Bonelli



Lo scorso 26 settembre si è spento, all'età di 79 anni, l'editore Sergio Bonelli. La notizia mi ha colpito, come ha colpito la stragrande maggioranza degli appassionati italiani di fumetto per l'enorme, fondamentale importanza della casa editrice nella storia del fumetto italiano. In queste occasioni di solito si ricorda cosa ha significato la persona illustre nel nostro vissuto personale, forse sempre col rischio di mettere noi stessi al centro della commemorazione. 

Per me il fumetto Bonelli è stato inizialmente "i fumetti del barbiere". Provengo da una famiglia di forte tradizione cattolica (mio nonno Memo Martinetti scrisse delle storie per il Vittorioso) e quindi il mio riferimento obbligato - riferimento eccellente, tra l'altro - era "Il Giornalino" dei Paolini albesi, salvo qualche sporadico Topolino che però non fece mai entrare davvero il topo massonico nel mio immaginario più profondo. Al limite in famiglia si rinverdivano appunto i fasti del "Vittorioso" e del "Corriere dei Piccoli", i modelli appunto del Giornalino stesso.

I fumetti Bonelli invece li leggevo una volta al mese andando dal barbiere, che teneva una pila di sgualciti Tex in mezzo a vecchie riviste sportive. Le attese lunghissime che mi toccava di subire non mi spiacevano, perchè avevo la possibilità di leggere quei fumetti che - a sei-sette anni - non mi sarebbero altrimenti stati permessi. Per cui la scoperta di Bonelli, nei primi anni '80, venne proprio tramite il capostipite Tex (1948), che mi ricordava le storie giornalinesche dell'eccellente Larry Yuma (ovviamente il rapporto di filiazione è invertito...). 

La cosa che mi colpiva era però la "laicità" adulta di quel fumetto. Non tanto l'assenza di messaggi religiosi espliciti - Giornalino da pars cattolica, Corrierino da pars massonica, erano troppo smaliziati - ma un certo generale obbligo morale educativo. Tex non educava, Narrava: dando a tutto questo la piena dignità maiuscola del fatto letterario, almeno ai miei occhi di lettore infantile. Non c'era pubblicità (diabolica seduzione per me inevitabilmente simmetrica agli scopi educativi del "giornaletto per fanciulli"), le storie occupavano l'intero albo, cartonato come un libro "vero".. Non era una favola educativa con morale - come tutto veniva ridotto nella letteratura che ci veniva proposta, anche a scuola: era, appunto, come ha sempre rivendicato Bonelli, un "romanzo a fumetti".

Un elemento più di tutti mi chiarificava questo fatto: un elemento in fondo spurio nel western, ma non nella tradizione texiana: l'ambito magico ed esoterico. La tradizione esoterica in Tex esisteva, e funzionava, andava presa sul serio: sia quella autoctona indiana, sia quella di matrice occidentale. Il vero nemico del protagonista era il satanico mago Mephisto, un essenziale alleato di Tex era un esperto egizio di occultismo, il Morisco. Oggi il Giornalino, che ho rivisto spesso con piacere, sovrabbonda di storie ricche di elementi magici, credo introdotte a partire dai '90 da un interessante fantasy come "Leo ed Aliseo". Negli '80, però, tale tradizione mi sembrava bandita, per ovvie ragioni educative (c'era invece per paradosso l'oroscopo, poi tolto a un certo punto). Il sovrannaturale era solo divino o - al limite - esplicitamente demonico.

Facile comprendere come questo mi facesse passare volentieri da Mefisto direttamente allo Zagor di Sergio Bonelli - se avessi guardato il nome, ovviamente, non avrei collegato, dato che firmava sotto lo pseudonimo di Nolitta. in Zagor (1961) il western era davvero solo la cornice, e il fantastico, nelle sue varie forme, il protagonista. Sulla base di quel primo e cupo fantastico, reso ai miei occhi imbevuti di colore più, e non meno, affascinante dal violento gioco chiaroscurale del bianco e nero, negli anni delle medie giunsi ovviamente, come tutta una generazione prima dei manga (non ovviamente prima degli anime, che però erano solo i cartoni animati) giunsi a Dylan Dog (1986) di Tiziano Sclavi, e poi coltivato con passione alle superiori. Su Dylan Dog litigai coi miei genitori, ovviamente, sia pure nella forma di una lunga, accesa discussione essendo genitori  intellettuali e progressisti. Mia madre in sostanza mi consigliò di leggere piuttosto Hugo Pratt, sua reminiscenza fumettistica, cosa che mi fece scoprire un altro incredibile mondo esoterico (che certamente è tra i riferimenti più o meno voluti di Sclavi stesso); in cambio, accettò di leggere Dylan Dog e - anche grazie, forse, alla mia sapiente selezione di storie suggerite... - finì per rivalutarlo completamente.

Erano comunque anni di grande fioritura bonelliana: nel 1991 nasceva il Nathan Never della banda dei Sardi, il primo fumetto Bonelli che potei seguire fin dal primo numero. Ma ancor più di questo mi affascinava il riscoperto Martin Mystere (1982) di Alfredo Castelli, che davvero era la tradizione esoterica a me cara trasformata in fumetto d'autore, quasi una anticipata trasposizione a fumetti del "Pendolo di Foucault" (1988) cui è dedicato questo blog, che avevo scoperto sempre all'epoca.

Col passaggio all'università, il mio legame con la Bonelli si affievolì, pur senza svanire del tutto. Di Bonelli continuai a leggere qualcosa, ma in modo più sporadico: il magnifico noir "Julia" (1998) di Berardi e Milazzo, sovrabbondante di sette sataniche di vario tipo; e poi le due serie di Luca Enoch, "Gea" e oggi "Lilith", tuttora in corso di svolgimento, profondamente intrise di dotta cultura ermetica. E naturalmente, qualche Dylan Dog, qualche Mystere ogni tanto, se una storia mi colpiva, o in attesa ad una stazione di qualche treno che mi portasse a casa dall'università prima, o dopo dalle varie sedi di insegnamento nel basso Piemonte.

Insomma, la passione ermetica che anima questo piccolo blog ha le sue prime radici nel terrificante ghigno di Mefisto, nelle paludi oscure in cui si aggirava potente uno spirito della scure, più affascinante ai miei occhi di mille razionali, troppo razionali super-eroi.