Memento Moro

Lorenzo Barberis, "Memento Moro" (2010)


Di recente ho preso a leggere la raccolta "Alpi Liguri Primo Amore" (2004) di Silvano Gregoli, di cui ho già parlato in relazione al recente "Xeno". Si tratta di un'opera monregalese passibile di varie letture ermetiche, di cui mi riservo di trattare più ampiamente in futuro. Qui voglio solo anticipare una involontaria rivelazione sulla Mondovì esoterica presente nell'opera, che non avevo ancora pensato di evidenziare.



Agli inizi della sua opera Gregoli ipotizza quindi che il Moro potrebbe osservare di sbieco il Monte Moro, anche se - guardando fisso dinnanzi a sé - vedrebbe piuttosto il Monviso. Una duplice connessione che qualche modo rimanda, anche se in modo ancora in parte oscuro, alla complessa geomanzia del monregalese.


Una connessione importante, poiché riguarda quello che è divenuto, nel tempo, il principale simbolo della città: il Moro,  il  Re del carnevale cittadino le cui origini risalgono presumibilmente nell'Ottocento. La sua prima incarnazione è appunto nell'automa del campanile della chiesa di San Pietro a Breo, risalente alla metà del '700 e realizzato da Matteo Mondino, un meccanico collaboratore dell'abate Beccaria, il pioniere degli studi elettrici in Europa, corrispondente del Franklin e guardato, pare, dai suoi concittadini alla stregua del più oscuro alchimista. Ma, andando più indietro, Mondovì aveva anche ospitato il Moro di Venezia, protagonista di un racconto del dotto umanista  e tragediografo Cinzio Giraldi pubblicato in città nel 1565, che avrebbe ispirato il più famoso Moro della letteratura mondiale, Otello. Più indietro ancora, ovviamente, il Moro è ovviamente il simbolo degli antichi dominatori islamici di queste zone, verso l'VIII secolo; e forse, come avevo ipotizzato già nei miei "Misteri di Mondovì", una incarnazione dell'antico Sole Nero, il dio Mithra, di cui era attestata la venerazione in queste zone, in età romana, in particolare in connessione alla Bisalta, su cui tramontava il "sole nero" del Solstizio d'Inverno (mentre all'estremo opposto, nel solstizio estivo, cadeva sul Monviso, che il Moro si ritroverebbe appunto a fissare).



In verità per gli edificatori della chiesa il Moro non aveva probabilmente il ruolo che qui gli si attribuisce. Ancora nel 1900, tre anni prima che la canzone del carnevale monregalese consacrasse il Moro quale maschera civica ufficiale, il pittore Luigi Morgari effigiava sotto la torretta dell'automa l'elegante affresco raffigurante la vittoria di Simon Pietro, che tramite l'aiuto del cielo fa cristianamente sfracellare al suolo l'occultista ebraico Simon Mago, davanti alla figura del divo Nerone sbigottito (e coronato d'alloro): la Fede che vince i suoi Nemici, la spiegazione più semplice per miriadi di "misteriosi" demoni reggitori di  messali e acquasantiere, a partire da quello di Rennes Le Chateau; e quindi anche per il nostro meccanico saraceno.



Eppure, di quel piccolo capolavoro architettonico che è la chiesa di San Pietro in Mondovì, solo il Moro si è stagliato al punto di divenire il vero palladio cittadino, mentre ad esempio l'affresco edificante (sebbene anch'esso esoterico...) del Morgari è totalmente dimenticato ad appena cent'anni dalla sua esecuzione. Forse quindi il Moro ha davvero catalizzato su di sé archetipi preesistenti al di là delle originali intenzioni: e alla fine, comunque, ci dimentichiamo della chiesa che lo sorregge, e ci ricordiamo solo del Moro.