Discorso sulla Prima Decade di Dylan Dog - 1987 (3-15)



LORENZO BARBERIS

What If Blog: se avessi avuto un blog nel... 1987.

Io ho aperto il mio blog nel 2010, ma se avessi avuto un blog nel 1987, avrei parlato di Dylan Dog. In quell'anno facevo prima media e venne la mia scoperta del personaggio. Il numero con cui iniziai fu il numero 5, "Gli uccisori", che resta ancora oggi fra i miei albi preferiti, per ragioni nostalgiche ma anche "narrative". Ovviamente ne avrei scritto in modo più ingenuo; comunque, visto che ho già scritto dei saggi su questo argomento, ne riciclo qui uno che fornisce un punto di vista unitario. 

Dopo l'esame della Prima Deca di Dylan Dog, ho deciso di affrontare un tema più impegnativo: un Discorso sopra la prima Decade di Dylan Dog. I numeri dall'1 al 120, insomma, quelli che la vox populi vuole la grande età dell'oro del personaggio. Non escludo poi di continuare con le altre due decadi dell'eroe (la terza decade cadrà nel 2016, ma prima che ci arrivi sarà terminata, credo) ma per intanto cominciamo con una prima sintesi.

Il fumetto nasce nel 1986, ma a fine '86. Solo tre numeri escono in quest'anno: l'esordio con "L'Alba dei morti viventi", coi disegni di Stano, meravigliosi e conturbanti epigoni di Schiele, che lasciano, si dice, il pubblico perplesso e causano un esordio non esaltante, o almeno non in linea con il fenomeno seguente.

"Jack lo squartatore" lancia, con Trigo, il filone giallistico, mentre "Le notti della luna piena", avviano il ciclo dei Licantropi, si pongono su più tranquillizzanti temi horror tradizionali, e anche ai disegni vedono scelte più convenzionali e rassicuranti, l'argentino Trigo e Montanari e Grassani, che saranno poi la vox media della serie.

Ma la vera partita Dylan se la gioca nel 1987, il primo anno intero.
Sono ancora tutti albi di Sclavi, come sceneggiatore.

Nel 1987 gli si affiancheranno Ferrandino (13), su "Vivono fra noi"; e Mignacco, per "Fra la vita e la morte", ma il soggetto è ancor sempre sclaviano; solo nel 1988 questi due autori agiranno in modo autonomo, e ci saranno due altri affiancamenti, Castelli e Toninelli.



Il fantasma di Anna Never (4) con Roi è albo curioso, perché pare creare una connessione con il futuro di Nathan Never, lanciato nel 1991, che ha una figlia dal nome Ann Never, nome di famiglia. Tramite l'amico alcoolista si inserisce, in sottotesto, il tema dell'ex alcolismo di Dylan, e l'eroe rivela anche che il padre era un medium. In "Tra la vita e la morte" si rivela che aveva lottato contro Xabaras. Tale elemento sarà poi lasciato in parte decadere, in favore di una scelta "alla Star Wars": "io sono tuo padre, Dylan!".

La storia è un gradevole interludio, mentre ben più significativa è Gli Uccisori (5), in cui troviamo un prosieguo del filone di Xabaras in cui Dylan Dog appare avvicinarsi a un canone quasi bondiano, sul modello di Martin Mystere. Appare anche la figura di Lord Wells, e Dylan addirittura ordisce l'assassinio dei leader della multinazionale colpevole dell'ondata di uccisori (sulla base di studi paralleli a Xabaras).

Un bondismo poi non più ripetuto, mentre Sclavi, pare, non gradì il segno di Dell'Uomo, il disegnatore, che infatti, dopo una singola altra storia, tornerà solo molto più tardi sulle pagine dylaniate. Dell'Uomo avrebbe potuto essere una vox media di Dylan diversa da quella di Montanari e Grassani, a mio avviso per certi tratti più inquietante, priva di quelle inflessioni ironiche presenti nel tratto del duo, che io reputo non malvagio come disegno di "servizio".

Se qui c'è il debito a Bond ("mi chiamo Dog, Dylan Dog" si era presentato l'eroe), ne "La bellezza del demonio" dell'argentino Trigo continua il richiamo al noir, già occhieggiato nel giallistico n.2, su disegni dello stesso autore. All'inizio pare che Sclavi volesse basarsi sulle cupezze dell'hard boiled, aggiungendoci il sovrannaturale, e che fosse stato Bonelli a consigliargli un taglio "ironico".


