Watchmen

Il post di ieri su Alan Moore mi spinge a questo approfondimento su Watchmen, a costo di rischiare di dire delle banalità su un'opera così analizzata e famosa, e ben consapevole di proporre solo alcuni spunti di riflessione su un'opera che meriterebbe un'esegesi ben più ampia. In attesa, ovviamente, di recensire il romanzo di Moore, che sto leggendo. Avviso spoiler multiplo, su Watchmen e varie opere che citerò per paralleli.

Come già accennato, Watchmen, uscito nel 1985, è divenuto il testo-simbolo della rinascita fumettistica iniziata negli anni '80, quella che ha visto il nascere del concetto di Graphic Novel, "romanzo grafico", termine proposto nel 1978 da Will Eisner per la sua nuova produzione fumettistica che, abbandonati i comic book (dove era stato un maestro col raffinatissimo The Spirit), voleva utilizzare il medium del fumetto con analoga dignità del romanzo per raccontare, nel suo caso, il mondo newyorkese - specialmente la comunità ebraica di cui egli faceva parte.

Watchmen fa un'operazione però leggermente diversa: cala questo approfondimento psicologico (che l'opinione pubblica riteneva, stereotipamente, impossibile nel fumetto) all'interno dell'ambito del fumetto supereroistico. Abbiamo quindi in Watchmen, a un primo livello, non un romanzo tradizionale sviluppato con i metodi del fumetto, ma un fumetto di supereroi i cui protagonisti sono approfonditi psicologicamente in modo realistico e complesso.

Si tratta di una operazione che rimanda a quella compiuta in letteratura da "L'incanto del lotto 49" (1965) di Thomas Pynchon, opera fondante del postmoderno. Anche in questo caso, infatti, una storia cospirativa, mistery (e anche al centro di Watchmen c'è un complotto, una cospirazione) viene elevata a livello d'arte tramite una riscrittura raffinata, ludica, metaletteraria.

La densità di scrittura, in entrambi i casi, deriva dalla dimensione esoterica data all'opera: un esoterismo irridente quello di Pynchon (ma che, in un gioco delle scatole cinesi, può portare a pensare di dissimulare una verità), e più autentico, in apparenza, quello di Moore (anche se, in effetti, il finale aperto lascia intendere che tutto il senso della trama possa essere rovesciato. Un finale aperto molto simile, a pensarci, a quello del Lotto 49: in entrambi i casi, la conclusione è affidata all'apertura di una busta e alle conseguenze della sua lettura).

In Watchmen, comunque, l'uso di simbolismi ermetici è molto più pertinente e magicamente attendibile: tutto è giocato sulla rielaborazione del Cerchio Spezzato, simbolo magico fondamentale di tutta la tradizione occidentale (anche di recente ho scoperto che Mucha lo omaggiava nella Q, elemento fondamentale di tutte le sue opere: un cerchio visivo attraversato dalla figura femminile). Esso rimanda alla Fearful Simmetry, alla terribilità della simmetria, assente in natura e nel piano di Dio, e quindi diabolica. E anche tutta l'opera (senza spoilerare troppo) è incentrata difatti sull'impossibilità di un piano umano (ma anche divino) privo di pecche che consentono un ciclo diverso da quello progettato.

Il Cerchio Spezzato è poi declinato in vari modi: innanzitutto è lo Smile macchiato di sangue che è la sintesi grafica di tutta l'opera, e che è il simbolo stesso del Comico, traduzione in parte imprecisa di Comedian, la vittima dell'omicidio iniziale. Il nome del personaggio è certamente un gioco sul termine Comics per definire un genere, quello supereroico, che è in realtà più affine al dramma se non alla tragedia; ma è ancora più esplicito nel rimandare alla Commedia e a un Commediante: verso il finale il Comico ha capito tutto, e comprende che tutta la situazione è una gigantesca, orribile farsa. Rorscharch lo paragona, in una sua terribile barzelletta, al comico triste Pagliacci (nome italiano nell'originale inglese). Lo Smile, del resto, rappresenta sufficientemente bene una sintesi moderna della maschera ridente simbolo della commedia classica; il fatto che sia striato di sangue allude al fatto che l'humour è nero, che il comics, il fumetto, cela una macabra verità (si risente quasi Pascal: "per quanto allegra sia la Commedia della vita, l'ultimo atto è sempre sanguinoso").

Il Cerchio Spezzato torna poi nella sua duplicazione nell'Orologio con la lancetta ad ore undici, simbolo dell'orologio atomico che preannuncia l'imminenza dell'olocausto nucleare, presente nel titolo sia come simbolo grafico che nel termine stesso Watchmen, uomini che guardano, guardiani, ma anche uomini-orologio, letteralmente. L'opera è poi divisa in dodici capitoli, corrispondenti all'avanzamento dell'orologio nucleare, esattamente come dodici saranno i capitoli del romanzo che sto leggendo.

