Intervista a Cinzia Ghigliano



Cinzia Ghigliano, "Leggere Hugo Pratt"

Come annunciato nei post precedenti, si è avviata la mia collaborazione con un'interessante neonata pubblicazione online, il "Margutte", che ho contribuito con altri a fondare. Tra i miei primi interventi, quest'intervista con un'artista di cui ho una stima profondissima, la fumettista (e pittrice, e illustratrice) Cinzia Ghigliano, sulla sua ultima, magnifica mostra monregalese di cui ho scritto anche qui sul blog. Sul Margutte l'intervista si può trovare qui, corredata anche di una nota biografica dell'autrice.

Tra le molte parole preziose che Cinzia Ghigliano ha accettato di spendere per noi, una frase è stata per me particolarmente illuminante nel correggere in parte la mia lettura dell'opera, che avevo più collocato, secondo la mia formazione, nel segno del postmoderno nel senso, a puro titolo d'esempio, dell'Eco del "Nome della Rosa": una struttura leggibile a un primo livello, intrisa sottotesto di una ramificazione più complessa di rimandi e significati. La Ghigliano non rovescia del tutto questa prospettiva, ma oppone che "la riflessione di questa mostra è più nel senso di un superamento del postmoderno", con una volontà di coniugare maggiormente il portato del movimento post-mod con la tradizione. Una chiave di lettura che ho voluto qui sottolineare al lettore, invitandolo a tenerla presente nello scorrere il prezioso intervento. Ecco quindi l'intervista:

1) “Leggere, infinito presente”. Un segno pittorico nel solco della tradizione, o una mostra postmoderna con la sua riflessione sulla figura del Lettore (Lettrice) Ideale, che sembra richiamare gli studi di Eco?

Decisamente i saggi di Umberto Eco sono stati sempre nella mia crescita: un passaggio obbligato e una linea guida per il mio comportamento artistico. Nei confronti della mia pittura in generale io cerco di non farmi condizionare da nessun tipo di messaggio: ho sempre dubitato che qualcuno possa darti delle strade prefissate da percorrere, in ambito artistico. Un rischio presente nell’arte, specie contemporanea, è quello di farsi influenzare eccessivamente dalla moda del tempo: un rischio presente anche nel postmoderno. Quindi forse la riflessione di questa mostra è più nel senso di un superamento del postmoderno: seguire di più, anche nell’arte, quello che è il comportamento del giusto, del pulito, quello che poi sono i dettami in realtà dello slow food. Per me la pittura è qualcosa di molto personale, un mio modo di sentire, di voler comunicare con gli altri. Il mio modo non è con le parole, non è con lo scritto, è con questi segni che faccio: e li faccio in un modo tradizionale. Il fatto stesso che utilizzi la figura porta immediatamente al pensiero della tradizione, però quello che c’è sotto è sempre il voler interpretare e raccontare qualche cosa in più, che a volte non so se riesco a rendere così chiaro agli altri. Qui era proprio il gesto, la posizione come interpretazione delle parole di un autore.

2) L’elemento centrale dell’esposizione appaiono, comunque, i grandi ritratti delle Lettrici Ideali, affascinanti ed enigmatiche. Quali criteri ha seguito nel creare una corrispondenza tra le figure delle lettrici rappresentate e le opere presenti?

Intanto, si tratta di vedere come usa la lingua l’autore, qual è il suo modo di rappresentare una data situazione, capire il processo che compie l’autore quando racconta, quali colori sono nella sua testa, quali atteggiamenti cita: ma più di questo è capire quale sensazione mi rilancia. Spesso leggo e questo mi dà la sensazione di un dato colore: magari l’autore non lo descrive, ma mi viene di pensarlo.

