Dylan Dog 2007 (245 - 256). All in Color for a Di(m)e

2007. All In Color For A Dime.









LORENZO BARBERIS



Sulla serie regolare il 2007 segna l'avvicinamento al numero 250, una nuova tappa celebrativa intermedia tra il 200 - affidato alla Barbato, dopo il rifiuto di Sclavi - e il 300, il "terzo centenario".



Sclavi, assente dalla serie dal 176 (nel 2001), con "Il Progetto", torna con una breve manciata di storie al 240, mentre i numeri 241 242, quelli del Ventennale, sono stati nuovamente affidati alla Barbato, che si conferma "erede designata" alla transizione. In questi due albi il colore è di nuovo usato in modo efficace, dopo la delusione costituita dall'episodico 224 (che serviva a giustificare un aumento di prezzo)



Dopo un altra "doppietta sclaviana" al 243 e al 244, con cui si era concluso il 2006, l'anno nuovo si apre di nuovo con Barbato-Mari con "Il cimitero dei freaks" (245). Storia che si ricollega all'Uber-Sclavismo di Johnny Freak (81), già ripreso nel maestro nel 127, dove aveva introdotto il tema della tomba del più amato "mostro dal volto umano" della serie. La Barbato si conferma "erede" nel completare in Trilogia il ciclo simbolo della serie, avviato da Sclavi.



Il segno di Mari va gradualmente operando la transizione al nuovo tratto, che a molti suoi estimatori del segno degli esordi piace meno. Una evoluzione simile a quella di Casertano, con un segno più spesso e più rileccato.



Ha forse influito in Mari il rifiuto delle tavole per l'Oscura Signora sclaviana, di recente ripubblicate in versione deluxe: comunque, il segno di Mari, pur sempre elegante e decadente, va facendosi più pulito e si direbbe quasi rileccato, in una legittima evoluzione del tratto dell'artista. Un segno decadente, quindi, perfetto per questa nuova decade.



Nella storia, invece, viene ripreso il meccanismo narrativo di Johnny Freak, con il benefattore del cimitero dei Freaks e la sua amante bellissima che da lui ha ottenuto la vista. La Barbato sembra adeguarsi al suo ruolo di erede designata al punto da reintrodurre nella storia un elemento tipico di DD a lei totalmente estraneo, ovvero Dylan che va a letto con una donna coinvolta nell'indagine.



La riscrittura è interessante: più del 127 di Sclavi, che era troppo un manierista di sé stesso, senza riuscire a replicare i fasti di Johnny, del numero 81. La Barbato riscrive invece il mito dei Freaks buoni inserendoci una nota di inquietudine in più, un sottotono più angosciante, irrisolto.













Le storie si trascinano un po' stanche, nel ruotare degli sceneggiatori di cui nessuno però riesce a dare una voce forte al personaggio. Stano si conferma ancora in grado di ottenere belle immagini, talvolta anche iconiche, per le cover, mentre però mostra sempre più lo svilupparsi di quell'evoluzione pittorica del tratto presente anche agli esordi, ma talvolta qui caricata. Anche qui sembra di scorgere talvolta una tendenza ad andare verso uno stile "rileccato", un po' manierista.



Al 248 esordisce lo sceneggiatore Bruno Enna, con una storia che rilegge il rapporto di Dylan con la Bodeo, in cui si sente un certo influsso di Supernatural (2005) e della ossessione sulle armi maledette. Enna realizzerà una tripletta interessante, ma non rivoluzionaria, col 251, "Il guardiano del faro", dove Dylan opera una discesa agli inferi della paranoia prigioniero e guardiano di un faro maledetto, e col 254, dove Dylan entra in contatto con una sorta di Fight Club (e nuovamente nella cover se ne evoca il "suicidio").







Il numero 250, a Luglio, è festeggiato con l'ultima storia di Tiziano Sclavi, illustrata da Brindisi e a colori, come per tutti i festeggiamenti bonelliani. Storia onirica, slegata apparentemente dalla continuity delle celebrazioni. Una storia con poco testo, in cui Dylan scende all'Inferno surreale del mondo sclaviano per esservi giudicato. La giustizia che appare all'inizio (p.14) ha l'aspetto di una terrificante Medusa, il selfportrait barbatiano, e rinchiude Dylan nella claustrofobia di un ascensore, possibile metafora metaletteraria della prigionia di storie tutte uguali cui è condannato.



L'apparente risveglio lo conduce a un nuovo tribunale, dove lo giudicano gli uomini di Golconda, elemento simbolico magrittiano della serie (mentre tutta la storia richiama il riferimento-cardine sotto il profilo letterario, Kafka, con il suo Processo). Il giudice in bombetta gli chiede se è un Imbianchino. Un riferimento a Hitler, ma sempre sul livello metaletterario con riferimento alle velleità pittoriche ed artistiche del Furher.



Il quadro successivo vede Dylan affrontare gli Zombies, altra scena archetipa, che rimanda alla storia numero uno, e alla macrotrama di Xabaras (a p. 45 ritorna l'evocazione di Medusa). L'ascensore, trait d'union tra gli stacchi, lo conduce poi al Galeone, Qui trova Morgana, la madre (dissimulata quel tanto che basta per non palesare il compimento del sogno edipico) e si unisce a lei, andando poi al suo posto al tribunale per il giudizio.



