Discorso Della Decade Due Di Dylan Dog - 1997 / 2006 (124 - 250)







LORENZO BARBERIS



Spoilers alert as usual.



1997. 3 X 0. La formula impossibile di Dylan Dog.



Col 1996 si era chiusa una prima decade dylaniata, non senza problemi, ma con un alto livello qualitativo complessivo, e un successo indiscutibile di pubblico. L'avvio del Dylan Dog Book come terza ristampa (la seconda finirà solo nel 2007) dimostra l'incredibile salute della rivista, al di là di cali fisiologici rispetto a vette altissime (la cifra più "propagandistica", che include ristampe, speciali etc., al massimo dello splendore poteva aggirarsi sul milione di copie al mese).



Forse il momentaneo "abbandono" di Sclavi (dall'84 al 100, dal 100 al 109) aveva causato una prima lieve flessione rispetto agli anni del boom, ma sempre su livelli comunque decisamente altissimi; e il suo ritorno lasciava illudere, se non ad un ritorno all'età dell'oro, ad una possibile "lunga età argentea".



Tra l'altro, era iniziata ormai l'era informatica anche per la Bonelli, dopo l'esplosione di internet in Italia tra 1994 e 1995: nel 1996 era apparsa UBC Comics, rivista digitale (tuttora esistente) dedicata ai fumetti Bonelli (dal 2000 vi sarà invece il forum dedicato Craven Road). Le nuove uscite iniziano ad essere commentate, analizzate, esaminate in rete, con giudizi che restano e condizionano sempre più il pubblico dei lettori. Un meccanismo che la Bonelli deciderà di controllare solo vent'anni dopo, con la nuova gestione Recchioni di Dylan Dog.



Poco dopo il numero a colori del decennale, il 121, e l'esordio di Mari (autore neveriano perfetto per Dylan Dog) in Phoenix (123), la nuova annata quindi si apre con "Tre per zero" (125) di Sclavi e Brindisi, tra le storie più riuscite dell'autore, in cui gioca abilmente sui paradossi della matematica, fin dal titolo e dalla bella cover di Stano.



La ricerca della "formula matematica impossibile" pare anche ricordare agli autori, con una storia divertente e ironica, che anche Dylan, ora che ha deciso di procedere oltre le colonne d'Ercole del 100 (inizialmente prevista come fine del personaggio), oltre quelle del Decennio, deve trovare la sua formula 3 X 0.



Sclavi torna al 127 con "Il cuore di Johnny", assieme a Marcheselli, un ritorno sulla storia-simbolo, dell'età "argentea" (quella del picco di successo e di vendite, ma dopo la crisi dello splatter, post-77, post la "caccia alle streghe").



La storia è di buon livello, e nel fumetto bonelliano è legittimo giocarsi i bis, non ha la stessa valenza della mediocrità dei sequel filmici. Però in un certo senso giocarsi il rilancio su una storia così "autoriale" crea dubbi e critiche nei fans, solo in parte attenuate dal nome del fondatore.



Decisamente meglio il remake del Ritorno di Killex (129), con un ritorno alla grande anche del deciso antifascismo sclaviano, affidato a un rarissimo discorso serio (ancorché intriso di amaro sarcasmo) di Groucho, mai come in questo caso "Marx" sclaviano. Lo svenimento di Bloch, la rarissima serietà di Groucho davanti all'orrore nazista confermano i dubbi sulla natura ebraica di queste due figure.



Hitler come il "vero Anticristo" tornerà nel 1999 (il film snuff-movie girato su di lui, certo, e intitolato "Hitler", ma anche il ritorno del male per la dimenticanza di ciò che è stato, come ammoniva già Levi), ma la profezia "per errore" vede tornare il male già nel 1989 (data del crollo del Muro, e dell'avvio del trionfo del turbocapitalismo) sono simbolismi larvati ma presenti nel suscitare inquietudine politica al lettore.



E non a caso l'albo attira anche molte critiche dalla parte, sia pure minoritaria, del pubblico "di destra" di Dylan Dog.



Al 131 invece Sclavi riprende una sua storia ufologica per svilupparne una trilogia con un prosieguo al 136, l'anno seguente. La ripresa forse più convincente, che inizia a segnare una sottile evoluzione "complottista" di Sclavi: non più lo splatter, non più il puro onirismo, ma una surrealtà connessa con le cospirazioni che oggi traboccano da ogni dove, su internet, scritte malamente, e che egli invece divulgava abilmente, con grande anticipo (almeno in Italia, per il largo pubblico) e sfuggendo alla retorica più ovvia (non è un caso, nel terzo capitolo, la citazione di Eco, che nel 1988, nei pressi di quel 1986-7 che aveva visto nascere Dylan, sdoganava il complottismo ai piani alti della cultura con "Il Pendolo di Foucault").







Un ultima ripresa è Sclavi e Freghieri al 133-134, dove con una delle rare "doppie dylaniate" Sclavi recupera la figura mitologica da lui introdotta su Mister No (grazie alla natura della donna-leopardo, è anche uno dei rari topless delle copertine, mentre agli interni erano frequenti). Appare un tentativo di portare in Dylan temi esotici. Un modo per creare una variazione, e "sgangherare" Dylan Dog secondo il canone Bonelliano. L'esperimento non ha un successo strepitoso, e resterà piuttosto isolato. Le variazioni di Dylan si vogliono urbane, le sue trasferte, specie se esotico-naturali, non sono poi così amate.





Quest'anno vede anche l'esordio di Ruju, che diverrà poi una colonna portante della serie.



1998. Gli anni di Ruju.







Anche il 1998 inizia nel segno del "reload" di vecchie storie, con Sclavi inizia l'anno chiudendo col 136  la sua trilogia ufologica, ma soprattutto riprende 3 X 0 sostituendo ai paradossi matematici quelli di tipo linguistico, scomodando addirittura Umberto Eco e le sue teorie sulla lingua. Un omaggio che rispecchia l'attenzione dedicata a Eco a Dylan, all'interno del suo interesse per il fumetto.



Non Mister Nog, come poteva sembrare da "Ananga", dunque, ma "Mystere Dog", forse, con uguale prudenza? Una strada più proficua, anche se i team up tra Dylan e Martin si sono rivelati occasioni perdute, con la logica rivalità tra i due ridotta a sgradevole macchietta, nonostante l'accreditamento ai testi di Sclavi e Castelli, due mostri sacri che però difficilmente paiono amalgamabili.



"Cattivi pensieri" (138), sempre di Sclavi (che di nuovo in quest'anno sarà predominante, con sei storie) riprende in chiave dylaniata lo Stephen King del Miglio Verde, col solito antirazzismo alla Sclavi, un po' di maniera ma funzionante nella storia (il personaggio di Forrest cita, solo nel nome, il grande ingenuo di Forrest Gump), introducendo tra l'altro il personaggio dell'avvocatessa-Meg Ryan Lee Ricker, che apparirà nell'ultimo albo di Sclavi prima di un lungo silenzio, "Il Progetto", al 176, dove lasciamo la simpatica ragazza lobotomizzata dagli Illuminati.



Online si fanno frequenti le critiche alla "scarsa originalità bonelliana", per quando molti - Medda in primis - difendano lo stile citazionistico della casa editrice come scelta stilistica.



"Verso un mondo lontano" (140), similmente, riprende di Stephen King "Rose Madder" nel personaggio della protagonista Primrose e nel tema della violenza domestica, trattata da Sclavi in modo documentato.



"Apocalisse" (143) è invece la ripresa di Sclavi dell'ospedale folle di The Kingdom di Lars Von Trier, adattato ovviamente a suo modo.



