Muoia Sanson con tutti i Filistei


La cover del fumetto Bonelli. 

Nella cultura generale fumettistica media la Rivoluzione Francese a fumetti coincide con Lady Oscar, o meglio "Le Rose di Versailles" (1972), il grande manga storico di Ryioko Ikeda, diffuso in Italia soprattutto come cartone animato o, come dicono i nipponofili, "anime", sulle reti Mediaset (Fininvest, allora...) di inizio anni '80. 

Un cartone animato eccellente, che non poteva non segnare l'immaginario della mia generazione e di quelle immediatamente successive, anche perché, rivolto a un pubblico relativamente maturo, da noi (per il fraintendimento per cui il fumetto è "roba da bambini") veniva proposto al pubblico scolare delle elementari. Il pupazzo One che scherza con un giovane Bonolis, e poi ci si spara un bel po' di ghigliottinamenti, torture e ammazzamenti vari. 

Non so ad altri, ma a me affascinava particolarmente per la sua natura di animazione storica: le migliaia di morti di ogni episodio dei vari megarobot mi avvincevano, ovviamente, ma la loro natura fantastica li spostava nell'ambito della fantasia. Per cui per me il grande immaginario sanguinario era la Revolution - ben più che la Resistenza, scoperta dopo (i miei nonni, che vi avevano partecipato, non hanno mai amato parlarmene da bambino e la versione scolastica dell'elementari era ovviamente edulcorata).





La Ghigliottina in Lady Oscar


Oggi quell'immaginario viene ripreso da un interessante fumetto che apre una nuova particolare serie della Bonelli: "Le Storie", 110 pagine invece delle solite 98 bonelliane (allerta spoiler, as usual). Un ciclo di storie autoconclusive, nel classico formato del romanzo Bonelli, memore del glorioso "Un uomo, un avventura" creato nel 1976, ma decisamente più libero nello schema narrativo.

La prima uscita della nuova serie, "Il boia di Parigi", sceneggiato da Paola Barbato e illustrata da Gianpiero Casertano, si inserisce in qualche modo in quel filone, narrando "l'avventura" di "un uomo" eccezionale: ma il tema scelto rovescia, in qualche modo, i presupposti dell'avventura bonelliana classica. L'uomo è infatti il boia di Parigi Charles Henri Sanson (1739 - 1806), discendente di una dinastia di boia che attraversa Ancien Regime, Rivoluzione e Restaurazione come tecnico innamorato solo del suo mestiere, in un crescendo grandguignolesco ben orchestrato. 

Va detto che tale mito di Sanson come tecnico assoluto, astratto da ogni ideale, reazionario e rivoluzionario, è presente già nelle prime rielaborazioni del mito, risalenti all'età della Restaurazione. Ovviamente, in questo mito c'è quindi fin da subito un compiacimento anti-rivoluzionario, un "sic transit gloria mundi": la rivoluzione che pretendeva di cambiare il mondo, dal punto di vista dell'immediato post 1815, non era sopravvissuta al boia dell'Ancien Regime, nel senso letterale del termine.

Appare quindi interessante che la Bonelli scelga di reintepretare questo mito nell'aprire la sua nuova collana di Storie; dato che lo farà accentuando (sia pure in modo non privo di raffinatezza) la carica reazionaria del tema. Una scelta inusuale per un'editrice caratterizzata dalla consueta neutralità del fumetto popolare (inevitabile per non alienarsi il gusto del pubblico), ma al limite più orientata verso temi progressisti.

Sotto il profilo commerciale, appare probabile che la scelta sia legata all'intento di guidare gradualmente un pubblico ormai non più giovanissimo - il forte zoccolo duro della Bonelli - verso temi almeno parzialmente più moderni dal western che costituisce la base del suo successo. Questo appariva già il senso di Seguaro, una sorta di western ambientato in tempi moderni, l'ultimo nuovo fumetto Bonelli di tipo seriale; e anche questa scelta pare andare in questa direzione. 

Ma quel che mi interessa è il modo in cui l'opera è stata sviluppata. Paola Barbato sceglie infatti di intervenire su un doppio piano. Al mito del Boia come tecnico totalmente neutrale, già di per sé sottilmente reazionario (non a caso, tale idea venne criticata ne "Il Visconte Dimezzato" di Calvino, nella figura del mastro artigiano che costruisce affascinato perfette macchine di morte e tortura per il Gramo, pur disapprovandolo), viene caricato da una figurazione della Rivoluzione volutamente (come vedremo) da teatro dei pupi. Vedremo ora come.