"La zona del crepuscolo" (7) avvia invece un filone nuovamente parallelo agli studi di Xabaras, con un abortito dottor Hicks medico di campagna, che tornerà in una più consona declinazione urbana nell'omonimo Hicks del n.14, grande primario ospedaliero. Montanari e Grassani operano qui su una storia di primo livello, mentre in seguito saranno più marginalizzati su storie di riempitivo. Molto amati dal largo pubblico, gli appassionati non ne amavano il tratto meno "artsy" e più di servizio, comunque efficiente.

Ne "Il ritorno del mostro" abbiamo l'ingresso in scena di Piccatto, che avrà il tratto ideale per storie in cui è più accentuato l'elemento horroristico, anche in chiave grottesca. Qui, pur nell'eccelsa prova, non è in una delle storie più congegnali al suo stile.

"Alfa e Omega" (9) con Roi esplora per la prima volta la fantascienza, mentre con "Attraverso lo specchio" (10) con Casertano finisce la fase degli esperimenti abbastanza a tentoni dei primi numeri (pur molto belli singolarmente) e si delinea quello che sarà lo spirito vincente di Dylan Dog. Numero dopo numero inizia la corsa verso il successo.

"Diabolo il grande" (11) disegnato ancora da Dell'Uomo è storia pregevole ma interlocutoria, come pure  "Killer!" (12), di Montanari e Grassani.




In "Vivono tra noi" (13), passato ormai un anno, Sclavi si fa affiancare da Giuseppe Ferrandino, per la prima volta;  mentre è l'ultima collaborazione di Trigo, il cui tratto da noir non si adatta perfettamente alla direzione che va prendendo Dylan. Ferrandino invece è in tono col clima sclaviano di mostri sempre più patetici, e il suo lavoro migliora nel prosieguo. La collaborazione di Ferrandino con Dylan vedrà solo due altri episodi, "Ti ho visto morire" (27), in cui diventa sceneggiatore completo, e il meraviglioso "Il signore del silenzio" (39).




Nel 14, con "Fra la vita e la morte", è la volta di Luigi Mignacco, autore alessandrino che diverrà firma fissa di Dylan Dog.

Albo importante, che sviluppa il filone di Hicks, il doctor diabolicus, rivale fisso importante di Dylan Dog, su cui si concentra, ancor più che su Xabaras, l'odio verso lo scientismo proprio di Sclavi. In quest'intervista, nel raccontare i suoi esordi bonelliani, Mignacco sottolinea l'elemento terrorifico che aveva per Sclavi l'elemento medico.

A differenza di Ferrandino, Mignacco diverrà una delle colonne portanti degli sceneggiatori della serie.



L'anno finisce con il notevole "Canale 666" (15), albo di Sclavi per Ambrosini.
Torna l'idea già presente negli Uccisori di un controllo sociale delle multinazionali tramite tecnologie ai confini tra scienza e magia. In questo caso però non vi è più un collegamento con Xabaras, e pare in declino l'idea di una sorta di Xabaras "come gli uomini in nero".

Il suicidio in diretta del conduttore nell'incipit è tratto da un fatto reale del 1987: il suicidio di Budd Dwyer, 
che in una conferenza stampa tirò fuori una pistola da una busta e si sparò in bocca. Più avanti c'è un occhio
tagliato, citazione di Bunuel.







L'elemento che più colpisce, e che ha suscitato vivaci discussioni online, è l'atteggiamento ancora machista di Dylan, che salva un'aspirante suicida (indotta dal programma TV) in modo piuttosto violento, puro hard boiled style. Certo è ancora l'eroe noir inizialmente ideato da Sclavi che si fa sentire, ma potrebbe anche essere la reazione dell'ex alcoolista che si vede rispecchiato in altre dipendenze (lo stesso trattamento lo riserva Dylan all'amico Guy, nel numero 4).

In generale, inoltre, Dylan è molto diverso dall'eroe romantico che diverrà: beve spesso (numeri 2, 3, 6, 7, 11...), ha relazioni con le donne anche occasionali (5) e in generale ha relazioni più normali, e molto meno tendenze moralizzanti. Ci sono però già le fobie (agorafobia, claustrofobia...) che incrinano il supereroismo dylaniato e lo rendono eroe più umano.

Insomma, il 1986-1987 è un periodo di esordio in cui si avvia la definizione del personaggio. Alcuni elementi restano (l'antiscientismo sclaviano), mentre altri vengono abbandonati (lo stile da duro, le trame complottiste-bondiane) e altri vengono sviluppati (soprattutto, l'onirismo surreale di "Attraverso lo specchio" che diviene dominante). Il buonismo politicamente corretto è ancora al di là da venire.