Nel "Cane Infernale" (145) addirittura Sclavi sembra sperimentare una storia giallistico-noir, "alla Ruju", che prova a contaminare con la versione horrorifica di Beethoven, il molosso combinaguai di alcuni film disneyani; terreno su cui però non ottiene lo stesso successo che può mietere nell'horrore puro. Nel 145 l'"Infernal Dog" raddoppia la sua tariffa, passando a 100 sterline al giorno dalle, fino allora canoniche, 50.



L'albo successivo di Sclavi è però Ghost Hotel (146), questo sì agli antichi livelli, anche per la sperimentazione di un gioco ad incastro con più storie nella storia: non più però separate come l'Ultimo uomo sulla terra, ma incastonate in una avventura più complessa. Tentativo difficile, apprezzato ma non troppo dai fans, che non verrà reiterato ("ci costa il triplo della fatica" ammette Sclavi ai lettori, avvertendoli di farsi sentire se l'esperimento piace).




Il relativo "calo" sclaviano porta in seguito al rarefarsi futuro della sua presenza, cedendo il posto ad anni di preminenza rujana, che inizia a introdurre in diverse sue storie i temi noir che gli sono cari.





"Hook l'implacabile" (139) di Ruju è un "Dylan sgangherato" nelle sue corde, con un giusto inserto di horror che a volte, per i fan più rigorosi, sembrerà mancare nelle sue storie più avanti. Il boss assassino che ascolta la Carmen come una cavalcata delle valchirie versione urbana funziona. Sbagliato il titolo e la cover che spoilerano il suo ruolo, che nella storia sembra svanire dopo le prime tavole per tornare nel finale. Certo, è solo una convezione di genere (sappiamo che se la sceneggiatura non è sbagliata - e su Dylan mai lo è a questi livelli) Hook tornerà; ma preferiremmo non fosse così telefonato. Per contro, la cover pop e anche un po' pacchiana, certo più pulp che cultural-horror, è molto bella. La citazione di Pratt e della sua Corte Sconta della Arcana è certo azzardata, ma per paradosso funziona anche quella. Ruju sa inventare un "suo" pop che è più indipendente da quello di Sclavi, cosa che sarà un merito ma anche una causa di scarso gradimento da parte di una parte dei fan.



Ruju tornerà spesso in quest'anno: nel 141, 144 e 147, per un totale di quattro albi, secondo solo a Sclavi.



1999. L'anno della Barbato (148-159)









L'ultimo anno del vecchio millennio vede il diradarsi della presenza di Sclavi (nell'anno che lui stesso, assieme ad altri, aveva definito come Annus Diaboli, per il 666 rovesciato del '999...), che realizza un solo albo interamente suo nell'anno, "Il gigante" (156), mentre ospita la moglie Cristina Neri e il cognato nel 151, "Il lago nel cielo", e il giallista Carlo Lucarelli nel 153.



L'anno è così dominato quantitativamente da Ruju, che con sei albi, 149, 150, 152, 155, 158 e 159, regge da solo metà dell'anno, in un trend ancora di aumento. Ma la vera novità è l'arrivo sulla serie regolare di Paola Barbato, che nel volgere di pochi numeri dall'esordio diverrà una specie di attesa "erede designata".



157, "Il sonno della ragione", è quindi l'esordio di Paola Barbato. Non la prima sceneggiatrice donna, date le presenza di Magda Balsamo su Aybss e, come detto, Cristina Neri; ma quella che diverrà una colonna portante della testata, già apparsa su un allegato di Groucho ma ora all'esordio sulla serie regolare.



L'albo, che si apre con una doppia citazione colta (ma pop-midcult, nel segno di Sclavi) tra l'Urlo di Munch e  Goya, si qualifica per una scrittura più densa, meno facile forse per il grande pubblico dylaniato ma indubbiamente in grado di dire qualcosa di nuovo.



La Barbato sceglie una fantascienza difficile, cupa, tutto sommato coerente con l'ossessione medical del Dylan Dog di Sclavi, gli scienziati, specie medici, come mostri che torturano sventurate cavie per i loro scopi di folli scoperte faustiane.



L'estrapolazione scientifica è approssimativa, ma la storia è potente, anche se verbosa. La simpatia per il mostro, anche se assassino, ricalca quella classica di Sclavi, da Alfa e Omega (9) in poi. Sclavi accentua tale aspetto sugli animali, per la sua radicale antropofobia; nella Barbato, invece, Dylan quasi si innamora della terrificante Daisy al centro dell'episodio.



La Barbato si conferma eccezionalmente brava nell'intersecare più ipotesi, senza scioglierne davvero nessuna: mostruosa figlia della tecnologia futura (proveniente da un 2034 creato circolarmente dallo stesso Dylan Dog), della magia ancestrale dell'Africa nera, allucinazione collettiva come suggerisce anche la copertina, Daisy / D.A.C. / Dejizj funziona nell'indurre la giusta inquietudine nel lettore, e questo in un fumetto horror come Dylan Dog è l'aspetto essenziale.



2000 / DD 160-170. Il Sorriso dell'Oscura Signora























Il nuovo millennio si apre col 160 di Ruju, in calo a cinque albi, ma comunque sempre preminente, con un Dylan in trasferta nell'Inghilterra rurale sulle tracce dei sacrifici umani dei Druidi. Un tema che tornerà saltuariamente, nel futuro, con le trasferte urbane di giovani aspiranti druidi in cerca di ascesa sociale (mentre quello di questa storia, correttamente, si accontenta di sacrificare al Grano).



Nel 161 Sclavi crea, per Mari, dopo "Phoenix", una nuova storia, "Il sorriso dell'Oscura Signora". Le tavole di Mari, autore innovativo da tempo assente su Dylan (e coinvolto invece in Nathan Never) sono però ritenute troppo avanguardistiche e la storia, ormai compiuta, gli viene data da ridisegnare.

Dylan Dog quindi rinuncia qui alla sua matrice d'avanguardia in favore della leggibilità: una scelta legittima, per non perdere lettori più tradizionali, ma che toglie però qualcosa invece all'innovazione, necessaria per sedurre altri pubblici. Col restart di Recchioni, nel 2013, la storia sarà recuperata e pubblicata in Bao, con una cover di Mari stesso che ricalca quella di Stano (che farà la variant). Similmente, Recchioni curatore farà invece passare, come seconda della sua gestione, una storia di Dall'Agnol forse ancora più innovativa sotto il profilo grafico (nelle diverse ricerche, entrambe altissime); e userà Mari per  la sua storia, al 337, "Spazio Profondo", restart dylaniato con elementi di SF. Il Sorriso è il colpo di coda sclaviano, l'ultimo suo grande capolavoro riconosciuto. L'anno dopo, scritte ancora alcune storie pregevoli, Sclavi di fatto si congederà a lungo dal suo personaggio.



Dopo un nuovo 162 di Ruju, che ri-manda Dylan in trasferta, nell'acquatica Bradwell, creando una minima continuity, Sclavi scrive una storia a due mani Sclavi-Barbato per i disegni del grande Roi al numero 163, Il mondo perfetto, che sembra quasi voler siglare la transizione alla Erede Designata.



Dopo Ruju al 164 con La Donna Urlante, il 165 vede l'apparizione di Mauro Boselli con "L'isola dei cani", cosa che permette di pubblicizzare ai lettori di Dylan l'uscita della nuova serie vampirica Dampyr. Tuttavia, i tempi non sono ancora maturi per un Cross-Over che si rivelerebbe indubbiamente interessante, e che è in attesa dopo il Rinascimento attuale, del 2013.



