Discorso sulla Prima Decade di Dylan Dog - 1996 (112 - 123)



LORENZO BARBERIS

Spoilers alert, as usual.

Discorso sulla Prima Decade di Dylan Dog - 1996 (112 - 123)

Col 1996 arriviamo all'ultima annata della prima decade di Dylan Dog. Anzi, dati i tre numeri del 1986, arriviamo fino al numero 123.

Il primo numero di quest'anno (112) vede l'esordio di Gianluigi Gonano (1940), autore croato di Zara che aveva ai tempi creato il Commissario Spada (1970-1982) per i disegni di Gianni De Luca. Nel 1994 era approdato alla Bonelli per Nick Raider, il fumetto giallistico puro nato in seguito al successo di Dylan Dog; quest'anno esce la sua prima creazione per l'indagatore dell'incubo. Anche Spada aveva avuto delle avventure soprannaturali (""I figli del serpente") e aveva combattuto contro serial killers particolarmente efferati e geniali ("Geronimo"). Io l'ho sempre visto, con le dovute cautele, come una delle possibili fonti di Dylan Dog (non tanto come personalità, Spada è un commissario più squadrato, ma per le atmosfere e talvolta le tematiche). Specialmente il tratto di De Luca, che vincerà lo Yellow Kid per questo, è fortemente innovativo per il fumetto popolare e anticipa alcuni dei più innovativi autori dylaniati (per certi versi, forse, qualche analogia si può porre con Roi).

Qui la storia fantascientifica purtroppo non appare perfetta per far risaltare il noir che è nelle sue corde, e Gonano tornerà solo in altre quattro storie, penso preso anche maggiormente dal più suo Nick Raider.



Col 113 torna Sclavi con Casertano, avviando in modo più stabile il suo ritorno sulla propria creatura (altri tre albi quest'anno), ripartendo con un grande classico, il tema del doppio. "La metà oscura" è anche uno dei tanti Stephen King metaletterari; Sclavi riflette quindi - forse anche involontariamente - sul tema della propria stessa metà oscura, nel suo rapporto complesso con la sua opera, cui torna dopo un significativo abbandono di quasi due anni.


Il 114 è il primo Medda solista, che si sarebbe forse visto meglio su un albo di SF come il primo dell'anno. Anche le copertine di Stano sembrano mostrare un cedimento di stanchezza, non più così potenti come un tempo, ma un po' stanche, meno iconiche, sempre di altissimo livello nel disegno ma più vicine a qualunque altro albo bonelliano.



Dopo il 115 di Chiaverotti e il 116 di Manfredi, il 117 è di nuovo Sclavi, e ad alti livelli, a partire dalla cover di Stano che qui evoca perfettamente il surrealismo alla Golconda che permea l'albo. Innovativa e riuscita l'idea di strutturare la storia attorno a un nucleo di racconti minori che si intersecano, indagando le quattro stagioni per prepararci alla mitica "quinta essenza" stagionale.


"Il gioco del destino" (118) di Chiaverotti - Venturi è valida soprattutto per i disegni di Venturi, purtroppo giunto all'ultima storia dylaniata. L'autore passò poi su Nick Raider, serie in cui era molto meno in contesto. Chiaverotti scrive invece una storia sconclusionata, che sarebbe stata migliore se almeno non avesse tentato di dare uno pseudosenso sul finale, con l'unico scopo di offrire belle immagini a Venturi.

Dylan  sta posando per un servizio fotografico scandalistico per la sua nuova ragazza-mese, Aileen, essendo in bolletta come al solito. Una scusa per visitare i grandi luoghi (comuni) dell'orrore londinese: il luna park, la metropolitana, lo Skyfall (dal n. 50 sclaviano...). Il vagabondare onirico è valido per la rappresentazione di Venturi, e per alcune sparse situazioni interessanti.

Dylan fa sesso con una arpia (ovviamente affascinante, p.66), Groucho racconta barzellette da sonnambulo per tutto l'albo, Bloch va da una sua prostituta di fiducia (p.75: come già accennato, ma non mostrato, ne "I delitti della mantide"). La conclusione globale è piuttosto debole, e vagamente "alla Scooby Doo": tutto il delirio onirico ricondotto a un "piano diabolico" della Dog Girl del mese per realizzare il grande scoop.

