Discorso sulla Prima Decade di Dylan Dog (1 - 123)


LORENZO BARBERIS

Spoilers alert, as usual.

(Work in progress)

Premessa

Nello studio su Dylan Dog che ha ultimamente monopolizzato questo blog, ho analizzato la prima decade, la più importante, anno per anno. Tuttavia, ho poi valutato che tale sistema non consentiva un adeguato sguardo di sintesi. Ho deciso quindi di dividere il mio lavoro (pur lasciando i capitoli precedenti) in tre parti e in tre post:

1) Discorso sulla Prima Decade di Dylan Dog (1986-1996). Analizzato in questo presente post, che indaga la nascita dell'indagatore e la formazione del personaggio. L'ipotetica età dell'oro nella percezione generale (e, quindi, sicuramente nelle vendite), sotto il diretto controllo del creatore Sclavi.

2) Discorso Della Decade Due Di Dylan Dog (non funziona più la citazione di Machiavelli, ma in compenso c'è un bel lipogramma). La decade di transizione (1996-2006), con presenza altalenante di Sclavi e "reggenza" di Marcheselli. In cui si avvia la ipotetica decadenza, ma non è ancora così percepito a livello generale, e vi è anche una parziale tenuta delle vendite (pur essendo i dati al proposito sempre oscuri e, almeno per il mio interesse, relativi).

3) Discorso Della Decadenza Di Dylan Dog. Una terza fase, non più una decade (resta sempre il calembour...) che è il periodo ritenuto di massima decadenza del personaggio, associato di fatto alla (incolpevole, per me) gestione dello sceneggiatore Gualdoni.

Una quarta fase, ovviamente, è l'attuale Rinascimento Dylaniato sotto il nuovo curatore Recchioni, che ha suscitato l'interesse che è oggetto di tale post. Per ora recensisco gli albi volta per volta, nel dettaglio, ma non escludo, al termine della fase due, cioè tra un anno, una prima sintesi su questa nuova fase.

I singoli anni sono divenuti i singoli capitoli di ognuno dei tre "Discorsi", e ovviamente il lavoro va visto come un enorme work in progress, in quanto ho elaborato una prima sintesi sulla base del mio ricordo e di progressive consultazioni di singoli albi. Non è ovviamente un saggio in senso scientifico (potrebbe esserne la base, per ora) ma sono mie annotazioni liberamente consultabili, per me o altri appassionati del personaggio, comunque si voglia un pilastro della letteratura (non solo disegnata) italiana.

Prima di Dylan Dog.

Un discorso preliminare va fatto sul fumetto Bonelli. Prima di Dylan Dog c'è la lunga storia della casa editrice, che qui non intendo riassumere se non per sommi capi.

La Bonelli nasce (con altri nomi) nell'immediato dopoguerra. Nel 1940 Gian Luigi Bonelli, il fondatore, rileva l'Audace editore, e nel 1941 pubblica il suo primo numero con una nuova concezione: non più giornale di fumetti ma albo-giornale, con una sola storia autoconclusiva. In questo sta, in nuce, la rivoluzione vera che la Bonelli ha portato al fumetto italiano: la centralità, nel fumetto per ragazzi (non sarà così in quello "per bambini"), del modello "romanzo a fumetti" (Bonelli nasceva infatti come romanziere, prevalentemente di romanzi avventurosi).

Il primo eroe è Furio Almirante (1941), tipico eroe dell'età fascista ispirato a Dick Fulmine di Carlo Cossio, disegnatore anche di Almirante. Curioso che negli stessi anni il futuro leader del fascismo italiano postbellico sarà proprio Giorgio Almirante, che in quegli anni si distingueva per l'elaborazione del manifesto della razza (1938), e che era allora direttore de "La difesa della razza" (1938-1942), la rivista del razzismo fascista. Difficile dire se sia una coincidenza o un omaggio verso un "giornalista" che stava acquisendo sempre più potere nel "nuovo corso" del fascismo ormai filohitleriano.

La Bonelli stessa sul suo sito onestamente lo presenta come "il prototipo del castigamatti, insofferente verso i potenti, i furbi e i politicanti, portato a farsi giustizia da solo, in un mondo in cui l'intrallazzo e la prepotenza si fanno costantemente beffe della giustizia." Insomma, il ritratto, oggettivamente, del perfetto fascista.

Vi sono altre serie (Orlando Invincibile, ispirato al medioevo dei paladini, Capitan Fortuna, il cappa e spada piratesco...), ma il contemporaneo Furio resta il prevalente, anche perché "soprattutto nel dopoguerra che G. L. Bonelli, ormai completamente padrone del mezzo espressivo, infonde nel personaggio quelle caratteristiche psicologiche che, ulteriormente affinate, porteranno al successo pluridecennale di Tex." La Bonelli stessa quindi pone Furio come fondamento di Tex, una volta "affinato" il superomismo dell'eroe nella nuova retorica del dopoguerra.

Si tenta anche il genere supereroico, con scarsa convinzione, con un Ipnos (1946) ispirato al primo supereroe, Mandrake (1934); ma poi la via appare decisamente quella del Western, con Tex Killer che diviene prudentemente Tex Willer (1948), ancora oggi il re indiscusso della casa editrice. Attorniato da una miriade di titoli western, Tex disegnato dal grande Galeppini svetterà sugli altri, anticipando di gran lunga l'epopea dello spaghetti western cinematografico dei '60 (come lo stesso G.B. Bonelli rivendicava non senza un pizzico d'irritazione).

L'aspetto è ripreso dal John Wayne dell'età dell'oro, quello del grande cinema western che spopola sugli schermi americani e quindi anche qui da noi; ma è profondamente riletto rispetto all'epica americana. Un western realistico, guascone, ironico e sarcastico, con un tasso decisamente generoso di violenza solo blandamente dissimulata davanti agli attacchi censori dei democristiani che ricopiavano (e a volte anticipavano) Wertham, anche per favorire le loro - in sé ottime - testate, come il Vittorioso (anche in Italia, dunque, un attacco dei DC-Comics...).

Nel corso dei '50 si passa all'attuale "formato quaderno" da quello originario a striscia: altro elemento che "nobilita" il fumetto popolare avvicinandolo a un formato "da romanzo", e che diverrà poi il modello del fumetto italiano stesso.

Già Tex implica un altro tratto Bonelli: il "genere attraverso i generi", ovvero il fatto che l'ossatura western può ospitare sotto-filoni gialli, horror (legati a Mefisto), anche di fantascienza (legati al Morisco). Il Giallo soprattutto è il macro-genere bonelliano, l'investigazione a volte fine, a volte muscolare: ma come cornice che ne accoglie altre.

Sergio Bonelli, fin dal primo dopoguerra affiancatosi al padre, crea un suo eroe, "Zagor" (1961), in cui accentua la caratteristica che Umberto Eco riconoscerà ai fumetti Bonelli (analizzando il solo Dylan Dog): essere fumetti "sgangherabili", in cui si può far entrare pressoché di tutto in una griglia molto rigorosa. Zagor è, in questo senso, più programmaticamente "sgangherato" di Tex: è un western, genere che va per la maggiore, ma inserisce anche tratti supereroici, anche se sempre di tipo magico (i poteri gli derivano dalla "magia indiana", presente già in Tex ma qui più accentuata). Darkwood, la sua foresta, è luogo magico e, in quanto tale, pressoché un portale verso ogni tipo di derivazione avventurosa.

Bonelli poi riprende a modernizzare l'avventura creando "Mister No" (1975), dove l'azione si sposta nel Sud America degli anni '50, dandogli modo di modernizzare le sue avventure. Mister No è il più "anti-eroico" degli eroi bonelliani: non in quanto (anzi!) "inetto novecentesco", ma in quanto animato da uno spirito praticamente picaresco, che accentua notevolmente la guasconeria di Tex togliendogli tutti i caratteri autoritari.

Se Mister No è una sorta di Tex modernizzato (in molti aspetti), con una preminenza del realismo ancor più accentuata che nella dicotomia che opponeva Tex al più fantastico Zagor, Alfredo Castelli creerà il modello del "fantastico moderno" bonelliano con "Martin Mystere" (1982). Docente universitario e iniziato ai misteri orientali, Mystere combatte contro gli Uomini In Nero del complottismo americano dai '50 in poi, con la giusta dose d'ironia e suspense perfettamente miscelata.

Fumetto intellettuale Bonelli per eccellenza (decantato, ricordo, all'epoca dai miei docenti di liceo contro il "nostro" Dylan Dog), Mystere apre le porte a Dylan Dog, appunto, che ne erediterà poco dopo il ruolo di "fumetto colto": non perché intellettualistico o erudito, ma come "fumetto d'arte".

Curiosamente, nel 1974 Tiziano Sclavi, amico di Castelli fin dai primi '70, aveva realizzato "I misteri di Mystere", racconti gialli con protagonista un investigatore privato francese con tale nome. Lo stesso anno Sclavi pubblica "Film", un primo tentativo di splatter postmoderno come sarà, per molti versi, Dylan Dog, cui segue "Sogno di sangue" (1975).

Un antesignano di quel ciclo de "La circolazione del sangue" che inizierà con il romanzo omonimo nel 1982.

Dylan Dog, con la scelta esplicita per l'horror, crea il contesto ideale per l'uso del bianco e nero bonelliano, tanto più che si celebra l'apertura a nuovi stili più sperimentali. Sul profilo DS/SN, rispetto ancora a Mystere si passa da una sinistra "di testa" alla (a volte irritante) "sinistra di pancia" di Dylan, irrazionalmente attratto dai freaks, animalista battagliero ed esasperato, e così via. Sclavi, che ne condivide le posizioni radicali, saprà quasi sempre usare con consapevolezza questo tratto del personaggio; in mano ad altri sarà l'elemento più a rischio di stucchevole. Ma di questo parleremo in corso d'opera.

Dopo Dylan, nonostante pregevolissimi fumetti (Julia di Berardi, come prima già il suo Ken Parker; quelli di Enoch), sono Nathan Never (1991) riuscirà a tratti, nel segno della fantascienza, a creare un grande eroe popolare. Ma anche NN non supera il maestro (e neppure gli Orfani a colori di Recchioni, ovviamente), e la Bonelli vive tuttora nel grande paradigma di Dylan.