Ruju si aggiudica il 166 (storia numericamente interessante...) che è però non così memorabile, mentre il 167 va a Medusa della Barbato, con disegni di Brindisi, con cui - ora autonoma - pare rimarcare il suo ruolo di Erede. Medusa è spesso un alter-ego usato dalla Barbato nelle sue opere dylaniate, espressione anche del suo fruttuoso astio per il personaggio.



Il 168 va a Medda, ma Barbato torna al 169 in una affascinante cooperazione con Mari.



2001. L'ultimo Sclavi.









Col 2001 Dylan Dog entra, ancora abbastanza trionfalmente, nel nuovo millennio, dove inizia subito a sentirsi a disagio. Dylan, nato sul finire degli '80 ('86, primo anno completo '87) era stato il grande fenomeno mediatico dei '90, ed è un eroe che viveva idealmente in un mondo pre-cellulari, pre-internet, antitecnologico perfino contro l'high tech dei rampanti '80, figurarsi verso quello futuribile del Nuovo Millennio. Varcare la soglia psicologica "di Kubrick" porta indubbiamente ad accentuare questo distacco della serie dalla realtà, che solo più di dieci anni dopo si deciderà - non senza rischi - di colmare.



Allo stesso tempo il 2001 è anche l'anno del distacco di Sclavi, che scrive per l'ultima volta due storie dylaniate, prima di dare l'addio al personaggio.



La prima, al numero 173, è "Per un pugno di sterline", che cita Leone nel titolo e si incentra sull'Auri Sacra Fames, tema da sempre caro a quel vecchio comunista di Sclavi. La storia è di quelle da "zampata del vecchio leone": innanzitutto, per il forte tema anticapitalista (un demone ribelle strega le banconote per convincere gli uomini che il denaro è davvero lo sterco del diavolo, accentuando il potere psicomagico delle banconote di spingere verso l'avidità.



Una storia "alla Uccisori" dunque, dove invece che gli oggetti del capitalismo consumista è il simbolo stesso di questo sistema ad essere criticato, il Dio Denaro.



L'inizio palesa subito, al medio lettore sclaviano, la fuga di un demone dagli inferni con una sfilza di giochi linguistici cui l'autore ci ha abituato. Dylan, che chiede un prestito (e quindi non può per definizione averlo) vede la rapina condotta da un Uomo in Bombetta che cita "Golconda!" e l'arrivo di Sir Goodman, che si palesa subito come il "buon diavolo" (più che buon uomo) fuggito dagli inferi.



Il rischio buonismo è presente, ma come ai vecchi tempi, per una volta, Sclavi lo evita giocando sul buon vecchio splatter, mai così ricco dai tempi dell'età dell'oro, pre-70 diciamo, e profuso a piene mani da p.24 in poi. La citazione di "Inferno" (1980) di Argento, cui Sclavi deve varie cose, palesa che Deep Red, "Profondo rosso", è un carcere infernale.



Per il resto è una festa splatterosa, più scorretta possibile (a p. 48 appare anche un angelo con testa fallica, tra vari "demoni" trionfanti). Dylan invece va a letto con la bella demonessa, dopo aver scoperto che è una creatura demonica. A indicare, ancora una volta, come nel cosmo rovesciato di Sclavi al limite si possa avere una certa "Simpathy for the devil", che alla fine fa il ruolo per cui è stato progettato, ma non per l'autore generale del multiverso di inferni dove viviamo (come, del resto, chiariscono già le prime pagine con le "imprecazioni rovesciate" del diavolo carceriere).



La storia diverrà, curiosamente, un cult nell'ambiente del "Signoraggio", che riprenderà le metafore sclaviane sul Denaro demoniaco per sostenere le proprie teorie.







Curiosamente, i complottisti hanno preferito la 173, che è ancora molto simbolica, al "Il Progetto" (176), che riprende nuovamente il modulo "Uccisori", introdotto da Sclavi al n. 5, ma accentuando il reale "complottismo" (c'è anche il riferimento ai - reali - studi di Delgado). Potenti multinazionali e gli stessi governi usano, in questo caso, i telefoni cellulari per controllare la mente di individui microchippati, un grande classico che, su Dylan Dog, diventa anche ironia metaletteraria.



Uno dei grandi problemi nel rapporto col fandom (il fandom "residuo", dopo la crisi seguita all'abbandono dello splatter) è la diffusione di tecnologie. Dylan, nato negli anni '80 come contrario all'high tech, è sempre più difficile da coniugare in un mondo in cui, banalmente, sono onnipresenti cellulari e internet. Sclavi quindi ironizza su tale aspetto, immaginando un Dylan in lotta coi malvagi cellphones.



Come ho scritto altrove, il rilancio del 2015 con un avversario tecnologico, John Ghost, pare anticipato dalle ultime pagine del 176, dove il Man In Black dice a Dylan che proprio nel 2015 le tecnologie sperimentali che egli ha visto diverranno di massa. Un gioco simile a quello operato da Twin Peaks, il cui sequel - in lavorazione del 2015 - rispecchia gli originali "25 anni nel futuro" in cui si svolge il sogno del detective protagonista. Non quindi una anticipazione voluta, ma una (probabile) citazione interna.



Sclavi qui reintroduce anche la giovane avvocatessa dall'aria di Meg Ryan (considerata da tutti una ragazzina) di Cattivi Pensieri, per renderla oltretutto sul finale aperto mind-controlled. Un finale che faceva pensare a una possibile ripresa della storia, con un ritorno di questo affascinante e però poi abbandonato personaggio.



A cento albi dall'albo che aveva segnato la crisi dello splatter (il 77, "Caccia alle streghe"), Sclavi quindi lascia, con due ultime zampate di splatter che paiono indicare una possibile direzione. Il suo ritorno intorno al 250 sarà, pur nel segno ineffabile del maestro, meno incisivo.



*



La "erede designata" Paola Barbato passa da due a tre albi, qui pubblicati al 172, al 175 e al 183, apertura e chiusura dell'anno.



"Memorie del sottosuolo" (172) cita Dostojevski ("solo nel titolo", si affanna a chiarire il redazionale, per evitare eccessi di hybris: mentre invece il clima cupo e pessimistico rimanda bene all'autore) e sviluppa una terribile "storia di villaggio" per cui il nuovo Casertano è perfetto nel tratto cupo e lombrosiano. Anche l'ultima, "Requiem per un mostro" (183) riprende l'orrore di villaggio con Casertano, con un mostro di Loch Ness creato dall'avidità dei sindaci della zona e dalla multinazionale turistica che la sfrutta. Un albo su un complotto che è, curiosamente, quello uscito all'indomani dell'11 settembre. In generale, la Barbato mostra la sua forza nel prosieguo della storia, che comincia in modo più affine ad altri sceneggiatori, ma si evolve in modo particolarmente drammatico, carico di conseguenze particolarmente dolorose per il protagonista, di cui evita sistematicamente la ripresa del tipico dongiovannismo.



New entry è Tito Faraci, autore di un rinnovamento noir del Topolino disneyano, che esordisce col 177. Faraci, pur avendo solo una parziale collaborazione alla rivista, sarà meno episodico nelle sue presenze rispetto ad altri grandi nomi, offrendo un Dylan spesso più noir che horror, secondo l'evoluzione che avrà la testata. Qui, affiancato da Saudelli ai disegni, costruisce una storia eccellente per ritmo ed efficacia, ispirata a un racconto di King.