Il fumetto si apre dunque col Boia, algido e felice tecnico del re di Francia, che prepara la ghigliottina. Al lettore viene subito rivelato che la Ghigliottina, associata alla Rivoluzione francese, è in verità uno degli ultimi prodotti dell'Ancien Regime. 

Tale tema verrà in seguito amplificato, sottolineando come essa sia di fatto uno strumento illuministico, nel senso positivo del termine: nel dare la morte, la dà con efficienza e umanità. Ed è lo stesso sovrano, qui effigiato come un ieratico Despota Illuminato, a completarne la progettazione (una licenza storica fondata sull'effettivo interesse di Luigi per la meccanica di precisione).

La vicenda è narrata dal flusso di pensieri di Sanson stesso: ci si sottolinea, dunque, che la storia è nella sua prospettiva soggettiva (con una rilevante eccezione, che vedremo). Questo è, ovviamente, un buono schermo per l'autrice, che in questo modo può attribuire al protagonista la lente deformante tramite la quale sono letti i fatti (anche se, tra le righe, ci farà capire che non è così).

Non viene mascherato che il sistema sia corrotto. Legrand, il procuratore del tribunale che consegna a Sanson i condannati da giustiziare (appare a pagina 8), è mostrato come un cinico effeminato (descrizione solitamente riservata ai nobili nell'immaginario popolare della rivoluzione: ma Legrand è un borghese, nobile al massimo di toga). Il concetto che si fa strada però in seguito è che la corruzione sia insita nell'uomo, e l'Aristocrazia ne fosse comunque il miglior correttivo. Il re è ieratico, gli aristocratici comunque nobili, i borghesi tendenzialmente viscidi ma almeno dotati di una certa intelligenza, il popolo è composto da una massa informe di prolet manipolabili. Rovesciando la tesi di Churchill sulla democrazia: "l'Assolutismo è un pessimo sistema, ma non se ne conoscono di migliori".

Il segno di Casertano è perfetto a tale scopo. I disegni, di alta qualità, evocano un riferimento piuttosto preciso: l'Unknow di Magnus, un perfetto "tecnico" dell'uccisione, amorale e innamorato del suo lavoro, ambientato però in età contemporanea. Sanson ne appare, decisamente, l'antecedente settecentesco.

Sanson, borghese, trascende però il suo posto nella piramide sociale, grazie all'amore viscerale per il suo lavoro. Egli è tuttavia consapevole di essere visto dal popolo in modo caricaturale: a p. 13 appare addirittura tale rappresentazione deformata, mostruosa. Un elemento cruciale: perché la Barbato ci mostra così che tutta la successiva deformazione grottesca dei rivoluzionari è pienamente consapevole.

Not this Sanson.

Dopo la pietosa esecuzione del condannato (dove appare la devota Vedova Nera che segue tutte le imprese dell'eroe), in cui emerge come il lato tecnico di Sanson lo porti a un'umanità inesistente negli altri, ci viene offerto un secondo shock al lettore medio, dopo quello di aver reso umano e illuminato l'Ancien Regime: Sanson è comunque un folle, di cui vediamo (p. 20, ma non a caso ripresa nella copertina interna...) la collezione di teste, che accumula come un feticcio. Il tono razionale e pacato con cui presenta la sua collezione ricorda quello dei folli di Poe; più modernamente, è il personaggio di Hannibal Lecter che viene in mente, serial killer ma unico personaggio colto e raffinato in un mondo decadente. Sanson è semplicemente un serial killer legalizzato: quella che è la sua passione - dare la morte ritualmente alle sue vittime, suo oggetto d'amore - è incidentalmente un lavoro retribuito; ma ciò non toglie che, con ogni probabilità, troverebbe altro modo di soddisfare le sue pulsioni.



Not this Danton.


Conosciamo poi Danton, qui effigiato come un essere porcino percorso da un'orrida lebbra. La figurazione di Danton - che è il più positivo dei rivoluzionari, nel comic! - non è casuale. Egli appare infatti semplicemente come un popolano assetato di potere, una purulenta corruzione che Sanson disprezza: tuttavia Danton lo avvicina, per reclutarlo quale nuovo tecnico della rivoluzione. Nella scena successiva (p. 24), Sanson passa addirittura accanto a una rivolta dei forni: palese citazione dello sprezzo manzoniano per il "popolo", che qui la Barbato cita ironicamente.




Not this Robespierre.