Poi, alcuni autori lavorano più sulla parola, altri più sulle trame. Alcuni esempi sugli autori presenti in questa mostra: per me Magda Szabò è asciutta, precisa ma al contempo avvolgente. Per questo la mia lettrice ha questo trasporto nei confronti del libro: perché quando leggi Magda Szabò hai voglia di capire cosa ti andrà a raccontare. E al contempo te lo racconta con una freddezza, quasi rigidità, da donna ungherese. E allora la mia donna è vestita di nero, ha questi rossi forti per contrasto. Poi, la cosa di base è la posizione della lettrice: forse è la posizione che assumo io quando leggo loro, il segno del tipo di partecipazione all’opera. Per esempio la lettrice di McEwan è più sostenuta, quasi androgina, ma al tempo stesso rilassata, riflessa nello specchio, perché ci sono questi rimandi continui che lui fa alle situazioni passate.

Invece la Chevalier per me è scrittrice di trame: non c’è tanto questo elemento della postura, il quadro è più descrittivo, è il più descrittivo di tutti. L’elemento del bottone che ho cucito sulla tela, nella parte delle stoffe, sta a indicare questo: lei stessa si definisce “un’artigiana”, e mi sembrava che mettere un bottone lì avesse il senso di rimarcare questa dimensione artigianale della scrittura.

3) La riflessione artistica sulle Lettrici Ideali non può non far pensare al suo lavoro di illustratrice. L’illustratore è certo un tipo particolare di Lettore Ideale. Lei come si è posta nei confronti dei testi che è venuta, nella sua carriera, illustrare?

L’osservazione è giustissima, infatti questa mostra ha sempre come complemento del quadro delle illustrazioni piccole, che sono il legame con il mio mestiere. Le donne stanno leggendo, tu hai il libro, puoi leggere il libro e vederne le illustrazioni. Ogni volta che ricevo un libro io cerco di fare questo tipo di lavoro: non interpreto, in questo caso, la lettura, ma interpreto la scrittura, e lo faccio con un segno. Come si vede nella mostra a Piazza, ci sono molti stili diversi, perché è portato dalla diversità delle scritture. Quando insegno, spiego sempre ai miei allievi che in certi casi serve un segno di contorno, perché magari il testo ha uno stile fumettistico (parliamo di libri per bambini e adolescenti); molti autori francesi, spesso, per le cose che raccontano, e il modo, hanno bisogno di un segno grafico. Altri sono più leggeri. Io ho fatto per la serie degli Ex Libris molte illustrazioni legate ad autori inglesi, o del nord Europa: lì secondo me si richiede un segno fresco, leggero, un segno colorato. Poi c’è chi richiede il bianco e nero… a volte chiaramente l’editore ti chiede un certo segno, c’è una ragione professionale, altre volte invece c’è una scelta personale.

4) Come fumettista, lei è anche Autrice (e qui Hugo Pratt e Altan figurano tra gli autori delle Lettrici Ideali, giustamente). Come immagina il suo Lettore/Lettrice Ideale? Che rapporto ha con lui?