L'anno vede poi la presenza di cinque storie di Ruju, autore molto prolifico di questi anni e, quindi, necessariamente non sempre a livelli altissimi di innovazione. La storia vampirica doppia agli albi 180-181 è quella presentata dal libro di testo con cui insegno, "Interminati spazi", dal titolo leopardiano, azzeccato, e la copertina poco invitante per il mio pubblico del biennio, ma decisamente aggiornata per quanto riguarda le scelte dei brani. Tra questi, appunto, stralci della doppia suddetta, attribuita a Sclavi e senza menzione di Mari (provvedo sempre a far correggere).



2002. L'abolizione dello sclavismo (184 - 196).









Nel 2002 Sclavi lascia il suo personaggio in modo pressoché definitivo : un abbandono che durerà quattro lunghi anni di assenza dalle sue pagine, pesando anche sotto il profilo della crisi della testata, lentissima ma inesorabile. Tornerà con un mazzo di storie tra 2006 - tre - e 2007 - una, per il numero 250. Al suo ritorno (non "salvifico", comunque) si era ormai giunti alla soglia delle 200.000 copie.



A giugno Vincenzo Gnoli lo intervista per Repubblica, interrogandolo circa il suo abbandono del personaggio. Gnoli ne riconosce la statura, che continua a essere sottostimata a tutt'oggi, come il principale autore letterario italiano degli anni '90-2000.



"Insomma come vive oggi uno degli uomini di maggior talento narrativo che l'Italia degli ultimi trent' anni ha avuto? «Mi sono sposato», dice, «e vivo felice». La sua nuova casa è a un' ora circa di treno da Milano, immersa nel verde di un bosco, al riparo, si direbbe dalle nevrosi che assediano le città."



Si evince la delusione di Sclavi in seguito al fallimento editoriale del romanzo "Non è successo niente" (1998), un postmoderno letterario ormai fuori dalla "Circolazione del sangue", se è da intendere in senso stretto come romanzi a fondo horrorifico.



«Stephen King ha descritto benissimo cosa vuol dire per uno scrittore di talento finire nel gorgo della crisi: la paralisi mentale, la noia che avvolge i pensieri, il senso di inutilità. La differenza è che le sue crisi sono durate alcuni mesi. Le mie vanno avanti da anni». Se dovesse definire la crisi con una battuta? «Qualunque cosa decidi di scrivere deve nascere da una spinta interna. Se non c' è quella, se non c' è il desiderio, che fai?». è databile questa crisi? «è cominciata seriamente con il mio ultimo libro pubblicato». Se non sbaglio un romanzo. «Non è successo niente è il titolo. Avevo riposto aspettative enormi in quel romanzo». Perché? «Parlavo di me, forse di una generazione un po' allo sbando. E poi, diciamo la verità, non mi dispiaceva quello stile...». Un po' cinematografico... «Ecco. Capisce? è come sapere di avere la storia giusta e le persone a cui raccontarla. Mi aspettavo un successo, come minimo, planetario». E invece? «Settemila copie, con un grande editore. Mi è crollato il mondo».



Appare interessante anche questo passaggio:



Altre passioni artistiche? «Il regista cinematografico, ma è un lavoro troppo di gruppo perché io lo possa davvero fare. E poi il cantautore, ma ahimè sono stonato». Però ha scritto canzoni. «Delle ballate. Umberto Eco mi ha detto che la metrica di quelle ballate era sbagliata. Ma io le ho scritte pensando alla musica e non per essere recitate». 



Sclavi è scrittore quasi per necessità, ma si lega sempre a medium popolari: fa fumetto - e letteratura, come detto prima - pensando al cinema, poesia pensando alle canzoni. Infatti difende appeno Dylan Dog (e torna il parallelo con Holmes, sempre per differenza):



«Anche in Dylan Dog ho investito tantissimo. Lì dentro c' è la mia vita. Non ho mai fatto classifiche su che cosa era meglio, se scrivere fumetti o romanzi». Le dà fastidio che se ne parli? «Niente affatto. Non sono come Conan Doyle che odiava Sherlock Holmes. In tutto avrò scritto un centinaio di storie di Dylan Dog. E spesso piangevo quando morivano i mostri. Capisce che alla fine uno come me si sentiva un po' spompato».



Sclavi dà fiducia piena, certo anche inevitabile, ai suoi eredi.



«Ritengo che gli sceneggiatori che mi hanno sostituito siano bravissimi. Oggi i miei interventi sulle storie sono davvero minimi». Dopo Sclavi i nipotini di Sclavi. «Non la metterei in questi termini. Nei momenti di massima esaltazione mi piace immaginare che certe cose abbiano dato vita a un gruppo. Però sono per l' abolizione dello sclavismo»



Interessante è che rivendichi l'abolizione dello "sclavismo", ovvero il rifiuto di una "scuola" che deve prendere lui come modello (rifiuta infatti "i nipotini di Sclavi"). Sclavi rifiuta anche come "ricattatoria" la connessione tra analisi e scrittura, ma è innegabile la suggestione (finisce l'analisi nel 1999, e la scrittura più o meno nello stesso momento):



Quando ha terminato l' analisi? «Circa tre anni fa». Si potrebbe insinuare che quando ha smesso con l'analisi ha anche smesso di scrivere. 



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Anche in quest'anno continuano i tentativi - sempre poco riusciti - di transmedialità. Dylan Dog passa alla radio,iniziano inoltre in USA i lavori per il film di Dylan Dog con un trailer tratto dal numero uno. Il film sarà poi profondamente deludente, e già qui appaiono le modifiche che saranno apportate.



L'anno dell'abbandono di Sclavi si apre col ritorno di Stano ai disegni, che illustra Ruju nel 184, ambientato a Venezia. Una notevole investitura per Ruju, che continua a reggere, almeno quantitativamente, le sorti dell'indagatore in questi anni della seconda decade.



L'albo è di nuovo una delle rare trasferte estere di Dylan, di nuovo in Italia dopo "La morte rossa" (126), ove reincontra Corradi, l'ispettore di quella storia (forse riferimento a Corrado Roi, che ne era stato il disegnatore).



I disegni di Stano si allontanano un po' dal solito Egon Schiele, per avvicinarsi in un rispettoso omaggio allo stile di Pratt, il grande veneziano dei fumetti.



La trama, invece, si ricollega al 141, col ritorno dell'Angelo Sterminatore Saul, e al 155, con la ripresa degli Illuminati, contro cui anche Dylan si è trovato a combattere nei suoi albi più "complottisti" (una tendenza ripresa poi dall'ultimo Sclavi). Se gli Illuminati sono evocati esplicitamente solo qui, essi sembrano dietro ad albi come "Gli Uccisori" (5, il primo di questo tipo) o Canale 666, basati sul controllo mentale, e certo li evoca l'ultimo Sclavi, nel 176.



Sembra quasi che Ruju crei una sorta di possibili "eredi di Xabaras" negli Illuminati, ma il tema in seguito non è ripreso, nemmeno nelle numerosissime storie dell'autore di quest'anno, alcune anche riuscite, ma in un segno diverso, più intimistico e/o giallistico.



Tra queste storie, l'unica altra di Ruju a introdurre blandissimi elementi di continuity è la maledizione di Mordecai, che ci fa scoprire che i Bloch sono detective da generazioni, e Herbert Bloch è l'ispettore che ha condannato l'illusionista/killer nel 1887, gli anni dello Squartatore (nel restart del 2014 Bloch, cui verrà dato il nome di Sherlock, dirà che i genitori l'hanno spinto, con quelle letture, verso la professione: resta l'idea di una "aria di famiglia". Un Bloch del passato appare anche nell'albo 305, forse lo stesso Herbert Bloch, non nominato).







