Dylan Dog N.1 - L'alba dei morti viventi
LORENZO BARBERIS.
Come ho scritto nei post precedenti, il "rinascimento" di Dylan Dog mi ha fatto tornare la voglia di leggere i numeri passati, e recensirne i primi 100. Pensavo di iniziare in modo episodico, casuale, come ho fatto col numero 87; ma mi sono reso conto che in questo mio viaggio biblico farò meglio a seguire l'evoluzione del personaggio albo dopo albo.
La continuity di Dylan Dog non è affatto serrata, è molto libera, come usuale in Bonelli; però proprio per questo è utile seguire i vari numeri per cogliere meglio evoluzioni, citazioni, rimandi interni.
E quindi cominciano dall'inizio assoluto: dal numero uno, e dalla copertina di Claudio Villa. Entrato in Bonelli nel 1982, Villa era già allora in forza a Tex, ed era stato incaricato di progettare l'aspetto grafico del nuovo personaggio da lanciare nel 1986: Dylan Dog (e anche Nick Raider, l'equivalente giallistico puro).
Villa sarà sostituito nel 1990 da Angelo Stano, che diverrà il copertinista ancora attuale: disegnatore della prima storia, e autore "di fiducia" di Sclavi nelle storie-chiave dell'evoluzione delle vicende di Xabaras e Morgana, Stano è l'autore-icona di Dylan Dog. Però Villa, che nel 1994 diverrà copertinista di Tex, sostituendo l'archetipo Galeppini, crea una certa inspiegabile continuità tra il grande western Bonelli e la serie maggiormente "di rottura", l'autoriale Dylan Dog.
Aiuta indubbiamente la pistola antica del detective, una Bodeo 1889, creata dall'omonimo armaiolo napoletano Carlo, ed arma ufficiale delle truppe italiane da fine Ottocento in poi, conservata fino ancora ai primi anni del dopoguerra. Derivata dalla Chamelot francese del 1871, è una evoluzione della Colt di Samuel Colt, che dal 1835 rivoluzionò i duelli all'arma da fuoco, rendendoli accessibili a tutti.
Ogni uomo è uguale davanti alla Colt è una delle leggi sacre del western; in Dylan Dog è il simbolo più plastico del suo anacronismo, cui si aggiungono la penna d'oca, il galeone, il Trillo del diavolo e molti altri (da cui il dimore dei fan hardcore per il restyling "tecnologico" in corso).
A parte la Bodeo e il look fisso dell'eroe, la copertina e il titolo rimandano alla "Dawn of the dead" (1978) di George Romero, il capostipite dello splatter horror anni '80, che è anche la base dell'immaginario dylaniato. Zombie e non vampiri, almeno come caposaldo di partenza: una scelta di campo in favore dello splatter horror trionfante in quegli anni, incubato nei B-Movie dei '60 ed esploso con "La casa" (1981) di Sam Raimi.
In verità, il bianco e nero bonelliano, la gabbia rigorosa che trasforma le vignette quasi in piccoli schermi cinematografici, avvicinano più a Murnau, all'espressionismo tedesco, a Nosferatu: Dylan Dog sarà abile, grazie a Sclavi ma non solo, a destreggiarsi tra questi due poli come camminando su una lama di rasoio.
Non a caso il frontespizio di Villa (ancora assente su questo numero: arriverà col numero 18, con la Horror Post) omaggerà poi proprio i mostri classici: zombies, ma anche scheletri, Frankenstein e un vampiro alla Nosferatu.
L'ottimo sito DDComics.it fornisce di ogni albo informazioni di contorno, essenziali alla comprensione. Leggo quindi da qui il primo editoriale, ad opera di Sergio Bonelli, che presenta il personaggio (definito per la prima volta indagatore dell'incubo) con la sua consueta, ineffabile ironia, mettendo in evidenza soprattutto la connessione con l'orrore, da sempre ampiamente presente nei suoi personaggi, dallo Zagor del 1961 al Mister No del 1975, primo grande eroe Bonelli di età moderna e non legata al west ottocentesco. Ma in fondo, l'orrore, con Mephisto ed altri, era presente perfino nello storico Tex (1948). Colpisce invece l'uso ancora invalso di "fumettaro", sia pur tra virgolette.
