Dylan Dog 2004 (209-220). Duecento. E dopo?

LORENZO BARBERIS



(Spoiler alert, as usual)



Se il 2003 aveva visto al centro la voragine di un 200 saltato da Sclavi (riempito ottimamente dalla Barbato, nella prova professionale più impegnativa, a detta dell'autrice, su D.D.), il 2004, anno più "di transizione", vede iniziare una certa tendenza al "tran tran" troppo regolare della serie, certo inevitabile ma non certo proficuo. Non mancano certo i singoli begli albi, ma la saturazione inizia a farsi evidente.



Il 2004 inizia con un numero 209 metaletterario di Medda, "La Bestia", che continua la sua indagine horrorifica sul significato dell'arte. In questo caso al centro c'è un attore legato a una maledizione atroce, e in qualche modo la storia da il La a un anno in cui ricorrono alcune storie "meta" anche di altri autori.









Metaletterario, per certi versi, è anche il 210 della Barbato, "Il pifferaio magico". In questo caso l'aspetto meta è più relativo a un certo percepibile autobiografismo nella riscrittura della fiaba del pifferaio di Hamlin, che viene connessa all'Hamlin di Safarà, col suo negozio sospeso tra le dimensioni. La copertina di Stano è perfetta, nella sua riscrittura del Quarto Stato dei Mostri: nella storia infatti Hamlin è connesso al suo flauto, il reperto più prezioso, che finisce infine nelle mani di Xabaras.



Davvero eccellente, in quest'anno, della Barbato è invece il 212Necropolis, albo cupo e claustrofobico degno del miglior Sclavi non solo per la suggestione, sempre potente nell'autrice, ma per l'esattezza di scrittura, precisa come un alienante orologio svizzero, sul modello del maestro.



Col suo noir, al 217, Faraci azzecca invece "Il grande sonno", sui prestigiosi disegni di Stano. Ma, se qui è giocato ai massimi livelli, anche grazie a disegni paradigmatici come quelli di Stano, la storia indica un rischio che si farà più forte nella decade seguente, quella di un Dylan troppo appiattito sul "giallismo", con l'horror a fare sempre più da mero sfondo.









Esordio di Masiero con disegni di Mari al 218, "Incubo dipinto", storia che omaggia San Sebastiano, secondo una esplicitata tradizione colta che rimanda, per certi versi, all'esordio della Barbato. Masiero, nell'anno seguente, inanellerà ben cinque storie di Dylan, anche se in seguito diraderà la sua presenza, trafitto da altri impegni editoriali. Le sue storie sono solitamente corrette, ma prive dello slancio per farne una "punta" (come Barbato e Medda), ma in grado di costituire una buona vox media - non sufficiente, però, a contrastare l'incubo dipinto della crisi di vendite.









"La decima vittima" (219) di Faraci porta l'annata verso la conclusione con una nuova storia metaletteraria su un libro che uccide. Si cita coerentemente Lovecraft nel corso della storia, e la soluzione narrativa, come spesso in Faraci, è piuttosto elegante, con un occhio allo splatter (ad alti livelli, con una rupture del suo tradizionale superamento nella seconda decade) ma anche ad una struttura circolare abbastanza impeccabile che esalta la circolarità della maledizione: un diavolo (che ha un negozio stile Safarà) ottiene il Demone della Scrittura di uno scrittore fallito in cambio del successo letterario, e usa il demone per un libro maledetto dove leggiamo l'omicidio della vittima successiva, fino a che Dylan non lo annulla facendolo tornare nelle mani dell'autore stesso. La citazione del titolo, invece, non c'entra con Sheckley.






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Insomma, un anno in grado di offrire storie anche eccellenti mescolate ad altre normali, con la scrittura di Barbato e Medda che spicca su tutte. Però, salvo singoli buoni albi, si percepisce una certa stanchezza generale, l'assenza di una direzione, di un colpo di reni, che si spererà giunga con l'arrivo di Gualdoni, nuovo curatore futuro che doveva guidare la transizione al "colore"; e in seguito, un po' di più, giungerà col "rinascimento" di Recchioni. Per ora però si naviga un po' a vista, in una difficile transizione.