Tutto Quel Nero









La sobria cover del romanzo





“Tutto quel
nero” (2011) di Cristiana Astori è un romanzo davvero strano (allerta spoiler,
come al solito).







Forse il
senso di inquietudine che mi ha trasmesso è legato anche alla conoscenza, sia
pure vaga e remota, che ho dell’autrice, la fossanese Cristiana Astori, che
avevo incontrato, più di dieci anni fa, alle riunioni di redazione della
rivista letteraria “Weltanschaaung”.
  Un
fatto che può avere inciso nel dare corpo ai fantasmi del libro, tutto
incentrato sull'orrore metaletterario degli Pseudobiblia, sui contatti tra
finzione e realtà, ma contatti appunto vaghi, remoti e impalpabili.







Uscito nella
gloriosa serie dei Gialli Mondadori, “Tutto quel nero” è infatti un giallo in
modo molto marginale, rientrando più al limite nel Noir, o proprio nel Nero
come colore archetipo dell’orrore sovrannaturale.





In sostanza,
la protagonista è una spiantata studentessa universitaria di cinema (a Palazzo
Nuovo, a Torino) che viene incaricata da un misterioso Cliente di rintracciare,
per una somma spropositata, il cortometraggio perduto “Un dia en Lisboa” (1964),
un filmato maledetto legato alla morte di Soledad Miranda, attrice feticcio del
regista Jesus Franco il quale, dopo la morte di Miranda nel 1970, ritenne
davvero che il suo spirito tornasse a possedere altre sue attrici, tra cui la
moglie Lina Romay - un cognome quasi anagrammabile in (Rina?) Molay.












Soledad Miranda in una delle rare immagini caste reperibili su internet.







Date le
premesse, il romanzo scorre poi con estrema perizia secondo i binari collaudati
che ci si possono aspettare. La cerca del presunto pseudobiblia filmico si
sviluppa anzi in un calco quasi perfetto della “Nona Porta” (1999) di Roman
Polanski, la rielaborazione del Club Dumas (1993) di Reverte: se nel film
ovviamente Corso cercava un manoscritto maledetto (ma a sua volta, composto in
realtà da una
sequenza d’immagini…) nel
romanzo l’incasta Susanna insegue il fantasma di un film impossibile , in un
continuo chiasmo tra parola scritta e immagine filmata che è il costante gioco
di carte con cui Cristiana Astori fa girare la testa al lettore come alla sua
sventurata protagonista.











Ovviamente,
proprio come Corso, “Susan” scopre che De te fabula narratur, che tutta la
cerca è un rito orientato a rievocare in lei la scomparsa Miranda (un lettore
un minimo smaliziato è stato volutamente messo sull’avviso già da quella cifra
esorbitante, un quarto di milione di euro ad una dilettante, in un ambiente collezionistico
dove, ci ribadisce credibilmente ad ogni passo la scrittrice, tutti cercano di disprezzare
ciò che comprano e fare orecchie da mercante).
 Il finale è un necessario rovesciamento a la
Hitchcock inevitabile per le esigenze di collana.




















La Donna Scarlatta nella Nona Porta (1999) di Polanski e Reverte.







La
connessione, che è anche stata criticata come eccessiva in alcune recensioni
online che ho letto, è del resto apertamente esplicitata nel corpo del romanzo,
e appare più che un semplice omaggio letterario: il romanzo dello spagnolo
Reverte e il film del polacco Polanski portano in effetti Corso anche in
Portogallo, dove incontra il collezionista Vargas; e l’attore che lo
interpreta, Jack Taylor, era a sua volta connesso a Miranda e alla sua
maledizione.











Dietro ad
entrambe le opere, alla Nona Porta e a un Giorno a Lisbona, aleggia poi tutto
il nero di una lunga ombra che si estende su tutto il Novecento ermetico:
quella di Aleister Crowley. Le incisioni di Francisco Sole che impreziosiscono
il romanzo e il film della Nona Porta sono evidenti rielaborazioni dei tarocchi
in senso profondamente crowleyiano; e a Lisbona, presso la Bocca degli Inferi,
Crowley inscenò il suo falso suicidio con l’aiuto di Pessoa. Comune alle due
opere, del resto, è l’idea crowleyana del sex magick come vera chiave di
accesso alla sapienza arcana: per quanto riguarda Jesus Franco la cosa è
autoevidente, mentre la Nona Porta è quella della celebre poesia di
Apollinaire, citata anche da Umberto Eco nel suo “Pendolo”.




Forse, mai nominato,
aleggia dietro queste citazioni intrecciate (e intrecciate a innumerevoli altri
riferimenti per cinefili di nicchia, un mare in cui per me, non strettamente
esperto del settore, è dolce e frustrante naufragare) lo specchio del rapporto
tra Crowley e il principale pseudobiblion della tradizione esoterica, il
Necronomicon, che molti vogliono suggerito a Lovecraft dal mago inglese per
tramite della comune conoscente (?) Sonia Greene.









Un elemento,
però, cambia radicalmente le carte in tavola rispetto al Necronomicon, alle
Nove Porte dei Regni delle Ombre o al manoscritto di Provins. Come comunica la
stessa autrice al termine del romanzo, durante la sua stesura il misterioso “Un
giorno a Lisbona” è stato effettivamente ritrovato dal critico Carlos Aguilar,
a Madrid. Una coincidenza inquietante , specie dopo averci offerto un romanzo
in cui si insiste nel dirci che le coincidenze non esistono, che non per caso
Soledad Miranda (ma anche Sharon Tate e Marylin Monroe, sullo sfondo) è al
centro di un oscuro rituale sospeso tra la magia nera e lo snuff movie.




















Cristiana Astori indubbiamente ama confondere i piani tra scrittura, cinema, realtà.







L’opera di
Cristiana Astori, un Giallo Mondadori effimero come le opere di cui parla, sembrerebbe
dunque l’ennesimo potenziale tassello dell’eterna (non) rivelazione ermetica,
dall’Hypnerotomachia Poliphili in poi, giocato ad ottimi livelli, ma all’interno
di una lunga e vasta tradizione. Se non fosse, appunto, che l’oggetto del suo
contendere è realmente tornato alla luce: cosa che infrange quasi una regola
non scritta del genere.




Vorrei
esaminare con più cura le implicazioni di questo elemento; ma qualcosa mi fa
velo ad un esame più oggettivo. L’unica domanda che mi rimane, ma è poca cosa,
è se la Astori sappia che qui vicino alle nostre zone, presso la chiesa di San
Fiorenzo, alla Bastia di Mondovì, esiste uno dei più inquietanti e più vasti (il
più vasto, forse) cicli pittorici dedicati alla Bocca degli Inferi del
quattrocento italiano. Ma le immagini nella mia mente si confondono, e resta solo Tutto Quel Nero.