Segue presentazione del Club dell'Orrore di Tiziano Sclavi, penso, della storia che andiamo a leggere, in cui si mostra cultura enciclopedica sull'horror, citando non tanto Romero, quanto il capostipite storico "I walked with a zombie", del 1943. Molto simile agli editoriali precisi e filologici di Recchioni negli ultimi tempi, in fondo, anche se in seguito prevarrà l'ironia surreale dell'Horror Post.
La storia inizia con una sequenza estremamente cinematografica di Stano, con la bella Sybil, seminuda, che fugge dal marito zombie. Il tratto dell'autore ricorda quello di Egon Schiele, nervoso, secco, essenziale, e segna quindi fin da subito una svolta verso una modernità pop, raffinatamente citazionista, autoriale, che sarà la cifra del miglior Dylan Dog.
L'Erich Lederer ritratto da Egon Schiele. La somiglianza a Dylan è indubbiamente suggestiva.
Stacco a Londra, a Craven Road, citazione di Wes Craven che introduce la residenza del nostro. Il taxi preso da Sybil Browning, incredibile finezza, ha una credibile pubblicità (del taxi) che recita: "You will often find movie stars inside", con ovvio rimando alla serie fumettistica stessa. Gli stessi Browning rimandano al regista Tod, gran maestro dell'horror muto.
Segue il campanello che urla, primo dei molteplici sketch di Groucho che, come al solito, accolgono la cliente. Più venefico del solito, annuncia spiazzante al lettore che Dylan Dog è morto, trecento anni prima: spiazza subito così il lettore che ne ignora il sarcasmo allucinatorio, e una volta colta, in modo rassicurante, la sua natura di buffone, il lettore non si accorge così che gli è stato rivelato il colpo di scena finale della serie (quello presentato nel numero 100, finale ipotetico di tutta la serie, quando si chiuderà lo scontro Dylan-Abraxas).
Groucho, attore totalmente immerso nell'imitazione di Groucho Marx, fornirà lo spunto nel corso della serie per numerose sulfuree battute basate sull'ambivalenza del cognome (ebraico) Marx. Anche nelle sue battute, è frequente (almeno una per numero, agli inizi) la critica della Lady di Ferro, la Tatcher, certo utile a fornire "colore locale" con un'icona anni '80 inglesi, ma anche a esprimere sotterraneamente le idee dell'autore. Tra l'altro, il riferimento ai fratelli Marx, comici di origine ebraica, sarà duplicato da Bloch, l'ispettore amico di Dylan, cognome parimenti ebraico, citazione di un noto scrittore di storie orrorifiche. Bloch tra l'altro dirà spesso, nei primi numeri, "non rido dal '43", lasciando intendere un retroterra antifascista.
L'entrata in scena di Dylan, comunque, è alla Bond (Mi chiamo Dog, Dylan Dog), e inizia subito il solito teatrino: scetticismo, rivelazione del ruolo attribuito di "ciarlatano", le cinquanta sterline più le spese (lievitate nel tempo), il clarinetto per concentrarsi. Non si esplicita però che si tratta del Trillo del Diavolo di Tartini. Sarà chiarito, con tanto di nota esplicativa, poche pagine dopo, in una nuova occasione.
Prima canzone citata della serie invece è la colonna sonora dei Ghostbusters (1984), colleghi newyorkesi del nostro dilagati in Italia l'anno prima. La citazione del film di Ivan Reitman, rafforzato dalla citazione del "demone sumero nel frigorifero" (e anche Sybil, la cliente ha un'aria da Sigourney Weaver, a pensarci bene). Una citazione ovvia, ma che sottolinea particolarmente la natura mista, horrorifica e humouristica di Dylan Dog, più evidente nelle prime opere di Sclavi.
Appare il manifesto del Rocky Horror Picture Show (1975), che contraddistingue lo studio di Dylan, e un disco di Modest Musorgsky, qui probabilmente come autore di "Una notte sul monte Calvo" (1872), magistralmente reinterpretata in Fantasia (1940) di Disney. Citazioni facili per il largo pubblico, citazioni più raffinate, dissimulate, per intenditori.
Emerge finalmente il nome di Xabaras, anagramma di Abraxas, presentato sornionamente dalla serie come "un nome di demone". In verità il massimo sigillo gnostico sta a indicare, con ogni probabilità, la fusione di Ahura Mazda e Ariman, il dio del bene e il dio del male della tradizione persiana. Come noto, anche Xabaras non è che una metà malvagia dell'originario alchimista Dylan, padre del nostro Dylan Dog. Il tema è quindi già incluso nel nome singolare dato all'arcinemico dell'investigatore dell'incubo.