Dylan Dog

Dylan Dog nasce nell’ottobre del 1986, anche se la sua gestazione si avvia nel 1985.

Il primo numero non ha un successo epocale: circa 50.000 copie vendute, che per l’epoca non sono moltissime. Addirittura si dice che “il fumetto è nato morto in edicola”, secondo voci. Non scenderà mai sotto tale cifra, però, e dopo un po' inizierà a salire.

In effetti il primo numero di Dylan è un prodotto elevato e difficile per gli standard bonelliani. Si evidenzia il citazionismo sclaviano, che nasce su quello bonelliano, ma se ne differenzia perché più postmoderno: le citazioni non sono dissimulate abilmente all’interno della storia, ma sono palesate e ostentate.

Dylan non è poi quello cui saremo poi abituati, ma è molto diverso, e lo sarà per tutti i dieci numeri. Sclavi voleva infatti farne un eroe da Hard Boiled, come denota il nome “Dog”, tratto da un romanzo del genere, “Dog figlio di puttana”, (unito al nome del poeta Dylan Thomas, a indicare fin da subito il pastiche culturale azzardato tra alto e basso come cifra sclaviana). Vero è che Dylan Dog era il “nome zero” di tutti i suoi progetti: ma è proprio per questo indicativo della sua poetica che qui si esprime al suo apice.
In realtà Dylan, oltre all’elemento da ironico duro da noir, ha in queste prime storie anche una componente quasi bondiana: i nemici contro cui lotta (Xabaras, i suoi alleati, ma anche le streghe) sono visti come parte di una cospirazione estesa sul mondo, a cui lui si oppone con tratti quasi superomistici. Infatti è figlio di un medium, di cui ha ereditato in parte il sesto senso (quando, più avanti, sarà relativizzato, scattera l’ironia sul “quinto senso e mezzo”). Già la sua presentazione è bondiana: “Mi chiamo Dog, Dylan Dog.” In parte, un’eredità dalla figura di Martyn Mistere, il più diretto antesignano di Dylan in Bonelli (che l’eroe incontrerà).

Fin dall’inizio, inoltre, si palesa, tramite Groucho, che Dylan è nato nel 1666 e giunto a Londra per un paradosso spazio-temporale. L’impianto di tutta la serie è già chiaro a Sclavi, che presenta già qui, con una battuta, quello che apparirà sul finale (come il Dante di “Caina attende...” nel suo Inferno).

Dylan ha 33 anni, come apparirà più volte da segnali interni (talvolta 34, forse apposta per mostrare una certa “indefinitezza dylaniata”). L’età di Sclavi all’epoca, certo (e nel n. 10 Sclavi si effigierà come “alter ego dylaniato”), ma anche l’età di Cristo, cosa che ben si sposa con un certo messianesimo dylandoghiano (giuda ballerino!, come impreca fin dal primo numero, nella sua “imprecazione bonelliana” poco amata da Sclavi).
Fu Bonelli a imporre, sempre stando a quanto si dice, molti elementi fondamentali di Dylan. L’ambientazione a Londra, innanzitutto, invece che in America come pensava Sclavi (e come portava il riferimento all’orrore di Romero, e la tradizione bonelliana); e l’introduzione di una spalla comica, secondo la tradizione, che Sclavi realizza in Groucho (si parla dell’idea di usare Marty Feldman, da Frankenstein JR., poi scartata).

Due elementi che danno alla serie un maggiore tono “culturale”: Londra invece dell’America, e una spalla comica ripresa da un classico del cinema come i fratelli Marx, non così noti al grande pubblico. Il riferimento, in modo criptico, diviene anche al Marxismo, cosa che Groucho sottolinea in varie battute, usando il suo ruolo di spalla comica in chiave spesso di satira politica (ad esempio contro la Tatcher).

Tuttavia, da parte di Bonelli, erano più che altro un elemento di (sagace) prudenza contro il rischio di fare una “serie splatter”. Prudenza editorialmente saggissima, come si vedrà. Londra portava, per Bonelli, a un avvicinamento ai temi dell’horror classico, da lui più amati, mentre la spalla comica poteva divenire un elemento di alleggerimento.

Non mancano infatti fin dai primi numeri le censure: già sul numero 3, dedicato ai licantropi, le vignette dell’amoreggiamento di Dylan con una studentessa sono coperte e trasformate in un casto bacio.
Inoltre, lo stile di Stano, scelto per la prima storia, è decisamente di avanguardia e di rottura, ispirato al perfetto ma difficile modello di Egon Schiele. Forse per compensazione, nelle storie successive si giocheranno classici dell’orrore e stili di disegnatori più tradizionali, come l’argentino Trigo, che poi abbandonerà, i Montanaro e Grassani, che saranno invece l’ossatura della serie, e Dell’Uomo, che non amato molto come interpretazione da Sclavi tornerà meno frequentemente.

Il n.2 (ai disegni l’argentino Trigo, poi sparito) mette in scena una blanda continuity, che in verità non sarà mai abbandonata (Groucho fornisce a Dylan un nuovo clarinetto dopo quello “bondiano” fatto saltare in aria con la custodia contro Xabaras), mentre entra in scena Bloch, solo intravisto nell’1, riferimento poi costante come referente poliziesco dylaniato, e figura paterna positiva dell’eroe.

Nel n.3, dedicato ai Licantropi (poi oggetto di un ciclo), con l’esordio di Montanari e Grassani, massimi disegnatori della serie per numero di tavole, è la prima puntata extralondinese di Dylan (elemento che avrebbe dovuto esser ricorrente, e poi tralasciato a cosa occasionale) l’ispettore Durrenmatt è certo citazione “germanica”, ma palesa anche il rifiuto del “giallo borghese”, indagine-colpevole-soluzione, che Durrenmatt aveva messo in crisi nella sua storia se vogliamo più “dylaniana”, “La promessa”.
1987. La definizione del personaggio.

1987. Dylan Bond.

Il primo anno di vita di Dylan Dog è funzionale a definire ancora il personaggio, agli inizi dell’annata ancora molto legato all’hard boiled (ad esempio, il rapporto con l’alcool niente affatto da ex alcoolista) e a tratti di superomismo alla Bond.

Il numero 4 introduce Anna Never, svampita attrice che crea una bizzarra ipotetica “supercontinuity” col futuro Nathan Never, l’eroe della SF bonelliana nato nel 1991. La sua figlia Ann Never riprende infatti un nome di famiglia, e il suo futuro Blade-runneriano potrebbe essere quello stesso di Dylan (che inizia a definirsi nel 25, ma che, essendo “Morgana” parte del ciclo principale, possiamo ritenere in nuce fin dall’1), sviluppato in tempi recenti da Billotta in un ciclo particolarmente acclamato (e che col Rinascimento Dylaniato del 2014 verrà sviluppato in una collana apposita). Una macrocontinuity ideata forse dopo, dato che inizialmente Nathan era Nemo, a la Verne, e poi non ripresa (col tempo cadrà anche quasi tutto dello scenario cyberpunk). Certo, nel futuro di NN non ci sono zombies, ma ci si poteva lavorare. Probabilmente tutto è un puro caso e la Bonelli penso sempre negherà, ma mi piace vederci l’impalcatura di una possibile supercontinuity (che avrebbe fatto soprattutto del gran bene a NN).

Il numero vede inoltre l'esordio di Corrado Roi, forse "le Roi" di Dylan Dog stesso, come è stato spesso definito (la "legge di Roi" prevede scherzosamente che, al proseguire di una discussione su Dylan, prima o poi qualcuno tiri fuori la superiorità di Roi come disegnatore. Un po' come la legge di Godwin, insomma). Il segno "d'arte" di Stano trova un nuovo esempio in un autore che, a differenza di Stano, sarà anche molto prolifico (terzo in valore assoluto dopo Montanari e Grassani e Freghieri).

Nel secondo numero del 1987, “Gli Uccisori” (5), il superomismo di Dylan si esplica nella sua sfida alla multinazionale malvagia, assassinando addirittura tutti i suoi vertici a sangue freddo. Un’azione eccessiva, in seguito mai più ripetuta, forse anche per pressioni di censura interna e non solo per la definizione del personaggio.

Appare inoltre la figura di Lord Wells, eclettico lord e scienziato che rappresenta, per certo verso, il “polo positivo” della scienza dipinta di solito in tinte terrificanti, certo per convenzione di genere ma anche per una sostanziale idiosincrasia sclaviana.

Ne “Gli uccisori”, come nel n.1, nel n.3 dei licantropi e ne “La Zona del Crepuscolo” (7), emergono vaste cospirazioni occultistiche che vanno oltre al singolo mostro ma creano una rete di studi esoterici dissimulati che fanno spesso capo, in modo diretto o indiretto, a Xabaras; con elementi anche fantascientifici di controllo mentale (gli esperimenti di Canale 666, esempio futuro, sono in fondo identici a quelli di Cybermaster, il primo speciale di Nathan Never).

Il numero 9, “Alfa e Omega”, dal titolo cristologico, è punto importante di svolta, spesso poco colto. Appare infatti il tema del culto dei freak, unito all’ambientalismo legati alla figura della scimmietta inviata nello spazio, che torna impazzita e inizia a sterminare umani coi poteri medianici acquisiti, ma è comunque vista da Dylan con partecipazione, come vittima innocente, mentre la morte degli umani è abbastanza indifferente. A un certo blando clima “cyberpunk” (ma direi “occult-punk”) si affianca anche la SF più classica, sia pure reinterpretata, e che oggi è usata per il Rinascimento Dylaniato del 2014.

Il numero 10, “Attraverso lo specchio”, con gli eccelsi disegni di Casertano, segnerà il punto di svolta. Fino allora la serie era vista come in crisi, con Casertano si avvierà la ripresa. La storia introduce un altro elemento importante di Dylan, l’onirismo, il culto della morte come dominatrice della vita teatro dell’assurdo.
Anche i disegni di Casertano (come, in modo simile, Ambrosini) riscuotono grande successo, punto di incontro tra scelte autoriali meravigliose e azzardate (Stano in primis, ma anche Roi e, con una declinazione più ironica, Piccatto) e disegnatori più “di servizio” (M&G in primis, ma anche Trigo e il poco amato Dell’Uomo). In questo senso vanno anche le copertine di Villa, grande autore texiano che non disegnerà mai Dylan Dog, e la cui presenza è un elemento più di continuità con la tradizione che di rottura, pur nell’elevatissima qualità del lavoro.