La storia si apprezza come addio a Venturi, mentre non viene amato, qui, dai fans lo stile di Chiaverotti, che diventa per la "base" dylandoghiana l'esempio delle sue storie meno riuscite. Io personalmente ne apprezzo l'onirismo volutamente "sgangherato" di un fumetto "sgangherabile" (come da definizione di Eco), ma in effetti qui vi sono alcuni elementi che mi parrebbero "limabili" (il finale, l'ingenuità della rappresentazione della strega sputa-sangue, etc.), proprio per andare più volutamente nel nonsense orrorifico.


L'occhio del gatto (119), sempre di Sclavi, vede invece l'apparizione di Franco Saudelli ai disegni. Saudelli (Latina, 1952), partito con serie di fantascienza per Skorpio, era noto soprattutto per le sue opere erotiche di altissimo livello legate al fetish e al bondage, in particolare "La Bionda" (1987). Saudelli è una scelta coraggiosa per la Bonelli, che dimostra di non aver rinunciato del tutto all'erotismo sotteso a Dylan Dog, nonostante gli attacchi censori. La censura però si è sempre più diretta verso l'orrore che non verso l'erotismo in Dylan, anche per il modo estremamente castigato (rispetto ad esempio alla tv, soprattutto berlusconiana, del periodo) con cui era trattato il tema.


Saudelli (qui un esempio dal 177) diverrà firma ricorrente della serie, portando il suo stile erotico e BDSM nelle tematiche orrorifiche di Dylan. La cover, essenziale, è qui di grande efficacia, anche se forse si poteva alludere alla novità dell'erotismo saudelliano piuttosto che propendere per la sintesi grafica. Ma può vedersi anche come un riuscito gioco di contrasto.



Abyss (120) vede l'apparizione di Magda Balsamo, che è la prima sceneggiatrice (o meglio soggettista) femminile di Dylan (sceneggia qui Sclavi). La storia evoca fin dal titolo gli abissi marini di Chricton e Cameron, un film del 1992 già citato in Bonelli da uno speciale di Nathan Never. Artista eclettica. Nata  a Bari nel 1961, diplomata in piano al conservatorio, cantante, attrice, illustratice, e in tempi recenti v-blogger su Youtube. Un exploit non più ripetuto, ma che regala nuovamente una storia onirica ad alti livelli (e anticipa il Titanic di Di Caprio).


Il 121 è la celebrazione dylaniata di Sclavi e Marcheselli, a colori per il decennale sui disegni di Brindisi, tra i più adatti al colore per fortuna (colore che a me non fa mai impazzire sul fumetto BN per eccellenza, quello d'orrore). La copertina di Stano è bella, iconica: pessima invece la scritta rossa, peggio anche del solito bollino giallo che annuncia eventi speciali.

Storia ovviamente di grande impatto emotivo, in cui si affronta un tema pericoloso come quello degli orrori della religione, collegandola alle origini di Dylan Dog, esplorato di solito in questi albi speciali a colori (questo è il secondo, dopo il numero 100). Io ho sempre preferito il filone del background "realistico" a quello mitico di Xabaras, ciclo concluso nel 100 salvo ritorni.

Dylan conosce Lillie dopo che una bomba del FURY (mascheramento dell'IRA) ha ucciso un collega di Dylan allora poliziotto, con cui lui parlava del Bloody Sunday (1972). Uno spettro religioso invita Lily a pentirsi.

Dylan reincontra Lillie, la perde di nuovo (la ragazza, vestita da irlandese da cartolina, è irascibile ai punti della macchietta: ma è una caricatura intenzionale: "è come per gli italiani la pizza". Sclavi ironizza sulla "storia di genere" che va a creare, quasi a dirci che è tutto più complesso di così). Dylan assiste alla violenza dell'antiterrorismo, cui si oppone, salvato da Bosch che lo promuove detective.

Lillie inizia Dylan alla Guinness, mentre vediamo uno scontro polizia / manifestanti (il didascalismo in Sclavi è quasi ironico: torti dei terroristi, torti della polizia, torti di entrambi nella terza "scena storica") Appare Groucho, che attraversa gli scontri con impassibile ironia e ha il suo primo incontro con Dylan.