Appare quindi il professor Knock, di Tre per Zero (125), ripreso da Sclavi nella sua Ultima Triade, nel 240. Egli spiega a Dylan che gli stacchi sono passaggi di un multiverso, e Dylan, congedandolo, rivela di trovarsi in un futuro alla Blade Runner, o alla Nathan Never se vogliamo, dove il maggiolino è divenuto un'auto volante (ripresa, questa, da Ritorno al futuro).



Poi c'è il ritorno illusorio alla realtà, e infine il ritorno nell'Incubo (ad opera dei soliti medici spietati, buzzatiani, altro tratto ricorrente in Sclavi), e la storia si conclude con Dylan davanti alla corte infera: il Diavolo, con giudici a latere la Morte e il Burocrate infernale. Sclavi si congeda così dal suo personaggio, con un finale aperto ("Cominciamo") che ironicamente rilancia la palla agli altri sceneggiatori, invitandoli a "cominciare" il loro Dylan da dove lui interrompe il suo.



Il colore, ormai giunto ad un alto livello tecnico (già nel 100, e sempre in miglioramento nel 200, nel 240-41, e in questo 250, salvo il calo del 224) sembra una possibile soluzione per la crisi bonelliana, e ad Agosto 2007 verrà infatti usato per due eventi "a colori", in coda all'evento di Sclavi, nel tentativo di rilancio dell'eroe.









Dylan Dog appare sulla cover di XL ad Agosto 2007, lo speciale di Repubblica, ed esce anche la storia di Recchioni "Fuori tempo massimo", edita poi anche sullo speciale a colori, il primo Color Fest. La cover di XL è la prima, per Dylan, dai tempi del Max del 1993, un tentativo di "tornare sull'onda" con una "nuova comunicazione" che vede in prima fila Roberto Recchioni: il nome che, invece della Barbato (che dopo una escalation promettente si defila), diventerà col tempo il vero erede.





Il serial killer Axel - ispirato ad Axel Rose dei Guns'n Roses - si risveglia negli anni 2000 dagli anni '80, e Dylan Dog lo fa arrendere dimostrandogli come ormai è fuori dal suo tempo. A un primo livello, un tema più "moderno", in grado di catturare l'attenzione del lettore "hipster". 





Il tema però è trattato con evidente ironia sul culto degli anni '80 che allora iniziava a diffondersi, e di cui il "Dylan di Sclavi" faceva parte. Ironia sulle mode hipster, dunque, e anche sulla fanbase dei nostalgici di Dylan Dog. Inoltre, Recchioni qui evita di far usare la forza a Dylan Dog, come sarà praticamente sempre nelle sue storie, dando un tratto particolare al suo Dylan, in controtendenza ai suoi personaggi solitamente tarantiniani, action, spesso muscolari. Una variazione sul tema alla pari di quella della Barbato, col suo rifiuto della pin-up del mese, insomma.













La storia di Recchioni viene pubblicata anche sul primo "Dylan Dog Color Fest", uscito sempre ad Agosto 2007, poco dopo (la storia su XL è presentata come inedita). Copertina di Gabriele dall'Otto, quattro storie brevi a colori tra cui appunto anche quella di Recchioni, che appare la più originale come impostazione. Gualdoni gioca sulla possibile storia di "Dylan bambino" (negata nel rovesciamento finale), Faraci realizza una storia leggera, carina ma senza particolare impatto (in cui ci presenta Mortimer, il coccodrillo amico immaginario di Dylan Dog da piccolo: di nuovo una esplorazione dell'infanzia dylaniata); Di Gregorio gioca sulla possibilità offerta da bianco e nero / colore con Casertano (molto più potente in puro B/N).



Il tentativo ha successo, per la riuscita promozione e per la novità, anche se in seguito anche il color fest diverrà una ripetizione un po' stanca e abusata.







In ogni caso, il Color non risolve i problemi della serie, dove le storie continuano una ripetizione piuttosto piatta. Potrà essermi sfuggita qualche singola perla, ma in generale c'è una stanchezza che con l'abbandono definitivo e dichiarato di Sclavi tenderà ad accentuarsi. Le storie migliori sono quelle "metaletterarie" su cui gli autori paiono riflettere su Dylan: una tendenza presente già nel primo Dylan sclaviano, dove lo splatter e le dimensioni parallele mimetizzano molto metafumetto. Ora che lo splatter è tolto e perfino l'onirismo sembra essere vietato come difficile da capire, resta il metaletterario postmoderno. Il caso, ad esempio, dell'esordio di De Gregorio, col 255, dove riscrive potenzialmente Dylan Dog come un alchemico "gioco di ragazzi" che sperimentano un moderno gioco dell'oca in stile RPG. La fantasia di un ragazzino, dunque: già meglio che quella di un folle, come diceva Sclavi al 243, ma comunque una interessante variatio onirica.











L'anno si chiude inoltre al 256 con Il feroce Takurr di Medda, feroce satira dei collezionisti che non manca di suscitare però polemiche per la divertente irrisione. La storia, in qualche modo, si collega all'ironia già messa in scena da Recchioni sui fan hipster indie-fessi degli '80, ed è tutto sommato un interessante divertissment, in linea con un Medda che ha sempre accentuato, di Dylan, l'aspetto della riflessione meta-letteraria. Medda, Recchioni e Barbato si confermano quindi i tre autori con una voce più propria su Dylan, mentre altri, pur professionali, sembrano adeguarsi a uno stile più medio.