In quest’anno tutte le sceneggiature e i soggetti sono di Sclavi, fino al secondo anno, dove nel n.13, in cui entra in scena Ferrandino come coatore in “Vivono tra noi”, il quale tuttavia non entrerà in modo stabile nello staff, a differenza di Mignacco che collabora a “Fra la vita e la morte” (14), storia importante perché introduce il “vero” dottor Hicks, evoluzione urbana del medico di campagna incontrato nel n.7. Hicks è la raffigurazione delle paranoie sclaviane contro il potere scientistico dei medici (addirittura, si vocifera che per idiosincrasia i dentisti non siano rappresentabili), cosa che dà a Dylan Dog un tono nettamente antiscientifico, a tratti. La scienza è vista, in qualche modo, come la negativa avanguardia del mondo dei “normali”, volta a schiacciare i freaks, visti sempre con simpatia (anche se nel primo Sclavi non sono mai compiutamente buoni e innocui).

“Canale 666”, che chiude l’anno con l’ingresso di Ambrosini, ripresenta i temi accennati all’inizio della multinazionale malvagia che stimola all’omicidio per i suoi fini, come ne “Gli uccisori”. Però non ritroviamo lo spirito bondiano dell’origine, con un Dylan più umano, meno “vendicatore mascherato”. La definizione del personaggio, anche sulla base del riscontro del pubblico (l’Horror Post avrà un’importanza maggiore, direi, che in altre testate), si va compiendo.

1988. Il consolidamento di Dylan.

Il secondo anno intero di vita, il 1988, comincia con varie sperimentazioni. La prima storia doppia (16-17), un giallo alla Dieci piccoli indiani (modulo ripreso in “Sette anime dannate”); la creazione della sovraccoperta interna da parte di Villa (18) e la seconda trasferta di Dylan, sempre in “Cagliostro!”, a New York. Il titolo con punto esclamativo è molto texiano, in seguito raramente sarà riproposto.

Memorie dell’Invisibile (19) di Casertano bissa il successo di Attraverso lo specchio con un’altra storia perfetta, considerata in Bonelli IL modello di Dylan Dog da proporre ai nuovi arrivi come esempio inarrivabile a cui comunque ispirarsi. Di nuovo, onirismo, filosofia, melanconia più che l’orrore splatteroso fine a sé stesso: gli elementi che, tra l’altro, probabilmente conquistano un pubblico anche femminile, teoricamente meno legato all’horror splatter e al fumetto bonelliano.

Il 20 è l’unico contributo di Castelli, “Dal Profondo”, storia quasi parodistica, ironica e divertita, con la scena del bambino che divora topi nel sottosuolo.

Si sperimenta poi Toninelli sul 21, ma l’esperimento non avrà successo (anche, forse, per la diffidenza sclaviana verso il nuovo autore).

“I conigli rosa uccidono” (24), invece, seconda prova di Mignacco, qui autore completo dei testi con disegni di Piccatto perfettamente in tono, è una perfetta seconda prova per l’autore, che lo iscrive di diritto nel Pantheon dylaniato. Con quest’albo Dylan supera le 100.000 copie, traguardo poi frequentemente bissato.
Sclavi intanto, con “Morgana” (25), scrive il secondo capitolo del ciclo di Xabaras, di nuovo su disegni di Stano, e con “Dopo mezzanotte” (26), disegni di Casertano, realizza di nuovo un capolavoro (Stano è l’autore delle storie portanti del ciclo di fondo, Casertano, in questa prima fase, degli One Shot più prestigiosi).

Ferrandino, con “Ti ho visto morire” (27), storia interamente sua e pur pregevole, dà il suo saluto al personaggio.

Insomma l’anno vede i primi tentativi di affiancamento sclaviano: viene archiviato Toninelli e Ferrandino, quello di Castelli è solo un temporaneo omaggio all’eroe, mentre si conferma invece Mignacco, che avrà diverse presenze anche nel futuro.

L’esigenza che appare infatti evidente, di fronte al successo che sta gradualmente arrivando al personaggio, è quella di non legarlo al solo Sclavi: la riserva di storie preparate pre-lancio nel 1985 si va inevitabilmente assottigliando, e solo la creazione di uno staff darà solidità alla testata. Per ora Mignacco è l’unico nome tra gli sceneggiatori a divenire un “nome fisso” (la situazione è decisamente più varia sui disegnatori), ma l’anno seguente si costruirà definitivamente un ventaglio di “alternative a Sclavi”.

1989. L’alternativa a Sclavi.

Nel 1989 si assistono ad altre sperimentazioni. Anche sui disegni, con Tacconi (28), disegnatore “di servizio” che però non attecchirà. Ma soprattutto ai testi, con la Banda dei Sardi (29), dei quali solo Medda, alla fine, resterà in servizio effettivo. Lo stesso valga, sui disegni, per Castellini (30), disegnatore di pregio più adatto però alla fantascienza che, proprio sulla scorta di Dylan, sta maturando in Bonelli il suo spin-off (proprio per mano dei Sardi). Nella “Casa infestata”, per mano di Sclavi, Dylan inizia a parlare di “Quinto senso e mezzo”, relativizzando i propri poteri medianici: segno di una evoluzione meno “eroica” del personaggio che ha ormai preso piede.


Con l’ironico tratto di Piccatto, in “Grand Guignol” (31) Sclavi scrive una sorta di “nuovo manifesto dylaniato”: la storia all’apparenza omaggia il teatro splatter ottocentesco da cui deriva lo splatter cinemico; ma in realtà è un modo per mettere al centro il teatro dell’assurdo come vero teatro dell’orrore, creando una continuità che effettivamente c'è tra Grand Guignol e Pirandello.

André de Lorde, l'autore principale del Guignol, collaborò con Alfred Binet, lo psichiatra, per numerose opere sulla follia; e Pirandello dichiarava di tenere sempre una copia di Binet sul comodino.

Nel 34 arrivano due nuovi nomi fondamentali: Dall’Agnol ai disegni, che più di tutti sperimenterà nel corso delle sue opere un’evoluzione autoriale del segno; e ancor più Chiaverotti ai testi, che sarà (più ancora del pur bravo Mignacco) il primo immediato, sperato “erede sclaviano”.

Mentre il muro di Berlino cade e inizia l'età postmoderna, Dylan Dog nel suo terzo anno intero di vita vede soprattutto la fine del "monocolore sclaviano", ancora dominante fino all'anno prima. Se nella prima metà dell'anno si va ad esaurire l'accumulo di storie sclaviane, poi intervengono nuovi autori. Ferrandino e Mignacco, già testati l'anno prima su sceneggiature autonome, tornano con loro storie, e quella di Ferrandino (che poi non tornerà più) rivaleggia tranquillamente con lo Sclavi migliore di quest'anno col suo “Il signore del silenzio” (39) che chiude l’annata.

Dei nuovi, dei sardi si fermerà solo Medda, mentre il torinese Chiaverotti diverrà colonna portante. Similmente, meteora sarà il grande Castellini, poi ideatore grafico di Nathan Never, mentre si stabilizzerà Dall’Agnol, che diverrà uno degli autori più di ricerca.

Dylan Dog, consolidato ormai definitivamente a inizio d’anno nella filosofia ancora attuale (il n.30 può essere un modello, col “quinto senso e mezzo” che appare) si appresta così a uscire dagli anni '80 con una notevole solidità creata dall’ampliamento del parco disegnatori, che vede un maggiore livello “autoriale” rispetto alla media serie Bonelli, e soprattutto alla creazione di un vero parco sceneggiatori in grado di affiancarsi, anche brillantemente, a Sclavi.

Ma al varco dei '90 attende, come vedremo, lo spettro della censura. Il successo ha infatti portato al fiorire di numerosi, effimeri cloni super-splatter, che cadranno l’anno seguente sotto la sanguinosa mannaia della Censura.

1990. L’anno dei Censori (40-51).



La nuova decade si apre con l’arrivo di Freghieri (40), nuova “vox media” del coro dylaniato dei disegni, a fianco del duo M&G, amati dal pubblico più generalista e molto meno da quello più vicino al fumetto autoriale. Sembra quasi che anche nelle “voci medie” si cerchi un salto qualitativo che dia almeno l’impressione di una lettura più “autoriale”.

Il 41, Golconda, terza trasferta dylaniata in India, è il canto del cigno di Villa, che cede a Stano il posto di copertinista.



L’arrivo di Stano segna la netta natura autoriale prescelta da Dylan Dog, che si apre così nel segno nervoso di Egon Schiele. È anche il trionfo dell’autorialità sclaviana: l’editore riconosce il “suo” disegnatore come copertinista, oltre alle prudenze iniziali.  Stano introduce anche la nuova cover interna, col “terzo stato dei mostri” guidato da Dylan Dog, sulla scorta del quadro dell’alessandrino Pellizza da Volpedo: immagine che acquisirà ancora più forza con "Il Marchio Rosso", dove Sclavi lo riprende.



Quasi a rimarcare, nel 43 esce “Storia di Nessuno”, terzo capitolo, il più onirico in assoluto, del ciclo di Xabaras, con Stano signore assoluto dei disegni dalla cover agli interni. Cover di assoluta essenzialità grafica, con fascetta che annuncia l’ormai vicino superamento delle 200.000 copie.





Col 44 Toninelli dà il suo addio alla serie, con una storia ricca di splatter e scene sadiane, disegnata di nuovo dai non amati Montanari e Grassani, forse per uno screzio con Sclavi.

Chiaverotti invece, con il 45, Goblin (di nuovo in coppia con Dall’Agnol), riprende lo Sclavi di Alfa e Omega (per la prima volta richiamato così fortemente) e pone il discorso del freak come buono contro la scienza cattiva che l’ha creato.

“Inferni” (46), di Sclavi con Ambrosini, crea l’inferno kafkiano di Dylan Dog.

Con Horror Paradise (48) il trio dei Sardi e Castellini, in team up, danno il loro congedo alla serie con una storia già fantascientifica, per andare a creare Nathan Never (che, all’inizio, nasce come operazione “culturale”, dylaniana a tavolino, con la citazione colta di Blade Runner che viene così portato alle masse assieme al cyberpunk, per poi virare solo in seguito su storie di SF più classica).

