introduce l'unione bestiale tra il lupo e la fanciulla che genererà i particolari "licantropi" della storia. Il "nove mesi dopo..." con cui si apre pagina 8 e la parte "parlata" svela già al lettore minimamente accorto la nascita del mostro, formalmente rivelata nel finale.

L'aggressione di Dylan da parte di un lupo è oggetto di una nuova sequenza muta, di quasi quattro pagine. Un'idea di fumetto visto, più che letto, che in seguito andrà a perdersi in Dylan Dog.

L'arrivo al collegio femminile ci fa incontrare l'arcigna Frau Blucher, ispirata a "Frankenstein Jr." (1974) di Mel Brooks (l'intera situazione del collegio horrorifico invece rimanda a Suspiria di Dario Argento, del 1977).

In questo caso la citazione di Brooks rivela molto: parodia comica dei grandi classici dell'horror, mostra bene l'idea di Dylan Dog come "fumetto d'orrore e fumetto d'autore", d'accordo, ma con una innegabile componente "comica", affidata (da tradizione bonelliana) alla spalla Groucho, ma non solo, e retta dalla incredibile qualità ironica della scrittura di Sclavi (e in seguito, dei migliori suoi eredi, in toni ovviamente diversi).

Il commissario Durrenmatt da cui Dylan si dice (falsamente) autorizzato cita l'ononimo scrittore svizzero (in lingua tedesca) Friedrich, che è una citazione, di nuovo, molto rivelatrice dell'alto livello del sottotesto letterario. Molteplici sono i racconti di Durrenmatt, allievo di Kafka, che si potrebbero citare: ma soprattutto, credo, il romanzo breve "La promessa" (1958), giallo (con elementi horror: l'indagatore cerca un serial killer di bambini) che non si conclude, critico quindi della letteratura gialla esplosa in Europa con gli anni '30.

Come La promessa, anche Dylan talvolta è giallo-horror che non si conclude: e se popolarmente si giunge spesso (non sempre) alla scoperta del colpevole, ovviamente, il senso prevalente è quello di una mancata soluzione. Così già nei primi due numeri, dove la vittoria sulle forze del male è imprecisa, imperfetta, si percepisce che molto è lasciato in sospeso.

D'accordo, nell'horror è una convenzione: la mano del mostro che riemerge dalla tomba, e così via. Ma in Dylan non sembra solo un modo di scrivere la parola "Continua..." (è anche questo, in verità: mai dimenticare, credo, la dimensione popular della Bonelli. Ma non tanto, e non solo).

La storia continua sul sentiero tracciato, con la solita mirabile precisione sclaviana: si scende al paese, ovviamente Wolfburg, e il simpatico oste del Lupo Nero (figura da barzelletta sui tedeschi di Groucho, coerentemente) spiega il pericolo degli "Stranieri", uomini nudi che uccidono.

Dylan continua a bere birra, tra l'altro (p. 34).

 Intanto, tramite la giovane collegiale Alexandra capiamo che le ragazze sono richiamate da telepatici "richiami della foresta" che le spingono a recarsi nei boschi (e, si lascia intendere, a concedersi ai lupi).

Alexandra poi è la più giovane "Dog Girl" di sempre (max diciottenne, se è all'ultimo anno del collegio...), e troviamo una probabile "correzione" in corso d'opera di Villa, a p. 46, dell'unione tra lei e Dylan tramutata in un semplice scambio d'effusioni. La correzione è evidente (addirittura è diverso lo spessore dell'inchiostratura) e se da un lato è vero che Villa era l'autore più presente in redazione milanese, la sua maestria gli avrebbe consentito una correzione più dissimulata. Sembra quasi che si voglia mostrare (al lettore di secondo livello) l'avvenuta censura.

Se così fosse, la "caccia alle streghe" di cui si parla nel numero 77 (e che è vista come la sintesi della crisi che inizierà dal numero 100 circa in poi) ha radici più antiche di quanto si pensasse, ed è già contenuta fin da subito in un'autocensura preventiva.

Durrenmatt arriva (ha ovviamente anche la faccia di Durrenmatt scrittore), rivela il bluff di Dylan e lo caccia dalla Germania. Egli trova Mary Ann Price, giunta al villaggio. Ella così cattura Dylan e lo porta ai Licantropi e a Frau Blucher, che si rivela una strega (altra bella sequenza muta con la metamorfosi del lupo, quasi d'obbligo).

I lupi sono licantropi inversi: lupi che assumono fattezze umane, su ordine delle Sacerdotesse della Luna Piena. Così apprendiamo anche, opportunamente, che l'unione magica tra Mary Ann e i lupi è avvenuta nella di lei forma umana. Il collegio è in verità un vivaio, che serve per divertire i lupi in forma umana con le fanciulle sotto ipnosi: con Mary Anni si è fatto il logico passo successivo.

E' interessante come Frau Blucher, al pari di Xabaras, si mostri il punto di incontro tra magia e moderna tecnoscienza. Ella infatti ha compiuto un "nuovo esperimento" per la semplice ragione di "vedere se è possibile" l'unione che ha realizzato. "Non più orribili di quelli che fate voi vivisezionando gli animali".

Emerge quindi, di nuovo, il tema di Faust come scienziato moderno, ovvero l'alchimista che non si accontenta più della tradizione magica, immutabile e identica perennemente a sé stessa, ma sperimenta pericolose innovazioni occulte. Xabaras ha compiuto il percorso dalla scienza alla magia, in certo senso (quello limitato alla sua attuale incarnazione, diciamo), la Blucher il percorso inverso.

La situazione finale, come al solito, ha un voluto scarto incomprensibile. Otto, il demente servitore delle Blucher (vagamente frankensteiniano nell'aspetto, per tornare al film citato), salva Dylan, mentre prima, nei boschi, ha tentato di ucciderlo. "Non sapremo mai perché", conclude Dylan. In effetti, Alexandra ci aveva detto che era un uomo normale prima di essere reso schiavo mentale dalle due streghe (p.44); l'aggressione a Dylan nei boschi, però, sembra motivata da gelosia (p. 46), più che da un ordine delle streghe stesse. Dato che in seguito sono loro a uccidere Alexandra, possiamo pensare al classico tema del "mostro innamorato".
Quello che conta, alla Durrenmatt appunto, è lo scarto per cui non tutto è detto, non tutto è spiegato.

Ovviamente, l'albo si chiude col rimando ai "nove mesi" iniziali, e con una ultima sequenza muta che ci mostra la nascita della nuova progenie, aprendo lo spazio al sequel di un filone licantropico parallelo a quello zombistico di Xabaras.


L'albo è inoltre il primo a vedere una discutibile trasposizione in videogame nel 1988, con una sorta di "libro a bivi" elettronico. Un indizio, comunque, dell'apprezzamento che DYD iniziava ad avere, tanto da far pensare anche allo sfruttamento videoludico.