A p. 26 facciamo la conoscenza dei veri antagonisti di Sanson, Robespierre e Saint-Just, effigiati come due sadici effemminati (Vi è anche Marat, quale pura comparsa). L'astio con Sanson è evidente: egli li disprezza, in fondo, come suoi imitatori privi di stile, e privi del coraggio di compiere in prima persona le uccisioni che generano in loro piacere. Essi gli ordinano di umiliare le vittime, mostrandone la testa; per costringerlo, usano contro di lui la sua collezione di teste, costringendolo a distruggerle (sadismo psicologico dei deboli, contro il sadismo fisico dei forti).

Il gesto simbolo del boia rivoluzionario, presente anche nella cover dell'albo, diviene quindi la più sofferente dannazione del Boia, che ama profondamente le proprie vittime, e soffre nell'umiliarle. Nei nuovi tempi decaduti, tuttavia, la nobile Vedova Nera tuttavia si manifesta, e gli esprime ardente devozione, che egli contraccambia. Evidente appare il suo ruolo di incarnazione della Morte stessa, la vera dama che egli corteggia pur sapendo di non poterla mai possedere veramente; ma in qualche modo anche del ruolo della Morte quale garante dell'aristocrazia: non livella democratica, ma principio sacrale che pone gli uomini di fronte alla propria vera essenza, facendone emergere la maggiore o minore nobiltà d'animo (nel fumetto, oggettivamente, legata al sangue più o meno blu).Sanson è costretto a decapitare lo stesso re. La ghigliottina stessa viene spostata, la decapitazione avviene in modo imperfetto. La sua rottura coi rivoluzionari diviene totale. 



Not this Maria Antonietta.


Decapita anche Maria Antonietta, mostrata (con maggior realismo storico) come una donnetta vecchia e stanca, e non come una sensuale regina di ingenua dissolutezza, quale appare nel succitato "Le Rose di Versailles" e in generale nell'immaginario collettivo. Lei non può essere la vera Regina, un ruolo destinato alla sola Vedova Nera. Danton stesso, ormai caduto in disgrazia, ubriaco avverte il Boia della sua ormai prossima decapitazione. Sanson, disperato della sua decadenza, si abbandona nelle braccia della Vedova, che lo consola.

A questo punto, a p. 98, dove comunemente finirebbe un albo bonelliano, vediamo una scena che esce dal punto di vista finora mai lasciato di Sanson, mostrandoci la Vedova Nera catturata da Saint Just. Egli e Robespierre si piccano infatti di vincere il Boia, facendogli uccidere la Vedova Nera. In verità, ciò significa la loro sconfitta: ghigliottinandola, egli si unisce definitivamente a lei (aleggia lo spirito di Sade, in fondo, sulla rivoluzione e sulla storia bonelliana) e, mostrandone la testa, saluta Robespierre come nuovo re di Parigi. La calunnia è un venticello, e questo proclama da parte del Boia (unita alla pulce nell'orecchio che mette a Legrand, il messo del tribunale già visto all'inizio, anche lui sopravvissuto come tecnico), porta gradatamente a sgretolare il Terrore, e anche Robespierre cade sotto la lama di Sanson.

La storia si chiude con Sanson che ammicca "in camera" al lettore, dichiarando "Non posso certo aver cambiato la storia" mentre appare "Fine" scritto in caratteri da cartoon Disney anni '50. La stucchevole dichiarazione è da considerarsi fatta propria dalla Barbato stessa, a sottolineare la natura volutamente deformante dell'opera. 

La storia, infatti, è stata consapevolmente cambiata, una riscrittura sfrontata e quasi provocatoria. Solo il punto di vista di Sanson? La Barbato, a pagina 98, pare dirci di no.



La testa di Luigi connesso al simbolo massonico / rivoluzionario del Pendolo (in basso)


Come appassionato di esoterismo, non posso mancare di accennare al fatto che il fulcro del rovesciamento pare connesso ad un elemento ermetico. Sanson, ghigliottinatore dei reali di Francia, è sospettato di essere un membro della tradizione iniziatica templare, e di aver compiuto la vendetta del rogo del 1314 con la distruzione della stirpe dei Capetingi, dichiarando dopo l'uccisione del re "Jacques de Molay, sei stato vendicato!". Qui appare esattamente l'opposto: egli vendica il principio regale proprio ritorcendolo contro Robespierre con un classico "bacio di Giuda". 

Del resto, è del tutto taciuta l'appartenenza dei rivoluzionari alla massoneria, mentre Sanson è fedele ad una donna incappucciata di nero, la Vedova. Forse un riferimento al fatto che è lui, e non altri, il vero "figlio della Vedova", termine che richiama gli iniziati massoni.

Ad ogni modo, letture ermetiche a parte, un albo interessante proprio per la sua natura controversa. Indubbiamente un'opera da acquistare e collezionare. In attesa della prossima "Storia".