Dylan Dog 150 - Il bacio della vipera







LORENZO BARBERIS.



Spoiler Alert As Usual.



Il numero 150 è finora l'unica cifra tonda (semi-tonda, diciamo) di Dylan Dog a non essere stata festeggiata. 100, 200, 250 e 300 sono a colori; il 50 aveva avuto un po' di pagine in più. E poi erano albi speciali, affidati a qualche autore importante (Sclavi, Barbato, o Stano ai disegni) e con novità essenziali sulla storia del personaggio.



Il 150 non ha nulla di tutto ciò. Vero è che poco prima vi era stato il numero 121, celebrativo del decennale, ma probabilmente incise soprattutto il momento ancora di ottima salute del personaggio, che necessitava di pochi rilanci (nonostante tra 240-41, storia oltretutto doppia, e il 250 passassero solo 9 numeri invece di 30, non si esitò a festeggiare in all colors entrambe le ricorrenze).



Perfino la copertina di Stano è piuttosto stanca, poco seducente la donna-vipera nell'interpretazione, a differenza di quanto farà Freghieri agli interni, e lo sfondo è risolto in modo molto sbrigativo, con una bella campitura blu uniforme.



Però la storia è abbastanza buona. Ruju è agli inizi della sua carriera dylaniata, ma ormai alla storia numero otto. Ruju, avendo a disposizione Freghieri, il cui maggior pregio è l'abilità nel tratteggiare seducenti personaggi femminili, lo usa al meglio in una storia incentrata su una donna-vipera seduttrice che si esibisce in uno strip-tease al Kalì, costretta poi dal protettore ad andare con alcuni devoti ammiratori malmenandola e minacciando i suoi adorati serpenti.



La danza della Vyper ricorda da vicino l'esibizione di Maria-Robot in Metropolis, avvolta nelle spire delle sette teste serpentine del drago infernale, cosa che la identificava con la donna scarlatta di apocalittica memoria.



A Dylan rivela che la prima vittima (d'indagare l'ha incaricato il padre) aveva "cercato di violentarla" (non siamo ancora a livelli censori successivi, ma comunque sembra non si possa già più accennare a una violenza riuscita...).



La sequenza onirica (altro ambito in cui Freghieri eccelle) rafforza in Dylan e nel lettore i sospetti che la donna-serpente sia tale in senso sovrannaturale.



L'antico compagno di sbronze di Dylan, provvidenzialmente reincontrato nel locale, è ugualmente ossessionato dalla Vypera (con cui ha avuto un figlio), e gli racconta una leggenda in cui la pericolosa femme fatale era stata schiavizzato da uno sceicco alla Mille e una notte.









Tra le poche citazioni visuali (né Ruju né Freghieri si sbilanciano mai troppo su questo versante) la statuetta a casa del mafioso protettore della fanciulla, ispirata vagamente alla Lilith di Collier, nel tardo Ottocento decadente (poteva essere un bel modello per la cover), a p. 72. Poi non manca un arabesco a serpentina nello studio dylaniato a p. 74, e un riflesso nell'iride della fanciulla che le dà sembianza rettilica (p.76). Insomma, Freghieri lavora bene sul subliminale serpentiforme, fin troppo per non farcelo apparire un depistaggio, comunque gustoso. E a p. 75 la scena dell'interrogatorio della povera amica della vipera è ancora poco edulcorato, in pieno stile da hard boiled, di quelli amati dallo sceneggiatore (non si manca nemmeno, in una colluttazione, di distruggere il Galeone: un classico di Dylan che Ruju, con le sue scene alla Chandler, inserisce spesso e senza troppa difficoltà).



Nel finale - con regolamento a sparatoria "da duri", perfettamente orchestrato da Ruju - si intuisce che il Serpente è l'innamorato geloso: non però per natura sovrannaturale, ma solo simulata alla Scooby Doo. Lo stesso Dylan non è convinto, e infatti nel finale, con effetto sorpresa, il sovrannaturale appare nella penultima vignetta, ottimamente gestita da Freghieri.



Una storia che poteva anche svilupparsi in pura chiave giallistico-noir, se non per una singola immagine. Ma se vogliamo, può esser quasi visto come un esercizio di bravura di Ruju, che si conferma bravo nelle atmosfere da bassifondi urbani. Una mala che, nei tratti vagamente demodé (ma, quando è al meglio, proprio per ciò affascinanti) di Freghieri riesce a regalare il senso di uno Scerbanenco blandamente horrorifico.



Insomma, una buona storia media, sul declinare dell'età dell'oro, ma non abbastanza da farsi celebrazione. In qualche modo, però, l'albo è proprio per questo indicativo del periodo, in cui un "cinquantennale" di Dylan non sembrava da festeggiare. Non manca molto al 350, in fondo: vedremo cosa farà la nuova era dell'hype recchioniano. Ma credo che un celebrativo in questo caso sia scontato. Magari con tanto di variant cover.