Intanto, ad ottobre 1990, scoppia l'attacco ai fumetti horror. Dylan non è coinvolto, per il momento, dall'interrogazione parlamentare; è invece attaccato dai giornali, in primis Repubblica, su cui Dylan aveva fatto pubblicità, e che fino allora aveva coperto con simpatia e competenza Dylan Dog dal 1987, quasi sempre tramite la storica firma di Oscar Cosulich.

L'articolo di Repubblica del 19 ottobre 1990 è invece a firma di Marina Garbesi, ed è poco amichevole fin dal titolo, "Deputati contro i sado-fumetti", dove è già evidente la condanna. Secondo vecchio trucco giornalistico, come vedremo, all'interno le posizioni sono più equilibrate; ma il titolo ad effetto è potente e distruttivo.

Si citano poi alcune adolescenziali lettere a Splatter, citando poi le altre testate simili (Mostri, Gore, Scanners, Lobotomia, Primi Delitti), e si rimpiange il declino del "Monello".
La "crociata in Parlamento" è di 43 onorevoli, DC, ma anche PCI e addirittura DP, Democrazia Proletaria, a sinistra del PCI, contro "l'istigazione a delinquere" dell'horror. Silvia Costa, deputata DC, attualmente nel PD (in Italia la politica è una professione a vita), elenca - fuori contesto come al solito - le nefandezze dei giornaletti horror e poi richiede di "vietare ai minori". Dietro di lei il PCI Violante, Carole Tarantelli indipendente PCI, la DP Guidetti Serra, oltre ai prevedibili DC Anselmi, Bodrato, Carlo Casini e Gianni Rivera.

Si continua "La nouvelle vague dell' horror che in Italia conta almeno 300 mila fans: E' la reazione agli anni ' 80, allo yuppismo rivoltante in cui tutti dovevano essere belli, ricchi e bere Chivas."

"Questi fumetti, che sono poi anche una palestra per disegnatori esordienti che rifiutano di passare per il porno, sono la riscoperta delle emozioni forti. ... Favole e leggende, ci ha rammentato la psicanalista Simona Argentieri, sono sempre state costellate di crudeltà. E il padre della psicanalisi Cesare Musatti si schierò con decisione in difesa dei giocattoli-horror. Disse: Chi pensa di proibirli è un passatista. ...Milo Manara, cartoonist di fama: Ancora una volta mi pare che si confonda la causa con l' effetto. Esiste una domanda di queste storie raccapriccianti e i fumetti non fanno che rispecchiarla. L' horror equivale ai sogni notturni, consente di vivere vite parallele ma solo mentalmente, sublimando certe pulsioni perverse (e collettive) che così non si scatenano nella realtà. Manara assolve Splatter con formula piena. Un antidoto all' angoscia e alla devianza."

Lo stile sembra quindi, tutto sommato, anti-proibizionista (benché si descrivano con compiacimento gli orrori proposti a un pubblico minorenne, fuori dal contesto). Ma poi vi è un attacco incredibile a Dylan Dog, già incluso implicitamente nei 300.000 fans dell'horror:

"Un' altra rivista del genere sado-demoniaco, ma più soft e più colto (ha scansato la crociata dei 43 onorevoli) è Dylan Dog, 200 mila copie. Insegna: E' inutile andare a cercare lontano: la paura è dentro di noi."

La definizione sado-demoniaco, sia pure colto (come si può essere sado-demoniaci soft?) è ovviamente disastrosa per la Bonelli, che oggettivamente ha sempre realizzato solo un horror, con episodici elementi splatter ma senza il compiacimento del "torture porn" di Splatter e compagnia.

Stando a notizie non confermate nei forum, Giuliano Ferrara fece addirittura una trasmissione TV sul tema, ovviamente su posizioni censorie ("Giuliano Ferrara ci fece addirittura una trasmissione ignobile contro, piena di errori e inesattezze; da quel momento Bonelli dovette promettere un cambio di rotta, un ammorbidimento."). Questo spiega anche la caricatura di Ferrara presente in "Caccia alle streghe", ed il tutto è ritenuto causa della nuova moderazione dylaniata, anche sulla scorta appunto del fumetto sclaviano.

In verità, a mio avviso, fin dall’inizio vi erano prudenze di Bonelli, mentre una tramutazione “culturale” era già in corso quell’anno col predominio di Stano e storie sempre più onirico-kafkiane. Poi, naturalmente, la censura avrà avuto un peso a spingere in quella direzione, e a discapito dell’horror.



Subito gli effetti sono relativi: se il n.50, celebrativo, è da Sclavi risolto in eccelso registro di commedia brillante, il 51, Il Male è presentato come storia particolarmente splatter fin dall’editoriale. La storia vede l’esordio di Bruno Brindisi, disegnatore di punta si Splatter e Mostri, concorrenti ma anche “fratelli di sangue”; si evoca Tullio Kezich e le parole spese contro la “censura anni ‘50” che minaccia il fumetto, mentre già si anticipa una battuta de “Caccia alle streghe”, avviato da Sclavi in questo periodo. Il titolo cita “Il Male” (1977) di Andy Warhol, cinica storia del padre della Pop Art, da sempre riferimento centrale di Dylan Dog.
Tuttavia una tavola dell'albo, a quanto pare, venne fatta rifare perché troppo forte. Gli Inquisitori iniziavano la loro lenta (mai però definitiva) vittoria.

Non manca il solito stucchevole animalismo caricato sclaviano, con Il Male che risparmia gli animali, "unici innocenti", nella sua visione radicalmente pessimistica verso l'Uomo da cui, poco leopardianamente, risparmia in toto la Natura. L'immagine finale, in cui è la Terra stessa ad essere permeata di Male, sembra in qualche modo smentirlo.

1991. En Attendand Censor. Il duopolio Chiaverotti.



Il 1991 vede meno i risultati della censura (se non in qualche circoscritta modifica aziendale) per gli ovvi tempi della macchina redazionale, dato che le storie richiedono un anno di preparazione. In parte anche perché, come detto, la tendenza di Dylan dopo i primi due anni di sperimentazione-consolidamento sembra quella di sottolineare l’aspetto onirico dell’orrore su basi culturali molto solide: il surrealismo, lo Schiele di Stano, il terzo stato dei Freaks.

Per paradosso, gli attacchi censori potrebbero addirittura aver portato a una pubblicità negativa (la migliore, in fondo, secondo Wilde) che ha aiutato l’aumento di copie. Dylan Dog arriva infatti a 300.000, in un trend che continua a crescere.

Tuttavia, l’anno vede un duopolio Sclavi – Chiaverotti, in ragione probabilmente dell’ottimo successo di Goblin. La storia, tra l’altro, presenta un appiglio sociale che “giustifica” l’horror, elemento che Bonelli e Decio Canzio useranno di lì in poi a spada tratta contro i censori, coinvolgendo Dylan in missioni educative ecologiche e contro le dipendenze. In questo modo si può utilizzare un grado moderato di splatter-horror (che attrae il pubblico, specie maschile) giustificandolo con un fine educativo (essere contro la vivisezione). I censori sono così implicitamente messi in scacco con le loro stesse armi, la chiamata all’appello dello sdegno popolare (“perché vuoi censurare una storia che parla di vivisezione, eh?”).

Si cercano nuovi disegnatori in “stile medio”: sul 52 esordisce Coppola, sul 56, Ombre, esordisce invece sempre con Sclavi il disegnatore Ugolino Cossu, altra voce media che si affianca a Freghieri nel controbilanciare lo studio M&G.

Il 30 ottobre 1991, tra l'altro, su "Repubblica" Gnoli intervista Sclavi, con alcune rivelazioni interessanti. Intanto sul nome, che mostra la discendenza dall'hard boiled "Dylan Dog (il nome è nato dall' unione del poeta Dylan Thomas e da un romanzo di Spillane Dog sei un gran figlio di...)"

Si parla poi del progetto del ciclo di romanzi di Sclavi: "Dellamorte Dellamore è il quinto romanzo pubblicato da Sclavi. Altri cinque sono nel cassetto e un sesto che si chiama Nero fu interrotto improvvisamente otto anni fa. Da allora non ha più scritto nulla. Questo grande progetto di dar vita a una sorta di Recherche dell' orrore - titolo generale La circolazione del sangue". Forse anche DD si può pensare, oltre che come fumetto seriale, come grande ciclo della "circolazione del sangue".

Parlando della casa emerge l'omaggio ad Holmes (nel recente saggio di Siviero, Dylan è posto come anti-Holmes: qui invece sembra esserci una continuità evocata): "desideravo una casa che fosse l' esatta riproduzione dello studio di Sherlock Holmes".

I gusti letterari offrono molte conferme, tra cui Buzzati, che ho sempre visto come fonte, volta al noir.

"Amo Perec - La vita istruzioni per l' uso è uno dei grandi romanzi di questo secolo, accanto al Processo di Kafka e all'Ulisse di Joyce -, Buzzati, Topor. Ci sono poi autori che ho a lungo disprezzato come Stephen King, dai quali non mi sarei mai aspettato capolavori come Misery, Unico indizio la luna piena o It."

In ambito pittorico emergono gli ovvi Dalì e Magritte; ma, soprattutto, il riferimento all'avanguardia in chiave splatter-pulp: "E' come se cercassi di applicare le tecniche di Lucio Fontana ai corpi e agli oggetti che descrivo: rasoiate date sulla materia raccontata".

La Rasoiata è anche a livello narrativo un classico di Dylan Dog, che qui acquisisce un significato più raffinato che il puro gusto horror: il serial killer che taglia a rasoiate la carne delle vittime cerca di sezionare la realtà, come fa il fumettista che seziona la storia in lacerti dette vignette.

La crisi contenutistica (meno splatter) e formale (formato più leggibile) procederà dunque logicamente di pari passo.

1992. Le conseguenze dei Censori.

L'annata inizia con una nuova storia doppia di Sclavi, vagamente ispirata a Twin Peaks e con disegni del solito duo M&G (n.64-65). Professionismo ad alti livelli, ma non indimenticabile: le storie doppie non sono mai state il massimo di Dylan, a mio avviso, per il loro ricondurlo alla sua natura di fumetto seriale, limandone l'alone autoriale.