La più riuscita di Ruju in quest'anno, almeno nei gusti del pubblico, è probabilmente L'eterna illusione con Roi, al 193, dedicato appunto all'eterna illusione dell'amore. Sconfitto Gaze, l'oculista killer (Gaze in inglese è "fissare") che conserva gli occhi delle sue vittime per fissarvisi dentro, Dylan ha la solita storia d'amore mentre Fallen, l'angelo caduto degli amori finiti, va in giro ad ucciderli. Anche Groucho si innamora in questa storia, di una sua "cliente" che lo paga per insegnarle a ridere. Dylan lascia Paulette quando questa gli propone di sposarlo, fuggendo e tuffandosi in un bar per ubriacarsi, sia pure in uno stato di choc.



La storia ha anche uno strascico di lettere di complimenti inviate alla redazione, orgogliosamente mostrate nei numeri successivi. Del resto il tema sentimentale è di facile presa, e oggettivamente la storia lo sviluppa in modo adeguato, generando la storia forse più apprezzata del 2002.









L'innamoramento di Groucho è in continuity nel 194, un dichiarato remake del Blair Witch Project (1999) tutto sommato riuscito, con testi di Chiaverotti - un po' confuso sul finale - ed eccellenti disegni di Mari. La fidanzata di Dylan accarezza Groucho, materna, mentre i due partono per il villaggio della strega, e Dylan usa il cellulare, sia pure dopo averlo rifiutato inizialmente. Il suo anti-tecnologismo quindi è già qui relativizzato.



Nel 188 invece Chiaverotti fa occupare Dylan di un gioco di ruolo assassino, in una storia di senza infamia né lode. Il tema tornerà tra l'altro poco dopo, nel 197.



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Nel 2002 la "Erede designata" Paola Barbato ha tre storie, che ne confermano l'indubbia bravura.



"Phobia" (185) è una storia su un serial killer di fobici, da cui emerge, come in altre storie dell'anno, un certo superamento dell'anti-tecnologismo di Dylan (vedi p. 62).









Il 189 si distingue per un errore di inglese (frequenti in Dylan Dog) addirittura in copertina. "Where are them?" riferito alle donne scomparse, invece di "Where are they?" come sarebbe corretto per persone e non cose. Come spesso nelle storie della Barbato, Dylan Dog non conquista nessuna delle clienti, che lo trattano invece in modo piuttosto acido. Trasferta in Groenlandia, dove ritrova senza successo la vecchia fiamma Elke.







Il 191, Sciarada, è basato sul concetto delle Sciarade, che la Barbato rende però anagrammatiche. Tuttavia si conferma la positiva volontà di innovare il modulo dylaniano.








Alla continuity sentimentale del fumetto pare rimandare la prima storia di De Nardo in quest'anno 2002. Il 187 illude infatti, con la cover fuorviante, di parlare dei vari amori perduti di Dylan, mentre invece sembra solo essere tornata Lillie, la terrorista irlandese amata da Dylan nel suo passato. Ovviamente il ritorno è solo illusorio. Sceneggiatura di De Nardo, disegni di Brindisi, che aveva già rappresentato la prima storia, quella del Decennale.







Trasferta a Liverpool - con inevitabili, e riuscite, citazioni dei Beatles (ad esempio, la Dog-Girl del mese che suona in una Beatles tribute band e ha il terrore degli scarafaggi) - anche per il numero 195, che va a citare invece "Il sesto senso" (1999) di Shyamalan. Sviluppo troppo puramente giallistico, quello di De Nardo, con i disegni di Cossu, salvo ovviamente per il rovesciamento finale. In rete la storia è vista malissimo, peggio forse di quanto oggettivamente (de)meriti, considerata quasi la "pietra di paragone" in negativo prima de "Una affezionata clientela". In effetti la storia sembra un giallo riadattato male a Dylan con l'espediente "Shyamalan", e in più con un tono fiabesco che sembra voler dissimulare le approssimazioni di sceneggiatura; coerentemente col tono da fiaba, la storia è una, rarissima se non unica, in cui non muore nessuno. Degna di nota è anche la prima apparizione lo studio di Dylan in copertina (e unica, credo).









Chiude l'anno il numero "natalizio" 196, di Ruju e Casertano. Dylan di nuovo in trasferta, stavolta con Groucho, in Galles, per un classico numero natalizio. Un Dylan che viaggia molto, in questo 2002, e molto affidato a Ruju, che firma ben cinque sceneggiature in quest'anno, quasi la metà del totale. Per contro, nel 2003 egli lascerà il campo ad altri autori, forse anche per non saturare eccessivamente il personaggio con la sua visione.



2003. L'Anno del Bicentenario (197 - 208)







Il 2003 vede invece una sorta di "anno sabbatico" di Ruju, dove non appaiono sue storie, forse per bilanciare la saturazione dell'anno precedente. Barbato, Medda, Faraci e De Nardo si dividono abbastanza equamente le sorti della testata, con due-tre storie a testa; una puntata spetta anche a Chiaverotti, sempre meno presente, alla sua penultima storia di Dylan, al 194.



Al 197, ai disegni, esordisce il talentuoso Celoni, che tornerà anche nel Nuovo Corso del 2014 con una storia da autore completo. Qui illustra un divertissment di De Nardo molto simile al Labirinto di Bangor già apparso l'anno precedente. Se là si omaggiava più Dungeons and Dragons, qui si riprende forse più Jumanjee (1995), ma con minima variazione sul tema.



I numeri 198-199, che preparano la volata al 200, sono una doppia di Medda (forse l'unica dell'autore) con disegni di Freghieri. La storia, grazie anche all'ampio spazio narrativo concesso, risulta piuttosto convincente e ben strutturata. Tutta la vicenda ruota attorno a un corso motivazionale basato sulla Disempatia, in grado di scatenare l'aggressività, fino a spingere all'omicidio. Anche Dylan Dog, che si infiltra nel corso per indagini, ne risulta soggetto e giunge ad atti piuttosto estremi, non solo diverse aggressioni ma perfino una tentata violenza sessuale. Anche il finale, dove il cattivo non è ucciso, ma ripagato della sua stessa moneta "disempatica", divenendo la "regina" del re del carcere che lui stesso ha formato, è particolarmente cruda per gli standard bonelli.



Ma Medda, giocando abilmente su sottintesi e non detti, riesce a farla passare, con un albo crudo ed efficace, che dimostra come i limiti bonelliani si possano elasticizzare. La storia indaga bene il lato violento del personaggio, di solito minimizzato, e ovviamente quello della società, senza cadere nello stucchevole, rischio diffuso con Dylan Dog.




Sclavi non torna nemmeno nel 200, affidato alla Barbato, ove per la prima volta si lanciano in cover Groucho e Bloch, mai apparsi (Bloch tornerà in cover col suo abbandono, nel nuovo corso del 2014). Una cover però convenzionale nell'impostazione, non particolarmente efficace; titolo tautologico, che gioca sull'indirizzo di Bloch. Molto meglio l'apparizione spuria di Bloch sull'Almanacco del 1999 (in cui la violazione delle regole non ha motivazione specifica), con un Bloch cattivo (anche se perché di una realtà alternativa).







Sclavi nel 200 firma l'editoriale, promettendo di tornare; lo farà infatti per alcune storie, e per la celebrazione successiva, il 250, e poi chiuderà per sempre.



