Urfaut

Francesco Rugi 2010

“Crede che coloro che danzeranno questa sera sappiano il senso di tutti i canti e i nomi magici che pronunceranno? Fortunatamente no, perché il nome ignoto funzionerà come esercizio di respiro, vocalizzazione mistica.” (Aglié, ne “Il Pendolo di Foucault”)


L'alchimista digitale Urfaut svolge ormai da tempo una complessa ricerca sulle frontiere tecnologiche della produzione artistica, andando a indagare soprattutto le prospettive future dell'immagine digitale. È quindi significativo e interessante, a mio avviso, che non abbia scelto un marchio professionale che richiami una dimensione cyberpunk o futurista, ma piuttosto un intricato ed oscuro riferimento alchemico.

Come è noto, infatti, l'Ur-Faust – etimologicamente “Faust primigenio, originario” - è la prima versione del “Faust”, scritta dal giovane Goethe verso il 1770 e poi rimaneggiata per tutti gli anni della sua vita, fino all'edizione definitiva nel 1832, che precede di poco la morte. Il Faust di Goethe segna il passaggio da una figura di Faust come mago (come ad esempio nell'opera di Marlowe) alla moderna figura dello scienziato che stava nascendo con la rivoluzione industriale – inclusa la fotografia, apparsa sei anni prima. L'Ur-Faust invece è in ogni senso ancora l'antico Faust, quello alchemico.

Ma la citazione di Urfaut è tipicamente postmoderna, in quanto il nome è ovviamente riproposto all'interno di un intricato gioco di parole, che permette tuttavia di indagare più a fondo il senso della produzione volpiana. Faut, infatti, in francese, è “necessità”: l'Ur-Faut diventa così una “necessità primaria”; quella, possiamo ritenere, o – più radicalmente ancora – di Vedere. Ma la cosa è ancora più bizantina, perché Faute, in francese, è “errore”, e fautographie è il termine coniato da Man Ray negli anni '60 per identificare l'immagine fotografica "sbagliata" come salvifico lapsus rivelatore, automatic writing surrealista. Quindi Urfaut si pone come citazione (volutamente) erronea, tesa ad evocare l'”errore necessario”, l”errore primario”, elemento imprescindibile della poetica dell'autore. Egli cerca infatti la rivelazione casuale, la scoperta involontaria, l'immagine che contiene in sé qualche insospettabile fattore che la redime, rendendola più preziosa di un estenuato studio pittorialistico.

Tutto il sito di Urfaut è permeato da tale poetica fautografica, nella ricerca sulle fotografie dilettantistiche all'immagine scelta dall'autore per il proprio sito. Uno scatto sfocato, apparentemente casuale, che però evoca proprio in questa sua “imperdonabile” imprecisione l'idea che sia la casuale e fortuita documentazione di personaggio enigmatico altrimenti racchiuso nel mistero. Urfaut sembra quasi costruire un mito di sé non lontano da quello di Thomas Pynchon, l'ermetico autore dell''“Incanto del Lotto 49”, notorio per il suo rifiuto di farsi in qualsiasi modo ritratte, e identificato solo da una dubbia e sfocata istantanea giovanile.

Il mito di Ur, curiosamente, era stato ripreso anche da un occultista dell'ambito monregalese.

Il “Gruppo di Ur” fu infatti organizzazione iniziatica del periodo fascista, che mirava a condizionare il regime all'istituzione di un nuovo imperialismo pagano. Il duce tuttavia, superstiziosissimo, li considerava tutti dei gran iettatori e dopo i Patti Lateranensi del 1929 i contatti con gli occultisti, divenuti compromettenti, vennero gradualmente lasciati cadere, e Julius Evola, il leader della confraternita, iniziò a guardare alle faustiane sponde tedesche, per divenire poi, nel dopoguerra, il riferimento mistico della destra postfascista.

Al gruppo aderì anche una personalità legata a Mondovì, Guido De Giorgio. Amico di Guenon, sulla rivista ermetica “La Torre” (1930) fu teorizzatore del fascismo sacro, che ripropose ancora a Mussolini nel Natale del 1939. Lo stesso anno in cui, tra l'altro, a capo della Teosofia Italiana saliva un altro esoterista monregalese, Giovanni Gasco. Dopo la guerra, De Giorgio si trasferirà a Mondovì, dove morirà nel 1957, all'ombra di quella Torre, forse, che la sua rivista prefigurava. Lo intristiva il trionfo della scienza, che egli vedeva nei progressi tecnolici crescenti, appunto Faustiani, cui opponeva la primordiale mistica fascista.

All'opposto, Urfaut si pone invece nel segno della conoscenza, sia quella ermetica che quella tecnologica, unificandole nel medesimo intento, quello della conoscenza sapienziale. E la foto scartata dagli amatori diviene testata d'angolo.