Intanto si possono leggere, se ve ne sono, le “conseguenze dei censori”. L’attacco parlamentare ai fumetti horror nel 1990 ha portato alla chiusura della ACME, le cui testate, è vero, vendevano solo 20-30.000 copie, ma essendo numerose (Mostri, Horror, Piccoli Delitti, e sicuramente altri cespugli si annidavano attorno) facevano anche a loro modo ombra al successo di Dylan Dog. La Bonelli, va detto, si è anche esposta coraggiosamente contro la censura; ma è un dato di fatto che la crescita di questi anni, con un Dylan che raggiunge e supera le 500.000 copie dell’inedito (un milione di copie di venduto, se si considerano le ristampe) corrisponde anche a una richiesta di horror che non può essere soddisfatta da prodotti più splatter, che sono stati censurati.

Non dico affatto, ovviamente, che la Bonelli sia stata la DC (comics), che aveva favorito nel 1954 il movimento censorio di Wertham incanalandolo contro la EC Comics: non hai più Tales from the Crypt e i Crime Comics, che peccato, leggi il nostro Batman (edulcorato rispetto ai tempi di Bob Kane). Però è un dato di fatto che Dylan si trova uomo solo al comando: boccone troppo grosso per i censori, che pure vorrebbero sbranarlo, ma sono frenati dalla migliore strategia editoriale di Bonelli.

Al di là della censura esterna, della censura interna (intendiamoci: a mio avviso legittima e in alcuni casi provvidenziale, perché ferma quella esterna più radicale, ma che naturalmente può incidere sulla qualità delle storie), subentra anche l’autocensura. Sclavi – e i suoi – sanno di fare un fumetto dell’horror per un milione di ragazzi, con occhi di autoproclamati “educatori” (termine, che non a caso, ha al suo interno la stessa etimologia del Duce, per la volontà che esprime di guidare masse, consenzienti o meno) puntati addosso. Un suicidio in questo milione di ragazzi (inevitabile, per ragioni semplicemente statistiche) e il rischio che “si scoprano” nella cameretta le copie di Dylan Dog è altissimo; le conseguenze, un azzardo. Al di là dei rischi materiali, in molti può scattare anche un reale senso di responsabilizzazione.

Il numero 66, oggettivamente importante esotericamente (lo stesso Dylan guida una DYD 666, simbolica come la sfigata 313 di Paperino) è celebrato da "Partita con la morte", capolavoro di Chiaverotti con eccelsi disegni di Roi. La variazione con stile sul Settimo Sigillo è notevole, e coglie perfettamente lo spirito del personaggio.

Nel 67, Sclavi cita invece Il Fu Mattia Pascal ne "L'uomo che visse due volte", dandone un'eccelsa variazione orroristica. Tutto sommato la crisi (mai però l’abbandono totale) dello splatter, con l'accentuazione posta invece su raffinate soluzioni ricche di riferimenti culturali, ha anche elementi positivi come queste due storie di alto livello, che potrebbero essere un modello per il rinascimento attuale. Ai disegni Andrea Venturi, che farà altre tre storie di Dylan prima di passare a Magico Vento, tentativo di horror-western che punta a coinciliare, implicitamente, Dylan e Tex. Tra queste, come diremo, una storia cardine di Dylan Dog come Johnny Freak, nel bene e nel male. Il bellissimo segno di Venturi, più autoriale di altre new entry come Coppola o Freghieri, si distingue per la sua ricchezza “autoriale”, al pari di un Ambrosini e un Casertano. Non disegnerà molte storie, ma saranno significative.

Epocale è indubbiamente "Caccia alle streghe" (69) di Sclavi, con eccelsi disegni di Dall'Agnol.
La storia è un attacco di Sclavi contro le spinte censorie che stavano cercando di stroncare il fumetto italiano, e che effettivamente erano riuscite a produrre il crollo della ACME, gloriosa testata splatter di nicchia, puntando ora al boccone grosso, Dylan Dog.

Nella storia l'autore si concede, per un'ultima volta, un notevole tasso horroroso nel mostrarci gli orrori dell'inquisizione, e poi descrive il processo che era avvenuto in Bonelli, già visibile l'anno precedente: le denunce giornalistiche-parlamentari del 1990 si erano sciolte come neve al sole, ma si era passati a una più severa censura interna.

L'editore “vigliacco” è ricalcato come aspetto su Ferrara, che si era speso attivamente nell'attaccare i fumetti horror anche in TV. Importante la scelta di Ferrara, che è un modo abbastanza evidente per dire che il tizio NON è Bonelli. Nella storia si scopre infatti che l’untuoso editore lavora in realtà per Lord Cherrill, il leader del neonazismo mascherato inglese, il quale ha condotto la campagna moralizzatrice dopo essere stato lui stesso l’editore, con un gioco di scatole cinesi, dell’horrorifico Daryl Zed.

Un meccanismo su cui Sclavi anticipa la destra berlusconiana, che apparirà l’anno seguente organizzandosi con successo per prendere il posto della DC. La sinergia ha rapporti di forza rovesciati: Cherrill è un politico bigotto e fascista che poi, segretamente, ha attività imprenditoriali mediatiche basate sull’orrore. Berlusconi è invece un imprenditore politico che domina i media e usa abbondantemente, più che l’orrore, il sesso mercificato in massimo grado. Tuttavia, al tempo stesso, nella sua discesa politica coalizzerà attorno a sé i clericali e gli (ex)fascisti,  affidando a loro il compito delle vestali censorie che si lamentano della decadenza di costumi (da B. causata, oggettivamente, in primo grado) e si presentano quali portatori di un rinnovamento morale.

In questo, Sclavi presenta perfettamente Ferrara, come eponimo dello Yesman berlusconiano pronto a inventarsi dal nulla “l’orrore” per poi avere la scusa di stigmatizzarlo. Nel Ferrara che attacca Dylan con la clava del potere TV c’è già in nuce l’età berlusconiana e i suoi meccanismi di potere.
Caccia alle streghe aveva mostrato lo splatter (con la giustificazione storicistica della stregoneria): non poteva non farlo, dato il quadro teorico. Ma poi si ritorna a un basso tasso di orrore. "I delitti della mantide" del torinese Chiaverotti e Brindisi (71) si incentrano sull’orrore delle relazioni (scenario è un locale di Torino, Hiroshima Mon Amour, ospite nell’anno precedente di una festa torinese di Dylan).
L'ultimo plenilunio (72), di Marcheselli e Sclavi, chiude il ciclo iniziato nel n.3 sui licantropi, di nuovo con M&G ai disegni, in una delle loro prove migliori. Soggetto d’esordio di Mauro Marcheselli, che diverrà l'erede di Sclavi alla guida della rivista fino al 2009, pur, curiosamente, senza mai aver sviluppato una sceneggiatura.

Marcheselli tratteggia una figura femminile interessante, parodia della "fighetta di sinistra" che potrebbe essere, per paradosso, proprio il tipo di pubblico femminile che si era avvicinata al fumetto tramite Dylan. Velleitaria, presuntuosa, viziata, portatrice di un ecologismo protestatario fine a sé stesso.
Tuttavia, nel finale scopriamo, secondo uno dei grandi classici dylaniati che da ora iniziano a diventare paradigma, che nel licantropo l'uomo è il malvagio, e il lupo è il buono. "Dovreste tutti trasformarvi in mostri!" grida nel finale l'ecologista, consolidando in modo plateale l'emergente morale per cui il mostro (e l'animale) è buono, e l'uomo comune il vero mostro. In qualche modo, è una morale da sempre presente, per esempio in "Alfa e Omega" (9) e "Goblin", ma che con l'età della censura si rafforza.

Possiamo quasi dire, a mio avviso, che Marcheselli-Sclavi si trovano costretti a sottolinearla, ma almeno introducono un elemento critico: questo è quello che volete, certo, perché siete “fighetti di sinistra” coperti dalla foglia di fico del politicamente corretto.

"Il Lungo Addio" (74), sempre di Marcheselli e Sclavi, dopo il buon esordio, è il primo grande capolavoro di Marcheselli. Puntando sul sentimento (Sclavi stesso dirà in uno dei suoi romanzi: "basta con lo splatter, la vera provocazione è ormai fare una storia di due che si innamorano”) gli autori riescono a reinventare un Dylan che funziona, molto più eroe romantico che detective dello splatter, ma comunque ancora inseribile nell'età dell'oro di tale personaggio.

Il 1992 si segna quindi come un anno comunque eccezionalmente di qualità, con in scena ottimi Sclavi, Chiaverotti e la new entry Marcheselli subito sul podio con "Il lungo addio" (sempre, è ovvio, ben supportati dai disegnatori di altissimo livello). Andrea Venturi è tra le pregevoli new entry sul disegno, che avrà tempo di lasciare l'anno successivo un capolavoro come Johnny Freak (a fianco, appunto, di Marcheselli) prima di lasciare per altre esperienze.

Insomma, la crisi dell'inizio dei '90 si dimostra assorbita sotto il profilo della qualità, pur in un calo dello splatter horror. Anzi, la limatura effettuata, per paradosso, è forse tra le concause del boom del Dylan romantico. In quest'anno i soli inediti raggiungono il mezzo milione di copie, un milione con ristampe e speciali vari. La RAI si interessa per una fiction, che non verrà poi realizzata (forse per fortuna): anche edulcorato, l'horror è ancora troppo per la tv di stato.

Iniziano anche in quest'anno le campagne di Dylan per il sociale, un ulteriore modo per dimostrare la sua validità educativa; un aspetto che purtroppo secondo molti penetrerà poi anche all'interno degli albi, con un appesantimento spesso eccessivo.

1993. Sclavi verso l’addio. Dylan nell’Italia Berlusconiana.

Il 1993 di Dylan Dog inizia con "Maledizione nera" (76) di Sclavi e Tacconi, discreto albo sul Voodoo, seguito al 77 da un esperimento unico: invece di una storia doppia, un albo con due storie, su sceneggiature di Sclavi, disegni di Roi e Piccatto (per la seconda storia, Incubus). Probabilmente l'esperimento delle storie doppie non era andato al meglio, e si provava invece questa variazione (dover fare per ogni albo una storia, invece di storie lunghe su almeno due albi, chiaramente rende necessarie più idee).