Dylan poi Padre Lonegan, il prete cattolico della chiesa di Lillie, è un terrorista; a p. 49-50, a metà storia, c'è una delle sequenze più dure sulla religione di un fumetto come Dylan che della polemica contro il fondamentalismo ha sempre fatto un tratto molto presente: Lonegan che inneggia alla chiesa di Cristo e cerca di uccidere Dylan sotto il crocifisso, distruggendolo.

Lillie cerca di usare Dylan per distruggere Scotland Yard, ma lui scopre l'inganno e cerca di fermarlo. Allora lei cerca di mettere la bomba da sola, ma viene fermata, incarcerata e torturata. Il tutto è un rovesciamento perfetto di "Concerto in O minore per arpa e nitroglicerina" di Pratt, dove Corto Maltese aiutava gli irlandesi del Sinn Fein nel loro terrorismo contro gli occupanti inglesi, instaurando una relazione ambigua come al solito con Banshee O'Hara, la bella terrorista, facendo alla fine saltare il centro dell'occupazione inglese.

L'eroe di Pratt presenta a sua volta una stratificazione complessa: il lettore superficiale può credere a una sua banale adesione alla causa irlandese, ma in verità è più il lato oscuro del personaggio (solo apparentemente "buono" in senso ingenuo) che lo porta ad essere attratto da avventure piratesche, romantiche ma anche distruttive fini a sé stesse. Dylan, che da Corto per moltissimi aspetti deriva, ha un romanticismo diverso, che porta alla conseguenza opposta.

In una sequenza onirica (che ritorna in tutto l'albo) il sacerdote dell'inizio, la morte stessa come si vede già in copertina, sposa Dylan e Lillie (lui usa l'anello dell'Uomo Mascherato, citazione che sottolinea ancora la natura di fumetto di Dyd), prima di portare via la sposa di Dylan, che cade così nel suo alcolismo.


"Il confine" (122) di Chiaverotti e Dell'Agnol vede soprattutto l'evoluzione ulteriore del segno dell'artista visivo verso l'astrazione, in una storia in cui l'orrore non è evocato dal nero che soffoca il bianco, ma da esili trame nere che quasi svaniscono in pozze bianche di nulla. Perfetta la cover di Stano (dopo una Opera al Bianco anche nel precedente numero) in sintonia con i disegni interni.

Dylan valica "il confine": una metafora inquietante. Per molti, varcato il decennale del 120, Dylan inizia a decadere. Se non il 100, il 120 segna la cifra tonda dell'apice inarrivabile. Io non concordo interamente con questa visione, ma certo questa Prima Decade è la base fondamentale del personaggio.



"Phoenix" (123) è l'esordio di un altro grande interprete di Dylan, Mari, su testi di Sclavi per cui realizzerà numerosi capolavori. Tra questi, sempre con Sclavi, l'Oscura Signora, di recente ripubblicazione Bao, di cui i disegni eccelsi e innovativi saranno rifiutati dalla Bonelli che li farà ridisegnare. In questo modo, ma più avanti, lo sperimentalismo di Mari, che va crescendo su DD a fianco di quello di Dall'Agnol (ma avremmo visti gli ultimi esiti prima della gestione Recchioni?), viene in parte frenato. Quello che si salva in legittima leggibilità si perderà in possibilità di ricerca, il segno del disegno di Dylan dagli esordi di Stano in poi.

Ma questo è ancora futuro. E il 1996 si segna invece come annata che, dopo la stanchezza delle "vacanze sclaviane", vede una nuova ripresa. Sclavi è tornato, e si sente; non solo nelle sue storie (le due eccezioni di prima, il n.100 e il volo dello struzzo, non erano a mio avviso a livello, pur con considerazioni diverse per ognuna) ma probabilmente anche nella supervisione, non più impalpabile. Si sperimenta una soggettista la cui prova non appare male (ma quanto è Sclavi nel duetto?), e soprattutto, di durevole, entrano Saudelli, Mari, il "Dell'Agnol sperimentale" sotto il profilo del disegno.

Il decennale è concluso; in un post successivo vedrò di elaborarne una sintesi. E non escludo un intervento, intanto, sul Secondo Decennio 1997-2006 (il terzo si vedrà, è ancora da finire). La rilettura degli albi mi ha divertito, e questi dieci post resteranno come work in progress suscettibili di costanti aggiornamenti. Il mio viaggio della memoria nell'orrore dylaniato è solo agli inizi.