La Coscienza di Xeno

 René Magritte, "L'assassino minacciato" (1927)


Avendo recentemente recensito il bel romanzo "Xeno" del monregalese Gregoli, mi è tornato alla coscienza di un altro ben più noto caso di connessione tra Mondovì e letteratura italiana. La connessione è indiretta, perché passa per il personaggio del monregalese Giolitti, già evocato, come ho ricordato su questo blog, ne "Il giardino dei Finzi Contini".


L'opera è ancora più celebre, e si tratta appunto della "Coscienza di Zeno" (da cui il perché della reminiscenza): nel romanzo del 1923 il Giolitti è evocato nell'importante chiusura del romanzo. Zeno Cosini difatti rassicura falsamente un contadino che vorrebbe mettersi in salvo di fronte al rischio di una guerra: "A Roma hanno ribaltato il ministero che voleva la guerra e ci hanno ora il Giolitti", mente quell'inetto impunito, preda dei suoi soliti ghirigori mentali (che Svevo ci sfida, irridente, ad indagare, lasciandoci sempre il dubbio se significhino poi granché). Della menzogna lo stesso Zeno si autoconvince, senza rassicurarsene: "Certamente il Giolitti era tornato al potere, ma non si poteva sapere se, arrivato lassù, avrebbe continuato a vedere le cose nella luce in cui le vedeva quando lassù c'era qualcuno d'altro". Zeno viene poi fermato da soldati austriaci e riaccompagnato fuori dallo scenario bellico da un caporale teutonico anch'egli intimorito dai rischi di guerra, e che ugualmente Zeno rassicura con la storia del Giolitti. Una volta in salvo, comprendiamo un possibile motivo del suo understatement sui rischi bellici: Zeno infatti, ottimo speculatore, inizia a fare incetta di ogni tipo di merce, ben sapendo che essa col conflitto decuplicherà di valore: e così si arricchisce, capitalista bellico affascinato dagli orrori della guerra che a lui portano prosperità come il più cinico degli entomologi.


"Ma l’occhialuto uomo ... inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psicanalisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del suo maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. 





Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati qauli innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli privi di parassiti e di malattie.”.
Anche la "Coscienza di Zeno" si conclude dunque come il miglior romanzo di fantascienza catastrofista, e i commentatori ultimamente non mancano mai di rimarcare la modernità delle sue parole (di recente rispolverate con Fukushima). In verità si tratta di una chiusa tradizionale per il pensiero del materialismo epicureo: con la stessa coscienza di Svevo si chiudeva il V libro del "De Rerum Natura", dedicato all'evoluzione prima biologica e poi tecnica, evocando la fine del mondo a causa di una tecnica bellica sfuggita di mano agli uomini (nella fattispecie di Lucrezio, belve feroci aggiogate a fini bellici). Il catastrofismo tecnologico ha quindi radici antiche: ma fa piacere che il polo del buonsenso antibellicismo venga attribuito (giustamente) al buon vecchio "panciafichista" Giolitti, mio remoto concittadino.


(La copertina del post è tratta da un dipinto surrealista di Magritte. Magritte è spesso evocato nelle copertine di edizioni moderne di Svevo, perchè il suo uomo con bombetta richiama una certa iconografia di Zeno, che l'autore aveva paragonato a un incrudelito e imborghesito Charlot. Di solito si evocano altri dipinti visivamente più noti, ma mi è piaciuto associare questo, uno dei primi con gli uomini in bombetta, risalente all'epoca in cui romanzo diveniva famoso e in cui il tema dell'assassino minacciato, vagamente giallistico, si associa bene a Zeno spesso responsabile, come qui, della morte di chi gli sta antipatico: ne uccide più l'inconscio che la spada).