Segue Chiaverotti coi "Killer venuti dal buio" (78) dove esordisce, su Dylan Dog, il salernitano Luigi Siniscalchi, mentre su "La Fata del Male" (79) è la volta del milanese Roberto Rinaldi.

Sclavi torna con "Il cervello di Killex" (80), ma la vera storia dell'anno è di nuovo a firma (congiunta) di Marcheselli, con "Johnny Freak" (81), sui disegni di Venturi. La storia, di grandissima qualità e di grandissimo successo, instaura definitivamente il mito del Freak che lega Dylan Dog, definitamente, ai buoni sentimenti. Elemento apparso già in “Alfa ed Omega” (9), opera seminale del personaggio (ma più come condanna della scienza, tipica di Sclavi, che per il patetismo in sé); ripresa però solo più tardi, in “Goblin” (45) da Chiaverotti.

Anche a partire dalla prima cover interna di Stano, se vogliamo, questa tendenza era diventata programma, col Terzo Stato dei Mostri; tuttavia, nell'illustrazione poteva esserci ancora un pizzico d'ironia, e una certa carica marxista: certo, Dylan sta più coi mostri che con certi “normali”, ma i mostri non sono oggetto di pietà indifesa, sono terrificanti come per il borghese il terzo stato che avanza (il terzo stato dell’horror appare anche nel durissimo “Uccisori”, il 5, dove gli zombies lentamente avanzano verso la tenuta dei ricchi strafottenti e infine rompono le vetrate e li divorano. Eat the rich.).

Se ancora la scimmia-Goblin era vittima ma anche ormai mostro assassino, il lupo dell’anno prima, e in modo paradigmatico questo Freak, entrambi (anche) di Marcheselli, sono invece solo buoni, solo vittime, mostri solo per i “cattivi” normali.

Così l’estetica dei freaks, con l’ottima storia del piccolo Johnny che suona divinamente e disegna meravigliosi affreschi sul modello degli inferni di Bosch, consolida un modello che, dopo il suo successo, sarà ripetuto un po' stancamente (cosa del resto inevitabile data la longevità della serie).

"Lontano dalla luce" (82) di Chiaverotti è invece il teatro dell'evoluzione stilistica di Dall'Agnol, che inizia ad uscire dallo stile popolare per evolversi verso esiti di avanguardia come quelli visti nel punto grafico più alto della Fase Uno del rinascimento dylaniato (2013-4). La censura riguarda i contenuti, non la sperimentazione, che ogni tanto (ma un “semel” abbastanza frequente) si può dare sotto il profilo stilistico come variazione necessaria.

Il Doktor Terror (83) di Sclavi e Coppola, invece, mette in scena, ad alti livelli, la polemica antifascista di Dylan Dog. Qui Sclavi bissa “Caccia alle streghe”, separando di un anno le due storie per evitare un congestionamento ideologico, e quindi scandendo bene il discorso.

L'ideologo e il leader dei neonazisti hanno infatti tratti molto simili a Miglio e Bossi, leader della Lega Nord del periodo, cosa che porta anche a una polemica giornalistica, e nella ristampa dell'albo Lord Grimmel (figura affine a Lord Cherrill), il difensore dei nazisti, viene modificato in modo da eliminare ogni possibile, anche vaghissima, similitudine bossiana, avvicinandone piuttosto l’aspetto a Hitler. Il dottor Tod è un remake di Mengele, mentre Anja è evidente citazione di Anna Frank.

Nel tempo, quello che nel fumetto racconta Dylan Dog in Italia diviene realtà: Priebke, il nazista responsabile dell'eccidio delle fosse ardeatine, viene liberato "per problemi di salute" e diventa "padre nobile" della destra neonazista romana fino alla sua recente morte, nel 2013.

La passività assoluta di Dylan contro i nazisti nell'albo è ovviamente sarcastica: se gli antifascisti esagerano in correctness, il risultato sarà la vittoria dei neonazi. Se vogliamo, è anche metaletteraria: Dylan non può (qui Sclavi lo fa, ma sa già che sarà una eccezione) attaccare i nazisti, se no questi protesteranno e metteranno in difficoltà l’editore (infatti l’albo subirà censure esterne e, in ristampa, interne). Quindi non può che “dialogare”, mentre gli altri possono (metaforicamente e no) “usare la spranga.” Non si può essere tolleranti con gli intolleranti, ci dice Sclavi concordando col Popper (di questo stesso periodo, e che sulla base del caso italiano mise in guardia dalla “Cattiva maestra televisione”).

L'antinazismo dylandoghiano è più intenso di quanto sembri: Groucho Marx veste i panni di un attore ebreo (il cui stesso aspetto è fortemente vicino allo stereotipo ebraico...), mentre Bloch è cognome ebraico, e l'ispettore capo (che qui dice di considerare "collega" la cacciatrice di nazisti Rosenthal) dice spesso, nei primi numeri, di "non ridere più dagli anni '40", con riferimento forse all'olocausto.

Lo stesso dottor Hicks, che rappresenta forse il male assoluto nel cosmo sclaviano (Xabaras è in fondo la metà oscura del padre di Dylan, e in quanto tale non ha un totale disvalore), è anch’egli, si scopre nel tempo, un ex nazista legato alle sperimentazioni mediche del regime. Si conferma quindi anche il radicale antiscientismo sclaviano.

1994. L’anno di Chiaverotti.

Dopo l’exploit di Doctor Terror, Sclavi si defila per un anno.
Il 1994 passò alla storia nel mondo dylaniato come "l'anno di Chiaverotti". In quest'anno, infatti, Sclavi si prese un anno sabbatico, dopo "Oltre la morte" (88), su un soggetto di Marcheselli (che, pur realizzando diversi capolavori, non compose mai una sceneggiatura, limitandosi ai soggetti). L'opera vede anche l'esordio ai disegni di Marco Soldi, in una delle sue due storie dylaniate. Il tratto di Soldi è efficace, ma non ebbe poi una forte continuità sul fumetto.

Ecco quindi una lunga sfilza chiaverottiana, dall'89 al 94, con storie indubbiamente valide ma senza nessun vero grande capolavoro. La migliore è forse "Titanic" con Piccatto, storia decisamente pregevole; nessuna però tanto da restare davvero negli annali della testata.

Nel numero 95 arriva sulla testata Gianfranco Manfredi, che sceneggia "I giorni dell'incubo" per Siniscalchi, che diverrà poi un frequente contributore (al decimo posto della classifica dei più prolifici autori di Dylan, guidata ancora da Sclavi, nonostante il suo abbandono).

Dopo "La sfida" (96) di Chiaverotti e M&G, "Dietro il sipario" è la prima prova di Ambrosini come autore completo su Dylan, un tentativo che vedrà un ritorno ad aprire la  "fase uno" del rinascimento dylaniato, con "Una nuova vita" (325).

Dopo "Lo sguardo di Satana" (98), altro Chiaverotti - Dall'Agnol, l'ultimo albo prima del 100, la conclusione della serie, è per "Sinfonia mortale" (99), primo albo su due di Michelangelo della Neve, per i disegni di Cossu. Per questo "66 rovesciato" si sceglie la citazione di Uccelli di Hitchcock, ma a parte alcune riuscite scene splatter la storia non colpì particolarmente, e questo giustifica il ruolo minimo di Della Neve nel pantheon dylaniato.

L'abbandono di Sclavi probabilmente si sente. Iniziano a esserci le prime storie poco riuscite, come quest'ultima o "La sfida", mentre si stenta a trovare un vero capolavoro. L'esordio alla sceneggiatura di Della Neve non entusiasma, come pure quello di Mario Soldi ai disegni non è destinato a restare. Forse l'evento maggiore, oltre all'unica storia di Sclavi, perlomeno di alto livello, all'inizio d'annata è Ambrosoli come primo "autore completo" su Dylan Dog.

Una scelta però, anche questa, che non sarà particolarmente reiterata.

Con questi primi otto anni dylaniati si è giunti oramai alla soglia del n.100, la conclusione di Dylan e del ciclo di Xabaras. Dopo, secondo molti, inizierà un lento declino che, tuttavia, ha portato la serie fino ad oggi. Se c'è decadenza, quindi, è molto relativa. Ma certo dopo il 100, se non altro, c'è l'impressione dell'ingresso in una "età argentea", in cui i fasti del passato sono ormai finiti.

1995. Nella mia fine è il mio continuo.

Il 1995 inizia alla grande col n.100, di Sclavi e Stano, per la prima volta a colori.
L'albo narra la fine della "Storia di Dylan Dog", svelando il modo in cui era giunto a noi dal 1666 (come annunciato già fin dal primo numero, tramite le battute di Groucho), il suo legame con Xabaras e quello incestuoso con Morgana.

L'albo è ricco di simbolismi freudiani ("la grande f..." costituita dal ramarro alchemico, per citare un dotto pittore monregalese con cui discussi all'epoca dell'albo), ma il colore per paradosso toglie qualcosa invece di aggiungere. Anche la cover, con i gargoylle stile Notre Dame che piangono Dylan che se ne va non è delle migliori. Poco epica, e poi Dylan non ha esclusivamente gargolle come parrebbe qua, e mai (giustamente!) sono state umanizzate. Lo stesso finale, con Dylan libero dai suoi incubi, non è degno dell'onirismo della serie, a mio avviso.

Nonostante il suo "ritorno" dopo "l'anno di Chiaverotti", Sclavi è latitante dalla testata anche in questo '95, tornando solo nel 109 per un numero non così memorabile. L'autore pavese resta l'impalpabile supervisore della serie, mentre è soprattutto Marcheselli a tirare le fila, nelle necessità imposte dalla censura.

Il 1995 è infatti l'anno in cui si apre anche un processo contro l'Intrepido. In un numero del 1992 era apparsa una storia che, secondo il padre di un suicida, avrebbe ispirato il figlio all'insano gesto. Ovviamente, il principio legale era delirante, ma vennero rinviati a processo tutti gli autori della pubblicazione (non solo i direttamente coinvolti), tra cui Siniscalchi e Brindisi, allora disegnatori di Dylan Dog.

L'assoluzione, piuttosto ovvia, segnava tuttavia una nuova vittoria dei Censori, spingendo come mostrato da Sclavi sempre più all'autocensura. Gli effetti non sono immediatamente visibili, anche se lo splatter è calato di molto: ma il veleno, come nell'albo 69, si inocula lentamente, fino alla paralisi se non vi si pone attenzione.

