Discorso sulla Prima Decade di Dylan Dog - 1993 (76 - 87)







LORENZO BARBERIS



Spoilers Alert, as usual.



Il 1993 di Dylan Dog inizia con "Maledizione nera" (76) di Sclavi e Tacconi, discreto albo sul Voodoo, seguito da un esperimento unico: invece di una storia doppia, un albo con due storie, su sceneggiature di Sclavi, disegni di Roi e Piccatto (per la seconda storia, Incubus). Probabilmente l'esperimento delle storie doppie non era andato al meglio, e si provava invece questa variazione (dover fare per ogni albo una storia, invece di storie lunghe su almeno due albi, chiaramente rende necessarie più idee).



Segue Chiaverotti coi "Killer venuti dal buio" (78) dove esordisce, su Dylan Dog, il salernitano Luigi Siniscalchi, mentre su "La Fata del Male" (79) è la volta del milanese Roberto Rinaldi.









Sclavi torna con "Il cervello di Killex" (80), ma la vera storia dell'anno è di nuovo a firma (congiunta) di Marcheselli, con "Johnny Freak" (81), sui disegni di Venturi. La storia, di grandissima qualità e di grandissimo successo, instaura definitivamente il mito del Freak che lega Dylan Dog, definitamente, ai buoni sentimenti. Già a partire dalla prima cover interna di Stano, se vogliamo, questa tendenza era diventata programma, col Terzo Stato dei Mostri; tuttavia, nell'illustrazione poteva esserci ancora un pizzico d'ironia.



Ora, invece, l'estetica dei freaks, con il piccolo Johnny che suona divinamente e disegna meravigliosi affreschi sul modello degli inferni di Bosch, consolida un modello che, dopo il suo successo, sarà ripetuto un po' stancamente (cosa del resto inevitabile data la longevità della serie).



"Lontano dalla luce" (82) di Chiaverotti è il teatro dell'evoluzione stilistica di Dall'Agnol, che inizia ad uscire dallo stile popolare per evolversi verso esiti di avanguardia come quelli visti nel punto grafico più alto della Fase Uno del rinascimento dylaniato (2013-4).









Il Doktor Terror (83) di Sclavi e Coppola, invece, mette in scena, ad alti livelli, la polemica antifascista di Dylan Dog. L'ideologo e il leader dei neonazisti hanno tratti molto simili a Miglio e Bossi, leader della Lega Nord del periodo, cosa che porta anche a una polemica giornalistica, e nella ristampa dell'albo Lord Grimmel, il difensore dei nazisti, viene modificato in modo da eliminare ogni possibile, anche vaghissima, similitudine bossiana. Il dottor Tod è un remake di Mengele, mentre Anja è evidente citazione di Anna Frank.



Nel tempo, quello che nel fumetto racconta Dylan Dog in Italia diviene realtà: Priebke, il nazista responsabile dell'eccidio delle fosse ardeatine, viene liberato "per problemi di salute" e diventa "padre nobile" della destra neonazista romana fino alla sua recente morte, nel 2013.



La passività assoluta di Dylan contro i nazisti nell'albo è ovviamente sarcastica: se gli antifascisti esagerano in correctness, il risultato sarà la vittoria dei neonazi.



L'antinazismo dylandoghiano è più intenso di quanto sembri: Groucho Marx veste i panni di un attore ebreo (il cui stesso aspetto è fortemente vicino allo stereotipo ebraico...), mentre Bloch è cognome ebraico, e l'ispettore capo (che qui dice di considerare "collega" la cacciatrice di nazisti Rosenthal) dice spesso, nei primi numeri, di "non ridere più dagli anni '40", con riferimento forse all'olocausto.









Poi "Zed", "Fantasmi", "Storia di un povero diavolo", per finire con la "storia stagionale" Feste di sangue, di Chiaverotti e Rinaldi, di cui ho scritto più ampiamente in un post precedente. La storia vede il ritorno a un bello splatter vecchio stile, unito sempre all'estetica dei freaks, non disgiunta da un certo spirito marxisteggiante e critico contro i nuovi scenari aperti dal crollo del Muro. Forse però quello che all'epoca me la fece amare era il fatto che il mostro di copertina, la vecchia bigotta-mostro finale, era identica in tutto alla nostra insegnante di storia e filosofia del triennio del liceo.



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Insomma, anche il 1993 si conferma una buona annata, mantenendo le 500.000 copie vendute (ma sarà un sogno che non può ovviamente durare), introducendo nuovi validi disegnatori come Siniscalchi e Rinaldi, e confermando con "Johnny Freak" il primato di Marcheselli, sempre più ideale erede di Sclavi dopo l'impressione di un prevalere del pur bravo Chiaverotti. Lo sceneggiatore di Rovigo prenderà così le fila del discorso dopo l'abbandono di Sclavi, che avverrà l'anno seguente, portando all'avvio di un parziale declino della testata.