Questi sono i due principali simbolismi su cui è giocata l'opera: lo Smile come Maschera Antropomorfa e il simbolo astrologico dell'Orologio. Come ho già detto altrove (e qui non mi soffermerò più) diviene anche l'obiettivo fotografico screziato da un riflesso, ed altri simbolismi minori, che si intersecano agli altri nell'opera.

Il titolo Watchmen (cui l'orologio rimanda) è poi ispirato, dottamente, ad una citazione delle Satire di Giovenale, "Quis custodiet ipsos custodes?" riportata in conclusione dell'opera, che è anche il motto del movimento che, nel fumetto, si è battuto per la messa al bando dei supereroi. La domanda è infatti un monito sull'inutilità di creare dei supremi Guardiani della Legge, perché dando a loro estremi poteri, sarebbero loro a sovvertirla in modo irrimediabile.

In verità, però, in origine si riferiva alla tendenza deprecabile delle matrone romane di andare a letto coi gladiatori, schiavi ma pieni di maschia passione: ed era inutile, insisteva Giovenale, farle sorvegliare a vista da schiavi guardiani, perché chi avrebbe poi custodito questi custodi? Il segno quindi della profonda decadenza imperiale nella perversione sessuale, elemento che caratterizza anche Watchmen, in cui nel costume, innegabilmente, tutti i protagonisti trovano un elemento di trasposta soddisfazione sessuale.

E non a caso Moore cita (facendolo apparire in uno scaffale del primo Nite Owl) il racconto Gladiator (1930) di Philip Wylie, il primo in cui emerge il tema del superuomo, che tuttavia percepisce subito la futilità di porsi quale custode della giustizia, e non riesce a trovare un suo posto nel mondo umano che gli pare gradualmente sempre più indifferente. Probabile modello del Superman del 1938 (che nel cosmo di Moore ha suscitato l'apparizione dei veri "eroi mascherati" ed è quindi declinato come genere in favore delle storie di pirati), esso contiene un riferimento alla grandiosità muscolare dei gladiatori romani, che Moore comprende e rivela quale fondante del fumetto supereroico, dove il mondo romano è quasi sempre rievocato in connessione al tema gladiatorio.

Al Gladiator è poi evidentemente ispirata la figura dell'unico vero superuomo del fumetto, il Dottor Manhattan, creato dalla stessa energia nucleare che minaccia il cosmo (il dottore blu si dona poi il suo simbolo, l'atomo di idrogeno, che è nuovamente un cerchio sacro, in questo caso perfetto, poiché egli è davvero un superuomo).

Quella del Gladiatore è comunque la vera natura dei vendicatori mascherati: gladiatori schiavi della nostra società, in verità inutili a qualsiasi scopo concreto, assoldati come utile distrattore sociale, nel cosmo di Watchmen e nel nostro. Il Circo gladiatorio: questo è forse il Cerchio definitivo celato nell'opera.

Non a caso tutto il tema del Mask Killer, l'uccisore di supereroi, obiettivo della detection del fumetto, si rivela una falsa pista sfruttata per depistaggio dall'assassino. Questa, inoltre, è una palese ripresa del meccanismo del Nome della Rosa di Eco, uscito nel 1980 con immediato grande successo anche americano, proprio in quegli anni: anche qui il protagonista riconosce uno schema apocalittico negli omicidi, e l'assassino, che ha tutt'altri scopi, glielo lascia credere per depistarlo (Non a caso, del resto, Eco è probabilmente il miglior allievo del postmoderno esoterico del Lotto 49 pynchoniano, che riscriverà di lì a poco nel suo Pendolo di Foucault del 1988).

E, non a caso, il primo vendicatore mascherato, Hooded Justice, era nella realtà un forzuto del circo. Proprio il suo presunto omicidio ad opera del Comico costituisce il "peccato originale" degli Watchmen, e in qualche modo giustifica il "cattivo" di turno all'assassinio del Comico con cui si apre l'opera intera. Tuttavia, in verità il Comico non haucciso Hooded Justice, come dimostra la celebre vignetta di tavola 25 riportata in apertura del post.Qui vediamo Hooded Justice - l'uomo coi baffi - felicemente seduto a un tavolo col suo partner gay Capitan Metropolis, il quale ha simulato la morte in un incidente stradale che lo avrebbe decapitato (nei comics, una comoda morte per sostituirsi con un cadavere senza testa...). Notiamo che i due portano al collo, come cravattini, due maschere dismesse: il giorno è il 15 ottobre, anniversario della prima apparizione di Hooded Justice, che i due stanno festeggiando. Davanti a loro, come si può vedere, passa la Morte, così come è raffigurata nei fumetti DC di Neal Gaiman, giovane e con make up egizio.

Ancora una volta, il cerchio delle temibili simmetrie viene spezzato.

Molto altro si potrebbe dire sui Guardiani: ma di altri aspetti mi riservo di parlare in prossimi post.