Io nel fumetto sono autrice, ma raramente come autrice completa, mi occupo del disegno. Nel fumetto comunque il disegnatore è decisamente autore. Ad esempio, con Marco (Tomatis, ndr) c’è un rapporto molto stretto, lui scrive la storia, poi la si discute, e poi viene disegnata. E anche con gli altri disegnatori, rispetto alla figura del disegnatore classico, io non ho mai avuto una sceneggiatura “passo-passo”, è sempre stato un lavoro di discussione: l’autore decide il testo, ma l’impostazione grafica è quasi sempre stata un lavoro di collaborazione. Negli ultimi anni ho smesso di disegnare fumetti, ma il rapporto coi lettori spesso è stato sorprendente, specie quando andavo in Francia: là eravamo molto amati dai nostri lettori, anche perché lì la considerazione del fumetto è di altro tipo. Anche i grandi incontri coi lettori li abbiamo fatti là: in Italia c’erano le riviste, ma non c’era la tradizione dell’incontro, dei saloni. E anche quando poi è nato si è orientato in modo diverso, i miei allievi vanno, adesso, a disegnare in questi saloni italiani, ma non c’è un vero incontro col lettore. Ciò che mi è piaciuto tanto nella mia vita è che varie grandi disegnatrici di fumetti mi hanno detto di aver cominciato ad avvicinarsi al fumetto leggendo le mie cose, perché sono stata una delle prime donne a fare fumetto, prima il fumetto in Italia era visto come una cosa maschile. Loro hanno visto in me che una donna poteva fare fumetto, tre o quattro di loro hanno iniziato così: mi ha gratificato molto questa cosa. Oggi però il fumetto preferisco non farlo più, non ho più trasporto verso quel tipo di narrazione, preferisco quando posso dedicarmi alla pittura. Noi, io e Marco, abbiamo smesso nel momento in cui sono chiuse le grandi riviste, quando è finita l’esperienza di quel “fumetto d’autore”, quando “A Suivre” in Francia ha chiuso. C’è anche un problema economico, io impiegavo un anno per realizzare un fumetto, l’ultima storia ha impiegato cinque anni per trovare pubblicazione. Rientrando nell’illustrazione ho avuto un grosso vantaggio: sono stata molto apprezzata dagli editori perché chi viene dal fumetto ha un segno dinamico, sa disegnare il movimento, le espressioni, un training incredibile che ritorna in pieno passando all’illustrazione.

5) L’evoluzione digitale sta trasformando l’editoria e la produzione culturale. Come crede si rapporterà l’illustrazione? La pittura? E il fumetto?

Ai ragazzi cui insegno, all’Accademia Pictor e nello IED, dico sempre che l’informatica per loro è fondamentale: per loro è essenziale essere in grado di utilizzare il digitale, perché gli editori chiedono questo. Anche per un motivo meramente economico: gli editori di fumetto chiedono la coloritura al computer poiché questa abbatte i tempi, e quindi i costi in maniera esponenziale. Io per una tavola di “Solange” impiegavo quattro, cinque giorni: quando fai una tavola con il computer i tempi sono molto più veloci. Certo, anche gli effetti sono diversi: possono essere anche gradevoli, certo è una cosa assolutamente diversa. Si possono ottenere risultati straordinari: ci sono alcuni grandi illustratori, tipo Paolo D’Altan, o Gianni De Conno, che fanno delle opere che nessuno direbbe che sono state fatte in digitale. Ma questo perché, con l’esperienza da disegnatori precedente, usano lo strumento esattamente come se fosse il pennello. Altro discorso è una coloritura piatta che viene usata sovente. Ma la commistione tra il disegno a mano e l’uso del computer può dare risultati straordinari. Ci sono delle cose splendide che escono, c’è una truppa di giovani illustratori che sta crescendo con grandissime capacità, anche perché si sono moltiplicate le scuole. Ad esempio, l’uso dei blog è indispensabile per i giovani illustratori, per farsi conoscere e per imparare, ci sono blog come “le figure dei libri”, che è un sito meraviglioso, dove illustratori si prestano a far vedere ai ragazzi come si ottengono tecniche particolari, una possibilità enorme di apprendimento. Io personalmente ho avuto una esperienza sola per il web, un fumetto per “Brava Italia”, un portale sull’emigrazione italiana nel Novecento. Purtroppo è fallita l’iniziativa, ha chiuso il portale, ed è rimasta una mole notevole di belle immagini che avevo realizzato che sono rimaste inutilizzate, perché erano pensate per il formato del sito, una schermata per ogni vignetta. Non poteva essere utilizzato altrimenti, non sono tavole a fumetti, e quindi resteranno sospese, non saranno più utilizzate: ne è venuta una mostra, in Sicilia, ne è stato tratto anche un catalogo legato alla mostra, ma in un’edizione ovviamente molto limitata.

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Ringrazio infinitamente Cinzia Ghigliano per la disponibilità dimostrata, sperando in una prossima occasione di tornare ad ammirare la sua arte.