La Barbato (che Sclavi, pare, avrebbe voluto come nuova curatrice) pare definitivamente insignita dell'eredità sclaviana con la concessione perfino di una storia celebrativa come questa, che riprende da dove era finita la - ormai lontana - celebrazione del numero 120. Là avevamo visto Dylan disperato per la morte dell'amata terrorista irlandese Lily; qui lo vediamo preda dell'alcolismo, e assistito da Bloch che rivede in lui il declino del figlio eroinomane.



L'albo, troppo sbilanciato sullo psicologismo davvero caro all'autrice, piuttosto che sull'orrore, potrebbe anche essere accettabile. Stride però l'omaggio - ma qui, penso, più il voluto attacco - a un mostro sacro come lo Zanardi di Pazienza, che viene tramutato nel figlio eroinomane di Bloch, presentato come un debole quando Zanardi, all'opposto, è la forza della malvagità pura, quasi disincarnata.



A parte questo, la Barbato gioca invece bene di incastro sui tasselli accennati della continuity dylaniata.



Viene confermato il fatto - fortemente simbolico - del numero 31, ovvero che Dylan affitta l'appartamento dal Direttore del nuovo Grand Guignol; la Bodeo 1889 recuperata nel Lungo Addio spinge Dylan a fare il detective; a Safarà trova il Galeone, dono "di un padre al figlio" che non ha mai però consegnato (e nella scena dopo vi è Xabaras che parla con Hamlin: è lui che glielo ha fatto avere, per produrne, quando sarà necessario, il risveglio per lo scontro finale del 100).



Non male anche il fatto che la collaborazione con Groucho inizia come attività di truffatori, poi risolvono un primo caso (citazione da Ghostbuster) e si fanno pagare col Maggiolino - in vendita nel quartiere a 350 sterline, ribassate a 200.



La visione critica di Zanardi che appare nell'opera è interessante. In sostanza, tra le righe Barbato dice che Dylan è il figlio prediletto (del fumetto italiano?) nonostante il "figlio biologico" avrebbe dovuto essere Zanardi. Lo Zanardi di Pazienza vive nelle storie dal 1981 al 1988, con la morte del suo autore; Dylan appare nel 1986 (nasce nel 1985) e sopravvive di gran lunga ad entrambi. Pazienza e Zanardi, autore e personaggio, per Barbato vanno annullati nel mito che si è creato di loro.



Mito che ha storia travagliata: subito Pazienza è rimosso per la sua morte d'overdose, e solo nei '90 riprende un suo culto prima sotterraneo, poi palese, che sfocia nel 2001 in un documentario, nel 2002 in un film di fiction ispirato ai suoi eroi, "Paz!". La storia della Barbato è nel 2003, e quindi probabile reazione al nascente mito.



La Barbato quindi palesa la sua insofferenza verso il duo Pazienza-Zanardi, accomunati nella loro natura di tossici e di deboli; viceversa, ammira Sclavi-Dylan che, a suo avviso, partono dall'alcoolismo per superarlo, rivelando maggiore statura morale. In realtà il rapporto (del personaggio: non saprei dell'autore) con l'alcool è meno risolto di quel che sembri dire Barbato: se in Zanardi c'è una - irridente - apologia del male (ma il nichilismo di Pazienza è così estremo da relativizzare pure quella: alla fine Zanardi "è un duro, oppure un fesso pericoloso"), Dylan correttamente letto è sempre combattuto, mai risolto nella sua lotta coi suoi demoni (come intrinseco nella sua natura seriale).



Comunque, va a mio avviso premiata almeno la scelta di una impostazione personale e coraggiosa.



Al 201 si riprende con un citazionismo un po' stanco, in una storia che è un remake di Misery non deve morire di Stephen King. Disegni di Mari sempre apprezzabili, ma la formula è ormai un po' usurata e mostra l'evoluzione del citazionismo dylaniato: se in Sclavi - e nei migliori imitatori - era una fusione e reinterpretazione di elementi diversi, un cocktail micidiale, un pastiche avvelenato e postmoderno, qui diventa un remake in chiave dylaniata di un classico dell'horror, come anche questa volta con De Nardo.



Interessante, nell'Horror Post, il commento allo storico numero 200 del mese prima, dove si evidenzia sottilmente come la svolta della Barbato non sia stata così concorde: si dice che "Sclavi e Marcheselli sono stati prodighi di consigli (inascoltati) e di bacchettate sulle dita..." lasciando intendere come la direzione intimista non sia stata totalmente condivisa. Un merito in più, obiettivamente, per l'autrice, che ha saputo proporre, almeno, una sua visione del personaggio anche contro il "padre fondatore".







Col Settimo Girone, al 202, torna di nuovo la Barbato e la sua visione del personaggio. Totalmente assente Groucho, per una rara volta, Dylan disprezzato dalle donne - l'infermiera killer, il personaggio più interessante.



Magnifica la copertina infernale, con Dylan/Caronte e diavoli muscolari che ricordano quelli del Signorelli. Uno Stano pittorico ma ancora di grande efficacia. Il nuovo albo dedicato a King è affidato a Roi, un Re per il Re.



Se molti precedenti omaggi, come detto, erano troppo lineari, questo della Barbato si rivela di ottimo livello nel mescolare le trame e spiazzare il lettore. La citazione di King è il mondo in dissoluzione temporale dei Langolieri, ma riletto abilmente.



Già nel 122 Dylan si era trovato intrappolato al Confine tra vita e morte; qui (due albi dopo un albo-chiave "a colori", di nuovo) si trova a essere, come da Cover, il nocchiero di un gruppo di assassini che al tempo stesso stanno per morire per l'azione delle Parche. L'azione di Samael, il serpente cosmico dell'Eden, sarebbe solo una copertura per un loro errore, ma la cosa appare volutamente ambigua per le coincidenze che vengono ad assommarsi. Quattro assassini, tutti e quattro a Londra (nel giro anzi di un ristretto quartiere) e tutti e tre destinati a morire e per di più ad essere guidati da Dylan Dog nel loro inferno (il Settimo girone degli assassini del titolo). Sembra più un voluto rituale che non una pura casualità, e comunque una storia che lascia una giusta sospensione di inquietudine.







La 203 di Medda, invece, continua la sua visione metaletteraria, già presentata ne "La prigione di carta", il 123. Se la la riflessione metadylaniata seguiva al decennale, qui segue al numero duecento, e assume nuovamente un valore interessante per il livello metaletterario che propone. Là veniva criticata, tramite la figura di un Bukowski horror, l'eccessivo buonismo dylaniato, il letterario ed esasperato gusto di porsi "dalla parte degli ultimi"; qui invece si ironizza sull'edulcorazione della serie, con un programma tv, ripreso dagli Addams (la famiglia Moonsters) che viene gradualmente normalizzato nel rassicurante "La famiglia Milford" del titolo. L'autore è poi costretto a scrivere questa serie ormai banalizzata, animato dall'odio più puro verso chi l'ha costretto all'edulcorazione, fino a divenire un assassino.



Ironia di doppio livello perché, se ironizza sulle censure televisive, certo parla anche di quelle dylaniate, ma in fondo dicendo che qui, a saperlo usare, vi è ancora un considerevole margine di libertà.



Resurrezione (204) di Tito Faraci gioca sul poliziesco a lui caro, con una riscrittura horrorifica di Challagan, poi al 205 Chiaverotti con un incubo che torna dall'infanzia di Dylan, un compagno odioso dei tempi della scuola.