Manfredi ha il numero 1 del nuovo centinaio, e la maggior parte degli albi dell'anno, ma non di molto: 4 storie. Per il resto Chiaverotti, Mignacco, l'addio a Dylan di La Neve (che passa alla sua creatura extrabonelliana, ESP) e un nuovo numero di Ambrosini autore completo dopo il bel tentativo del 1994.

"I demoni" (103) di Chiaverotti non è male, esplorando l'orrore vegetale sotto il titolo dostojevskiano. C'è anche una discreta concessione ad un buon horror, se non proprio allo splatter.

Il 104 ha sopra ogni cosa una cover graficamente molto bella, che mostra anche una sana indifferenza verso le censure moralistiche, eternamente ricorrenti, usando un elegantissimo nudo femminile (coerente alla storia) per evoca gli ossimorici incubi dell'insonnia, legati a Killer protagonista.

Anche il 105, di Manfredi e Siniscalchi, esplora adeguatamente l'orrore legato ai topi, con numerose citazioni raffinate e l'utilizzo di una storia della storia dei topi per una narrazione che ricorda quasi più Mystere che Dylan per la sua erudizione, a volte ostentata. La trama resta gradevole, ma il lavoro su questi numeri più "monotematici" (si sviscera l'orrore di fobie apparentemente minori, come la fitofobia) segna in parte un ritorno indietro rispetto all'orrore dylaniato doc, splatteriano oppure neoromantico.

Il 106 è una divertente storia stagionale sull'esodo estivo e sul periodico tributo che ad esso si associa. Una storia stagionale simmetrica a "Feste di sangue", ripresa in anni più recenti da Recchioni in un horror da autogrill consapevole del Benni del Bar sotto il mare.

Nel 107 Mignacco torna con Piccatto sul suo grande classico, il suo Pink Rabbit che ha ormai alle spalle l'apparizione del Roger disneyano da lui anticipato. Storia gradevole, ma come tutti i sequel meno dirompente dell'originale.

Il 108 è "Il guardiano della memoria", nuova storia da autore completo di Ambrosini (nel segno del quale si avvierà anche il Rinascimento dylaniato)

Sclavi tornerà solo col (non eccelso) "volo dello struzzo" (109) su un soggetto di Marcheselli non ai suoi massimi e per Freghieri, autore onesto ma non dei più potenti come un raro ritorno di Sclavi meriterebbe.

L'anno si chiude con una storia doppia, la prima di Manfredi (con Roi). E' anche la prima di un autore che non sia Sclavi sulle storie in due puntate. Manfredi se la cava bene, a partire dalla citazione di Rosemary che ci porta a una culla con croce rovesciata in copertina. Discreta, ma c'è: anche se poi la trama, come indica il titolo, riporta più al mito classico e all'eterno tema dell'Aracnofobia.

Insomma, il 1995 (secondo anno di probabile calo, dopo il 1994 dell'abbandono parziale di Sclavi) si segna purtroppo anche per l'assenza di grandi storie, a parte l'Evento assoluto del n.100 in apertura. Discreta la storia di Ambrosini, sempre gradito il secondo ritorno di Sclavi dopo l'obbligo del 100, accettabile la tenuta horrorifica "tematizzata" che sembra essersi imposta, e non male il tentativo di tornare "alle doppie": ma per la prima volta c'è la percezione di una certa stasi, dopo la costante crescita un lieve calo. Nessun autore nuovo quest'anno, né disegnatore, né sceneggiatore, e La Neve che lascerà per passare ad Esp prima di ingranare sul personaggio.

Dylan continua, impossibile fare diversamente dopo l'enorme successo (sarebbe follia); ma con un lieve e inevitabile calo di smalto, senza tuttavia svarioni eccezionali.

1996. Riflessioni metafumettistiche su un Decennale Dylaniato.



Col 1996 arriviamo all'ultima annata della prima decade di Dylan Dog. Anzi, dati i tre numeri del 1986, arriviamo fino al numero 123.

L'anno del decennale si apre con l'esordio (112) di Gianluigi Gonano (classe 1940), autore croato di Zara che aveva ai tempi creato il Commissario Spada (1970-1982) per i disegni di Gianni De Luca. Nel 1994 era approdato alla Bonelli per Nick Raider, il fumetto giallistico puro nato in seguito al successo di Dylan Dog; quest'anno esce la sua prima creazione per l'indagatore dell'incubo. Anche Spada aveva avuto delle avventure soprannaturali (""I figli del serpente") e aveva combattuto contro serial killers particolarmente efferati e geniali ("Geronimo"). Io l'ho sempre visto come una delle possibili fonti di Dylan Dog (non tanto come personalità, Spada è un commissario più squadrato, ma per le atmosfere e talvolta le tematiche). Specialmente il tratto di De Luca, che vincerà lo Yellow Kid per questo, è fortemente innovativo per il fumetto popolare e anticipa alcuni dei più innovativi autori dylaniati (per certi versi, forse, qualche analogia si può porre con Roi).

Gonano del resto, è l’inventore di Giuda Ballerino, esclamazione da lui usata per tradurre, nei ’50, l’improponibile Jumpin’ Josaphat inglese (che, come Giosafatte Salterino, diverrà l’esclamazione di Daryl Zed, l’alter ego finzionale di Dylan nel suo mondo). Esclamazione che Gonano aveva trasformato quasi in una sua “firma da traduttore”, usandola anche nella vita reale, e apprezzando poco il “furto” sclaviano che, data la fama del personaggio D.D., gli rubava la battuta, impedendogli di usarla nella vita reale. Sclavi in realtà non ha mai amato il divieto al turpiloquio bonelliano, e ha sempre visto l’esclamazione alla “per mille fulminacci!” come una tediosa imposizione, tendendo a minimizzarla.

Curioso che quando ci si propose di far a meno del Giuda Ballerino nel “Rinascimento Dylaniato” del 2013, in favore di un “Bloody hell!” più realistico, una notevole fanbase sia insorta a difesa dell’esclamazione in nome della “filologia sclaviana”, evidentemente ignorata.

In effetti Giuda Ballerino piace, in quanto non è male: apparentemente ingenuo, Giuda è ballerino perché impiccato e si dimena, archetipo Appeso dei tarocchi (che hanno avuto una loro versione “dylaniata” di Sclavi e Stano).

Tornando all’esordio di Gonano, la storia fantascientifica purtroppo non appare perfetta per far risaltare il noir che è nelle sue corde, e Gonano tornerà solo in altre quattro storie, penso preso anche maggiormente dal più suo Nick Raider.



Col 113 torna Sclavi con Casertano, avviando in modo più stabile il suo ritorno sulla propria creatura (altri tre albi quest'anno) e si riparte con un grande classico, il tema del doppio. "La metà oscura" è anche uno dei tanti Stephen King metaletterari; lo Sclavi del decennale riflette quindi - forse anche involontariamente - sul tema della propria stessa metà oscura, nel suo rapporto complesso con la sua opera, cui torna dopo un significativo abbandono di quasi due anni.



Il 114 è il primo numero di Medda solista, anche questo una riflessione metaletteraria stimolata forse dal decennale dilaniato. La copertina di Stano non è molto iconica, ma mostra Peter Punk, interessante invenzione meddiana per questo albo. Medda tornerà su Peter Pan in una successiva avventura dylaniata; al centro dell'album vi sta però Bukowski, una sua rilettura in chiave ironico-dylaniata, per una riflessione metaletteraria sulla scrittura.

Interessante, perché ironizzando sullo stereotipo di Bukowski come scrittore maledetto e alcolizzato (genio perché maledetto e alcolizzato) Medda ironizza su uno stereotipo della cultura italiana da salotto (cita Placido, che molto ha a che fare anche col fumetto, e Fofi) ma anche sul modello che ha contribuito al mito di Sclavi stesso. Non a caso "Feste di sangue" cita già Bukowski/Cinaski, senza però l'ironia e la decostruzione di Medda. La storia, costruita con l'incastro dei racconti del "Bukowski" dylaniato; i barboni "veri" che appaiono nella storia ritorneranno ne "La famiglia Milford", successivo albo meddiano sempre di analisi metaletteraria.



Dopo il 115 di Chiaverotti e il 116 di Manfredi, il 117 è di nuovo Sclavi, e ad alti livelli, a partire dalla cover di Stano (un po' sottotono in quest'annata) che qui evoca perfettamente il surrealismo alla Golconda che permea l'albo. Innovativa e riuscita l'idea di strutturare la storia attorno a un nucleo di racconti minori che si intersecano, indagando le quattro stagioni per prepararci alla mitica "quinta essenza" stagionale; una scelta che riprende il recente albo di Medda, e che ricorda una via già tentata soprattutto negli Speciali, dove si ha a disposizione un più ampio spazio per incastrare micro-narrazioni.




"Il gioco del destino" (118) di Chiaverotti - Venturi è valida soprattutto per i disegni di Venturi, purtroppo giunto all'ultima storia dylaniata. L'autore passò poi su Nick Raider, serie in cui era molto meno in contesto. Chiaverotti scrive invece una storia sconclusionata, che sarebbe stata migliore se almeno non avesse tentato di dare uno pseudosenso sul finale, con l'unico scopo di offrire belle immagini a Venturi.

Dylan  sta posando per un servizio fotografico scandalistico per la sua nuova ragazza-mese, Aileen, essendo in bolletta come al solito. Una scusa per visitare i grandi luoghi (comuni) dell'orrore londinese: il luna park, la metropolitana, lo Skyfall (dal n. 50 sclaviano...). Il vagabondare onirico è valido per la rappresentazione di Venturi, e per alcune sparse situazioni interessanti.

Dylan fa sesso con una arpia (ovviamente affascinante, p.66), Groucho racconta barzellette da sonnambulo per tutto l'albo, Bloch va da una sua prostituta di fiducia (p.75: come già accennato, ma non mostrato, ne "I delitti della mantide"). La conclusione globale è piuttosto debole, e vagamente "alla Scooby Doo": tutto il delirio onirico ricondotto a un "piano diabolico" della Dog Girl del mese per realizzare il grande scoop.