Si passa poi alle citazioni filmiche, viene ribadito "Dawn of the dead" (1978), e poi si passa a "Un lupo mannaro americano a Londra" (1981), visti da un compiaciuto Dylan al cinema, con una terrorizzata Sybil al fianco.
L'anatomopatologo che esamina il marito zombie di Sybil, e che ha appena parlato con Bloch (non si incontrerà ancora con Dylan, in questa storia. Robert Bloch è l'autore letterario di Psycho), viene divorato dai nonmorti non avendo colto l'invito di Xabaras: "Non aprite quella porta!" (1974). Il medico, che morendo pensa solo al fatto di aver visto confermate le sue teorie, è un primo esempio dell'inquietante freddezza della scienza, confinante con la magia (nera). Un tema ricorrente, ancor più in Sclavi, e che ha il suo massimo epigono in Xabaras stesso.
Anche il coroner, comunque, è una citazione: Archibald Potter, come l'autore del De Profundis del Finnegans Wake.
La citazione è particolarmente sottile, perché la marcia funebre di Finnegans Wake è un Fun-Eral, un "funerale divertente" (gioco di parole intraducibile, joyciano), con probabile simbolismo massonico: la morte è precondizione per la rinascita "all'interno dell'ordine". Un'allusione al tema degli zombies, portante in Dylan Dog, ma anche alla duplice matrice orrorifico-comica, Dylan / Groucho.
A parte, poi, il piacere di inserire il più criptico riferimento alla più criptica opera del più criptico autore della letteratura occidentale in un fumetto ancora visto, all'epoca, come paraletteratura deviante per lettori infantili.
Viceversa Dylan, mentre viaggia in treno, rovescia il credo Holmes: "Scartate tutte le ipotesi possibili, quel che resta è il mio lavoro: l'Incubo". L'opposto del razionalismo holmesiano, insomma, non a caso di derivazione medica, da quel gran maestro di Conan Doyle che fu il dottor Bell.
Appena ha pronunciato tale convinzione, quasi evocato, appare Xabaras. Si spiega che gli esperimenti suoi e di Browning si svolgono a Inverness, patria del mostro di Loch Ness, anche se più precisamente nel piccolo villaggio di Undead. Dylan Dog finge di credere alle spiegazioni rassicuranti del dottore, "laureato a Praga" come il creatore del golem.
Lo segue poi invece a Undead, dove pedina con biciclette la Ferrari Testarossa di Xabaras, raggiungendolo nel suo laboratorio. "Io sono leggenda", dice Xabaras, svelandosi come qualsiasi cattivo da operetta, e citandoanche gli zombies del buon Matheson in corso d'opera.
"Il diavolo è solo un buon dilettante, in confronto a me", continua Xabaras. Battuta, ma che fa riferimento alla sua natura di spirito pagano, persiano, preesistente al cristianesimo. Primo necromante classico, creatore del voodoo, lo spiegone di Xabaras si scaglia contro consumismo e arroganza della burocrazia, temi carissimi a Sclavi, mentre abbiamo il classico campo lungo sull'universo, altra marca sclaviana dei temi dell'oro.
"Le specialità della casa" (1948) di Stanley Ellin, ennesima citazione dall'horror d'autore, offre l'assist a Dylan per dichiarare il proprio vegetarianesimo. Non sappiamo ancora sia astemio (ed ex alcoolista): anzi, ha offerto un drink alla cliente, pericolosa concessione nel suo caso, e berrà spesso e volentieri nei primi numeri.
Mentre è attaccato dagli zombie cannibali del buon Xabaras, Dylan pensa il primo "Giuda ballerino" della serie, fugge dalla casa degli orrori e per la prima volta chiede a Groucho il celebre lancio della pistola, altro sketch ricorrente della serie.
Anche il finale appiccicato (la custodia del violino che è in realtà una bomba...) è un classico, un'ironia alla Mad sulle convenzioni letterarie del genere.
Il sogno finale, dove Dylan sogna una Sybil tramutata in zombie per poi risvegliarsi accanto a lei, è una chiusa perfetta che sfuma nel nero la prima storia dell'investigatore dell'incubo.