Il 206 è della Barbato, nuovamente in coppia con Brindisi dopo il fortunato numero 200. Storia interessante, che la stessa Barbato (o un suo alias riuscito) spiega sul sito ufficiale di Craven Road evidenziandone la particolarità. Il "mostro" principale della storia è un pedofilo omicida, ma nonostante questa sua caratteristica non è tratteggiato come una figura demoniaca, ma come una persona normale, della porta accanto. L'autrice inoltre rinuncia alla suspense (si capisce abbastanza subito il suo ruolo) per favorire questa introspezione inconsueta. Le altre vittime sono colpevoli a loro volta: sono i testimoni (tratteggiati molto bene psicologicamente, come al solito nella Barbato, che nell'approfondimento psicologico ha il suo punto di forza), che egli inizia a eliminare, ma che anche le forze sovrannaturali del parco, gli alberi che agiscono col favore della nebbia, eliminano per la loro passività.



"Ti aspetti che si sradicassero per inseguirti come nei cartoni animati?" dice alla fine Dylan con sarcasmo all'assassino. Non siamo quindi nel campo di un horror-fantasy classico, non sono una versione dark gli Ent, gli alberi agiscono con un potere psichico che fa impazzire e quindi spesso uccide le loro vittime. Un orrore "panico", in grado di suscitare il "terrore di Pan" come le foreste d'Arcadia nell'antica Grecia, quando lo stormire delle fronde ricordava l'inquietante, ma inesistente flauto del dio Capro.







Al 207 ritorna De Nardo, con i disegni di Roi. Bella la cover molto iniziatica e vagamente paramassonica per questa storia su una setta diabolica. Una storia non molto apprezzata dal fandom, ma che ha alcuni pregi, a mio avviso (del resto, io sono un appassionato di sette esoteriche). Dylan si intrufola nella setta come Dylan Doyle, gustoso riferimento all'autore di Holmes (che combatte una setta nel suo primo romanzo, Uno studio in rosso).



Il 208 è di Faraci, con disegni di Cossu, "Un mondo sconosciuto". Sulla posta, si annuncia che il numero 200 ha vinto il premio Fumo di China come migliore storia, segno innegabile della salute del personaggio. La Barbato sembra prescelta come erede, ma al suo fianco si notano le interessanti interpretazioni di Medda, pur nelle presenze saltuarie, e di Faraci, che però qui è fuori fuoco, con una storia in un simil-fantasy che non decolla, in pole position nella poco ambita lotta delle peggiori storie di Dylan (per il fandom) con "Una affezionata clientela" (299) di Marzano e "Uno strano cliente" (195) di De Nardo, di poco precedente. Faraci non usa la parola cliente nel titolo e sfugge al cliché della storia di spettri, eppure riesce, qui, a mancare la storia in modo effettivamente marcato. I disegni di queste tre "meno amate dai dylaniani" sono tutte per disegni di Cossu: e se io dissento in parte sul 195 (non eccezionale, ma comunque non priva di qualche gradevole divertissment) credo che dipenda dalla difficoltà di usare un autore pregevole come Cossu, ricco di dettagli, in storie horrorifiche dylaniane. Se con un Mari o un Roi si va sul sicuro nell'effetto artistico di grande impatto, Cossu col suo stile dettagliato richiede storie ricche di minuziosi dettagli, per una rilettura accurata nel segno del citazionismo dylaniato. Quando tale scrittura latita, la crisi è in agguato.



2004 (209-220). Duecento. E dopo?



Se il 2003 aveva visto al centro la voragine di un 200 saltato da Sclavi (riempito in modo interessante dalla Barbato, nella prova professionale più impegnativa, a detta dell'autrice, su D.D.), il 2004, anno più "di transizione", vede iniziare una certa tendenza al "tran tran" troppo regolare della serie, certo inevitabile ma non certo proficuo. Non mancano certo i singoli begli albi, ma la saturazione inizia a farsi evidente.



Il 2004 inizia con un numero 209 metaletterario di Medda, "La Bestia", che continua la sua indagine horrorifica sul significato dell'arte. In questo caso al centro c'è un attore legato a una maledizione atroce, e in qualche modo la storia da il La a un anno in cui ricorrono alcune storie "meta" anche di altri autori.









Metaletterario, per certi versi, è anche il 210 della Barbato, "Il pifferaio magico". In questo caso l'aspetto meta è più relativo a un certo percepibile autobiografismo nella riscrittura della fiaba del pifferaio di Hamlin, che viene connessa all'Hamlin di Safarà, col suo negozio sospeso tra le dimensioni. La copertina di Stano è perfetta, nella sua riscrittura del Quarto Stato dei Mostri: nella storia infatti Hamlin è connesso al suo flauto, il reperto più prezioso, che finisce infine nelle mani di Xabaras.



Davvero eccellente, in quest'anno, della Barbato è invece il 212, Necropolis, albo cupo e claustrofobico degno del miglior Sclavi non solo per la suggestione, sempre potente nell'autrice, ma per l'esattezza di scrittura, precisa come un alienante orologio svizzero, sul modello del maestro.



Col suo noir, al 217, Faraci azzecca invece "Il grande sonno", sui prestigiosi disegni di Stano. Ma, se qui è giocato ai massimi livelli, la storia indica un rischio che si farà più forte nella decade seguente, quella di un Dylan troppo appiattito sul "giallismo", con l'horror a fare di sfondo.









Esordio di Masiero con disegni di Mari al 218, "Incubo dipinto", storia che omaggia San Sebastiano, secondo una esplicitata tradizione colta che rimanda, per certi versi, all'esordio della Barbato. Masiero, nell'anno seguente, inanellerà ben cinque storie di Dylan, anche se in seguito diraderà la sua presenza, trafitto da altri impegni editoriali. Le sue storie sono solitamente corrette, ma prive dello slancio per farne una "punta" (come Barbato e Medda), ma in grado di costituire una buona vox media - non sufficiente, però, a contrastare l'incubo dipinto della crisi di vendite.









"La decima vittima" (219) di Faraci porta l'annata verso la conclusione con una nuova storia metaletteraria su un libro che uccide. Si cita coerentemente Lovecraft nel corso della storia, e la soluzione narrativa, come spesso in Faraci, è piuttosto elegante, con un occhio allo splatter (ad alti livelli, con una rupture del suo tradizionale superamento nella seconda decade) ma anche ad una struttura circolare abbastanza impeccabile che esalta la circolarità della maledizione: un diavolo (che ha un negozio stile Safarà) ottiene il Demone della Scrittura di uno scrittore fallito in cambio del successo letterario, e usa il demone per un libro maledetto dove leggiamo l'omicidio della vittima successiva, fino a che Dylan non lo annulla facendolo tornare nelle mani dell'autore stesso. La citazione del titolo, invece, non c'entra con Sheckley.



2005. L'anno di Masiero (221-232).



Quattro storie di Masiero, primo autore dell'anno, sopra perfino Ruju (3) e Barbato (2), oltre alle singole di Medda e De Nardo. La Barbato, erede sclaviana, viene centellinata, mentre si cercano altri possibili eredi, buone voci medie a fianco delle più rare "punte di sfondamento"



Masiero (1967), di Rovigo, si avvicina al fumetto nel 1985 con Fumo di China; scrive "Raccontare Dylan Dog" e l'analogo volume dedicato a MM. Entra nel 1991 in Bonelli, lavorando inizialmente su Mister No. Su Dylan Masiero cerca, con un certo successo, di portare un taglio pirandelliano, alla Così è se vi pare, che risponde abbastanza bene a Sclavi (che al Mattia Pascal dedicò anche un numero). La nomina a Redattore Capo Bonelli gli toglierà però tempo per la sceneggiatura, in seguito, rendendo la sua presenza più episodica.



Per il resto, l'anno regala solo una vera e propria perla, il numero 228 della Barbato, che costituisce una originale riflessione sulla "morte dell'autore" che si sta consumando in Dylan Dog.



