L'Enigma del Pendolo
Lorenzo Barberis, "Gli adoratori del Pendolo" (Parigi, 2009)
Mentre si avvicina la fine di questo terzo anno del blog, dopo 2010, 2011 e l'apocalittico 2012,
questo post è in qualche modo celebrativo.
Perché dedicato ad un'interessantissima conferenza sul Pendolo di Foucault a Mondovì.
Non il pendolo letterario: proprio il dispositivo da cui il romanzo di Eco prende il nome.
A presentare "Il Pendolo e altri enigmi" (questo il titolo dell'intervento) il professor Silvano Gregoli,
fisico e scrittore di origine monregalese, autore di un bel romanzo di fantascienza, "Xeno", di cui ho parlato.
Il Pendolo nasce dunque nel 1851 per dimostrare la rotazione terrestre: appeso al Conservatoire d'Art e Metiers e al Pantheon di Parigi, lungo 67 metri (mi piacerebbe scrivere 66,6...) durante la sua oscillazione ruota su sé stesso, dimostrando così che la terra ruota, mentre egli resta immobile. Tutto semplice, all'apparenza: ma il problema è, ovviamente, immobile rispetto a che cosa. Isocrono, forse, alle più lontane galassie dell'universo, come dice anche Eco - tra le righe - nell'incipit della sua opera. "Quel demonio di Eco" ha capito tutto: ma in definitiva "We don't know": non sappiamo nulla. L'universo noto è il dieci per cento, il resto è materia ed energia oscura, su cui la nostra ignoranza, a quanto pare, è totale, e la fisica si sta evolvendo sempre più in una disciplina esoterica ed intricata, tra teoria delle stringhe e universi paralleli, nel disperato tentativo di trovare una spiegazione a un cosmo sempre più indecifrabile.
Questo è, in sintesi, quanto ho capito sotto il profilo scientifico, dal mio punto di vista di prof di lettere appassionato di Science Fiction. Poi, forse, per me sono più affascinanti le note a margine, le riflessioni sul fascino del Pendolo come oggetto letterario, che Gregoli abbozza con una serie di illuminanti riferimenti, oltre che a Poe e ad Eco, alla Colonia Penale di Kafka: un racconto affascinante, che non conoscevo, pubblicato nel 1919 e descrivente un pendolo che diviene strumento di punizione in una colonia penale di un lontano paese extraeuropeo. Il condannato è sottoposto al pendolo, che con aghi sottili scrive sulla sua pelle la sua stessa condanna, incidendola tanto in profondità quanto più la colpa è grave. Fino a sei ore il condannato può ancora sopravvivere, dopo è condannato, e dopo dodici muore sotto il pendolo stesso.
Una citazione di Poe, ovviamente, che col suo Pendolo del 1842 aveva voluto stigmatizzare - da buon razionalista di area protestante - gli orrori dell'Inquisizione cattolica nella Spagna del 1808. Il Pendolo di Poe è, pur raffinato, ancora una barbara tortura medioevale (e infatti il protagonista, eroe della ragione, riesce a rivoltare contro il Pendolo i suoi errori costruttivi e fuggire): quello di Kafka, ben più inquietante, ha dalla sua una meticolosa e scientifica meticolosità totalitaria. In mezzo, inutile dire, insieme ad altre cose è passato, nel 1851, il Pendolo di Foucault.
In Eco invece il Pendolo di Foucault viene ridotto a uno strumento di morte rozzo come il pendolo di Poe, usato nel finale per una macabra impiccagione: ma solo perché gli "esoterici", istupiditi dal loro volontario ritorno a un pensiero pre-scientifico, non sanno capirne il vero significato, e credono che sia semplicemente appunto un marchingegno medioevale, da far parlare disponendovi sotto qualche mappa segreta. E per questa ragione falliranno tutti, rovinosamente.
Forse Gregoli ha ragione anche nella sua analisi del Pendolo letterario: tutto si esaurisce nelle prime due pagine (del resto, come struttura narrativa, tutto il Pendolo è un lungo flashback di Casaubon, e quindi è davvero contenuto per intero in quel primo giorno, che ritorna oltretutto nel finale).
O forse addirittura tutto è chiarito nella citazione iniziale, in esergo al romanzo:
"La superstizione porta sfortuna".