La storia si apprezza come addio a Venturi, mentre non viene amato, qui, dai fans lo stile di Chiaverotti, che diventa per la "base" dylandoghiana l'esempio delle sue storie meno riuscite. Io personalmente ne apprezzo l'onirismo volutamente "sgangherato" di un fumetto "sgangherabile" (come da definizione di Eco), ma in effetti qui vi sono alcuni elementi che mi parrebbero "limabili" (il finale, l'ingenuità della rappresentazione della strega sputa-sangue, etc.), proprio per andare più volutamente nel nonsense orrorifico.




L'occhio del gatto (119), sempre di Sclavi, vede invece l'apparizione di Franco Saudelli ai disegni. Saudelli (Latina, 1952), partito con serie di fantascienza per Skorpio, era noto soprattutto per le sue opere erotiche di altissimo livello legate al fetish e al bondage, in particolare "La Bionda" (1987). Saudelli è una scelta coraggiosa per la Bonelli, che dimostra di non aver rinunciato del tutto all'erotismo sotteso a Dylan Dog, nonostante gli attacchi censori. La censura però si è sempre più diretta verso l'orrore che non verso l'erotismo in Dylan, anche per il modo estremamente castigato (rispetto ad esempio alla tv, soprattutto berlusconiana, del periodo) con cui era trattato il tema.



Saudelli diverrà una firma non frequentissima ma ricorrente della serie, portando il suo stile erotico e BDSM nelle tematiche orrorifiche di Dylan. La cover, essenziale, è qui di grande efficacia, e rimanda all'immagine di Kim Novak nel suo ruolo streghesco.



Abyss (120) vede l'apparizione di Magda Balsamo, che è la prima sceneggiatrice (o meglio soggettista) femminile di Dylan (sceneggia qui Sclavi). La storia evoca fin dal titolo gli abissi marini di Chricton e Cameron, un film del 1992 già citato in Bonelli da uno speciale di Nathan Never. Artista eclettica. Nata  a Bari nel 1961, diplomata in piano al conservatorio, cantante, attrice, illustratice, e in tempi recenti v-blogger su Youtube. Un exploit non più ripetuto, ma che regala nuovamente una storia onirica a buoni livelli e anticipa il Titanic di Di Caprio. Tuttavia, bisognerà attendere ancora diversi anni prima dell'arrivo di una vera autrice femminile collegata a Dylan Dog, che si avrà con la Barbato, la quale sì riuscirà ad assumere un ruolo di preminenza e addirittura quasi di "erede designata" del personaggio sclaviano.



Il 121 è la celebrazione dylaniata di Sclavi e Marcheselli, a colori per il decennale sui disegni di Brindisi, tra i più adatti al colore per fortuna (colore che a me non fa mai impazzire sul fumetto BN per eccellenza, quello d'orrore). La copertina di Stano è bella, iconica: pessima invece la scritta rossa, peggio anche del solito bollino giallo che annuncia eventi speciali.

Storia ovviamente di grande impatto emotivo, in cui si affronta un tema pericoloso come quello degli orrori della religione, collegandola alle origini di Dylan Dog, esplorato di solito in questi albi speciali a colori (questo è il secondo, dopo il numero 100).

In molti sensi la storia è una sterzata notevole.

Nel numero 100, pur non ai livelli cui ci si poteva attendere dopo l’1, Morgana, Storia di Nessuno, si restava nel filone onirico dei multiversi unito a un freudismo inquietante; qui invece Sclavi, pur in gran forma, volge verso uno psicologismo più ordinario, simile a quello in seguito magistralmente sviluppato – su Dylan e altrove – da Paola Barbato, che non a caso diverrà l’erede prescelta dal maestro, secondo rumors, ancor più che non l’erede di fatto designato, Recchioni. Uno psicologismo che era stata la reazione di secondo livello agli attacchi censori ormai relegati nel passato: dopo "Caccia alle streghe" vengono infatti album-capolavoro più psicologici come "Il lungo addio" ("basta con lo splatter, la vera rivoluzione è fare una storia dove poi i due si sposano" pare fosse una battuta dello Sclavi di quegli anni). Anche nei nuovi romanzi "postmoderni" di Sclavi, oltre "La circolazione del sangue" come il suo ciclo horrorifico, si assiste a questa svolta intimista.

Dylan conosce Lillie dopo che una bomba del FURY (mascheramento dell'IRA) ha ucciso un collega di Dylan allora poliziotto, con cui lui parlava del Bloody Sunday (1972). Uno spettro religioso invita Lily a pentirsi.

Dylan reincontra Lillie, la perde di nuovo (la ragazza, vestita da irlandese da cartolina, è irascibile ai punti della macchietta: ma è una caricatura intenzionale: "è come per gli italiani la pizza". Sclavi ironizza sulla "storia di genere" che va a creare, quasi a dirci che è tutto più complesso di così). Dylan assiste alla violenza dell'antiterrorismo, cui si oppone, salvato da Bosch che lo promuove detective.

Lillie inizia Dylan alla Guinness, mentre vediamo uno scontro polizia / manifestanti (il didascalismo in Sclavi è quasi ironico: torti dei terroristi, torti della polizia, torti di entrambi nella terza "scena storica") Appare Groucho, che attraversa gli scontri con impassibile ironia e ha il suo primo incontro con Dylan.

Dylan poi Padre Lonegan, il prete cattolico della chiesa di Lillie, è un terrorista; a p. 49-50, a metà storia, c'è una delle sequenze più dure sulla religione di un fumetto come Dylan che della polemica contro il fondamentalismo ha sempre fatto un tratto molto presente: Lonegan che inneggia alla chiesa di Cristo e cerca di uccidere Dylan sotto il crocifisso, distruggendolo.

Lillie cerca di usare Dylan per distruggere Scotland Yard, ma lui scopre l'inganno e cerca di fermarlo. Allora lei cerca di mettere la bomba da sola, ma viene fermata, incarcerata e torturata.


A un primo livello quindi una storia che rafforza la svolta verso storie più intimiste e "di psicologia" (ottime, quando ci sono, e non invece gialli impersonali come talvolta capitano); ma anche una storia profondamente metaletteraria.

Il tutto è infatti un rovesciamento perfetto di "Concerto in O minore per arpa e nitroglicerina" di Pratt, dove Corto Maltese aiutava gli irlandesi del Sinn Fein nel loro terrorismo contro gli occupanti inglesi, instaurando una relazione ambigua come al solito con Banshee O'Hara, la bella terrorista, facendo alla fine saltare il centro dell'occupazione inglese.

L'eroe di Pratt presenta a sua volta una stratificazione complessa: il lettore superficiale può credere a una sua banale adesione alla causa irlandese, ma in verità è più il lato oscuro del personaggio (solo apparentemente "buono" in senso ingenuo) che lo porta ad essere attratto da avventure piratesche, romantiche ma anche distruttive fini a sé stesse. Dylan, che da Corto per moltissimi aspetti deriva, ha un romanticismo diverso, che porta alla conseguenza opposta.

In una sequenza onirica (che fa da contorno a tutto l'albo) il sacerdote dell'inizio, la morte stessa come si vede già in copertina, sposa Dylan e Lillie (lui usa l'anello dell'Uomo Mascherato, citazione che sottolinea ancora la natura di fumetto di Dyd), prima di portare via la sposa di Dylan, che cade così nel suo alcolismo.

L'Uomo Mascherato, tramite Asso di Picche, era stato ispirazione per Pratt, che dopo il tentativo di supereroismo nel 1945 sceglierà l'avventura piratesca più pura. Pratt era già stato omaggiato come modello osservato con rispetto dallo staff dylaniato; nel 1995 la sua precoce, tragica scomparsa rende ancora più pregnante questo omaggio.

Significativo a questo punto l'anti-omaggio della Barbato ad Andrea Pazienza nel numero 200, su cui torneremo a tempo debito; in ogni modo, si conferma la dimensione meta-letteraria del personaggio, evoluzione interessante del citazionismo originario, e come detto forte nell'anno della riflessione del decennale.



Superate le colonne d'Ercole del 121, "Il confine" (122) di Chiaverotti e Dell'Agnol vede soprattutto l'evoluzione ulteriore del segno dell'artista visivo verso l'astrazione, in una storia in cui l'orrore non è evocato dal nero che soffoca il bianco, ma da esili trame nere che quasi svaniscono in pozze bianche di nulla. Perfetta la cover di Stano (dopo una Opera al Bianco anche nel precedente numero) in sintonia con i disegni interni.

Dylan valica "il confine": una metafora inquietante (e, ancora una volta, metatestuale). Per molti, varcato il decennale del 120, Dylan inizia a decadere. Se non il 100, il 120 segna la cifra tonda dell'apice inarrivabile. Io non concordo interamente con questa visione, ma certo questa Prima Decade è la base fondamentale del personaggio.



"Phoenix" (123) è l'esordio di un altro grande interprete di Dylan, Mari, su testi di Sclavi per cui realizzerà numerosi capolavori (se vogliamo restare su questo gioco metaletterario, che forse è sovrainterpretazione, Dylan valicato "il confine", come una "Fenice", può risorgere dalle sue ceneri...). Dopo Dell'Agnol, un secondo autore "sperimentale" per chiudere l'anno, con l'intento di puntare con forza sul disegno. Mari diverrà, in certo senso, il volto della "seconda età dylaniata", per questo poco amato da un nucleo di fan "hardcore". Ma il suo stile è adattissimo all'inquietudine horrorifica di DD, e non a caso Recchioni gli affiderà il "suo" albo della rinascita.

Tra gli albi dylaniati di Mari, sempre con Sclavi, vi sarà come diremo l'Oscura Signora, di recente ripubblicazione Bao, di cui i disegni eccelsi e innovativi saranno rifiutati dalla Bonelli che li farà ridisegnare. In questo modo, ma più avanti, lo sperimentalismo di Mari, che va crescendo su DD a fianco di quello di Dall'Agnol (ma avremmo visti gli ultimi esiti prima della gestione Recchioni?), viene in parte frenato. Quello che si salva in legittima leggibilità si perderà in possibilità di ricerca, il segno del disegno di Dylan dagli esordi di Stano in poi.

Ma questo è ancora futuro. E il 1996 si segna invece come annata che, dopo la stanchezza delle "vacanze sclaviane", vede una nuova ripresa. Sclavi è tornato, e si sente; non solo nelle sue storie ma probabilmente anche nella supervisione, non più impalpabile.