2006. Il Ritorno del Ventennale (233 - 250).











Nel 2006 il calo di Dylan inizia a divenire innegabile.

Siamo sulle duecentomila copie, più o meno stabili dall'anno precedente.

Ottimi dati, ma non in rapporto alla rivista.

Del resto, siamo giunti ormai al ventennale, 1986-2006.

Una certa stanchezza ci sta, e la "cifra tonda" è l'occasione per un possibile rilancio.



L'anno si apre benissimo, al 233, con una storia del sempre valido Medda, per gli eccezionali disegni di Stano. Data la disponibilità del grande disegnatore-simbolo della serie, Medda scrive una delle storie meno ironiche, più vicina alla cupezza primigenia di Sclavi, in una onirica sfida con un "Ospite sgradito", un topo che kafkianamente conduce Dylan sull'orlo della follia. Medda tornerà anche al 236, con il più ordinario Freghieri.



Il 237 della Barbato, "L'ultimo arcano", è una storia tarologica di cui sorprende in particolare il finale, particolarmente cupo e cattivo: quasi il Dylan degli Uccisori, salvo che il finale è aperto, con una scelta spiazzante già presente in alcuni numeri storici ("Caccia alle streghe" su tutti) ma che mostra la natura ancora abbastanza autoriale di questo tardo "secondo Dylan".



Ma il vero evento dell'anno è il ritorno di Sclavi, in occasione del ventennale.



Sclavi, in effetti, sul 200, aveva scritto ai lettori non escludendo un ritorno al personaggio, ma si era ritenuto il suo pronunciamento molto di maniera. Invece avviene un ultimo tentativo, a partire da "Ucronia" (240), bella storia su una sorta di distopia fasciocomunista alternativa disegnata da Saudelli, in cui tornano, con espediente diverso, le ossessioni sul NWO del "penultimo Sclavi", al 173-176.



Ancora una volta, però, Sclavi preferisce cedere la celebrazione dylaniata alla Barbato: stavolta si tratta di un doppio numero a colori (241-242), in cui viene ripreso il ciclo di Xabaras.

Il doppio albo sembra introdurre una possibile fine alternativa alla fine assoluta di Dylan Dog,

scritta da Sclavi nel numero 100. Nella doppia della Barbato, all'apparenza Xabaras muore, dopo l'ennesimo fallimento della sua ricerca della vita eterna. Invece Masiero con "Gli eredi del crepuscolo" chiude in trilogia i due mitici episodi di Inverary, al n.7 e 57, con un ritorno (ormai episodico) di Montanari e Grassani, che di quegli ambienti erano stati gli ideatori grafici.



"Il gran bastardo" di De Nardo è una divertente riedizione horror de "Il rompiscatole" di Jim Carey, mentre "Sonata mortale" di Ruju gioca con un elemento fondante della continuity dylaniata, quello del Trillo del Diavolo, unica musica che Dylan suona al clarinetto, sua vera e propria, misteriosa, ossessione. Insomma numerosi albi ricchi di interesse, che però forse risentono di una comunicazione sempre meno adeguata all'era della rete, e non riescono a catturare nuovi fan (o almeno a riportare indietro quelli noti).



A Sclavi vanno poi invece le due storie dopo il traino del ventennale, la 243, nella formazione iniziale con Stano, e la 244, col grande (ma più presente su Dylan) Casertano. Storie di uno Sclavi forse minore, ma certo da riscoprire, che preludono al suo addio al personaggio con l'ultima celebrazione, quella, di lì a poco, del 250, l'anno successivo. In 243, l'ipotesi di un Dylan come fantasia di un serial killer fornisce una possibile fine amarissima a tutta la serie, ipotesi avvalorata dal tandem con il "co-fondatore" Stano; al 244, "Marty", abbiamo un meta-discorso sull'orrore dylaniato come punizione dei malvagi, fantasia orribile ma in fondo in-nocente (nel senso etimologico, "che non nuoce"). Un discorso simile a quello di King sull'orrore come derivato delle morality plays puritane di età elisabettiana, il desiderio di veder puniti gli eterni impuniti.



Il definitivo addio al personaggio arriverà per la celebrazione del 250, storia a colori, con Brindisi (l'autore dei "celebrativi intermedi" fino allora: le nozze del 120, il ventennale della Barbato). Di nuovo ritornano i multiversi sclaviani (anche forse per dire: gli altri contro-finali, 243, 244, e anche quello della Barbato, sono magari alcuni degli "infiniti mondi possibili" di Dylan) e con Dylan che finisce davanti al tribunale dei suoi tre grandi "nemici": la morte, il diavolo, e il burocrate infernale. Un affidamento al giudizio delle "alte sfere", analogo a quello dei lettori: "A voi, posteri, l'ardua sentenza", pare concludere Sclavi come un altro grande narratore-poeta milanese.



Col 244 di Sclavi si chiude quindi l'anno e Dylan entra nella sua terza decade di vita. La testata, pur nel calo fisiologico di vendite (e forse qualcosa in più) finora si difende ancora bene.



Nel 2006, inoltre, a Marcheselli come curatore si affiancherà lo sceneggiatore Giovanni Gualdoni, che sarà poi dal 2009 il nuovo curatore. Curatore non accreditato in testata, come nemmeno Marcheselli: tutto è attribuito all'impalpabile supervisione sclaviana, anche dopo il dichiarato abbandono (Recchioni otterrà invece la curatela riconosciuta sull'albo). Il cambio della guardia doveva preludere a un rinnovamento nel segno del colore (in costante miglioramento "tecnico" sugli speciali: il 100 è ovviamente stupendo, ma con mezzi ancora tecnicamente più limitati e forzatamente più "piattisti"), ma l'evoluzione sarà poco soddisfacente, almeno sotto la prospettiva di vendita.



Nonostante il fervore del ventennale non buchi i giornali come il Dylan dell'esordio, non manca un curioso tentativo di appropriazione a destra, nelle celebrazioni un po' di maniera.



Dylan Dog è di sinistra, come il suo autore, Tiziano Sclavi, oppure, come si suol dire, è fuggito dal suo padrone e dal laboratorio e si è trasformato addirittura «in un anarca di jungeriana memoria»? Nella pagina più colta de «Il Secolo», quotidiano di An, la domanda del giorno è proprio questa, alimentata dal ventennale del fumetto. Dunque la destra analizza Dylan Dog, quel suo essere un anti-eroe, «pieno di debolezze e cedimenti», che ne farebbe a prima vista un «compagno», un «sincero democratico». Però, però, scavando, non è così... Dylan non si interessa di politica, non si fida dei politici, ricorda Adriano Scianca, l' autore dell' articolo, che si spinge molto più in là: «Dylan assicura - non legge Micromega e non fa girotondi. Detesta gli happening di massa, forse detesta le masse stesse. Difficile immaginarselo in un corteo o a un concerto. Ce ne sarebbe già abbastanza per definirlo un libertario di destra, un individualista critico della società di massa...». La sentenza è netta: «Non è un marxista, semmai un anarchico». Non vorremmo rovinare la festa ma un Dylan Dog descritto così è più vicino a Forza Italia che ad An.



In verità, al di là dello stile scanzonata del "Giornale" in risposta al "Secolo" (a sinistra ormai è data per ovvia e scontata la "proprietà" di Dylan, per cui meno lo si celebra) coglie male i veri elementi "di destra" di Dylan, che è più nell'ossessione puritana di Giustizia che lo stesso Sclavi pone nel suo "ultimo" Marty.