La Tentazione Di Sant'Agostino






Opera di Roberto Bacchiarello.
Fotografie di Lorenzo Barberis













Copia del santino originale.




L'amico ottico Roberto Bacchiarello non è solo un artista estremamente interessante, ma ha anche un particolare occhio per i dettagli curiosi che si celano a bizzeffe nella città di Mondovì. Il suo interesse per l'esoterico è meno esclusivo del mio, ma questa volta una sua opera è la chiave per un ennesimo, intrigante mistero.





Tutto parte dalla foto di qui sopra, in formato cartolina, che raffigura - quasi un santino - un crocifisso che si intuisce subito pregevole. Difficile datare la foto, non ci sono indicazioni, ma il bel contrasto chiaroscurale fa supporre un'origine abbastanza antica, direi primo-novecentesca.





Un'immagine affascinante, che l'artista si è limitato a incorniciare in un'onirica fantasia floreale, lievemente lisergica, da Alice In Wonderland e ad esporlo nella sua vetrina. Il fascino è dimostrato dal fatto che, mentre documentavo l'oggetto per il presente articolo, un turista con reflex (semi?)professionale si è fermato immediatamente a riprenderlo anche lui, curiosità gustosa nella sua visita alla città.





L'immagine devozionale originale è però ancor più interessante di quel che sembri. Ella infatti, mi racconta Bacchiarello, si accompagnava in origine a una scritta che, in latino, ammoniva il devoto osservatore: "Tu corde, iudaei autem manu", con un profluvio di punti di sospensione che manco i diari delle ragazzine, ma che qui assumono un'aria decisamente minacciosa. "Tu col cuore, i giudei con l'opera", traduce la scritta sottostante, precisando che si tratta di un crocifisso venerato a Mondovì, in Pian della Valle. La traduzione è libera: più fedele ancora sarebbe "tu col cuore, ma i giudei di propria mano...".





Ovvero: gli ebrei, dice il crocifisso, mi hanno crocifisso fisicamente; voi, col peccato, lo fate quotidianamente in modo simbolico. Una ammonizione severa, decisamente preconciliare, venata del tipico antigiudaismo cattolico rinvigoritosi sotto il massonico stato unitario.



Notiamo che l'ordine temporale è invertito: se in ordine cronologico si ricordebbe un fatto storico dato per incontrovertibile ("gli ebrei hanno ucciso Cristo"), al di là delle interpretazioni, per poi richiamare il fedele a qualcosa cui egli non pensa ("ma anche tu lo crocifiggi, con la malvagità del tuo cuore"), qui l'ordine è "Tu crocifiggi Cristo col cuore, ma i giudei lo hanno fatto di propria mano..." con un rimando ancor più antigiudaico.




La citazione è attribuita a Sant'Agostino, che a Breo ha una sua chiesa in Piandellavalle; e in effetti il santo è autore di un "Trattato contro i giudei" intriso di fervoroso livore. Il fatto che la citazione a stampa sia in italiano, e quella in latino scritta a mano (due mani diverse: una per la scritta, una per il nome del santo) fa pensare che qualche devoto sospettoso abbia cercato la citazione originale - e all'epoca non avevano Google Search. Però ottenevano risultati migliori, perché tramite Google la citazione non si rinviene: anche questa, dunque, è più probabilmente una sintesi creativa che non parte del testo originale.




Il doppio rimprovero, agli ebrei e ai falsi cristiani, è sottolineato dai due indici ammonitori del Cristo crocifisso. E qui si pone un primo interessante mistero.















L'opera, infatti, è il bel crocifisso di Stefano Maria Clemente (1719 - 1795), scultore ligneo nato e morto a Torino e capostipite di una fiorente scuola regionale. L'opera è conservata nella vicina chiesa di Sant'Agostino a Mondovì Breo.





Allievo di Simone Martinez, figlio d'arte del padre Piero e nipote per parte di madre dello Juvarra, Stefano Maria Clemente sarà attivo dalla metà del secolo (1756) fino alla morte, con una vasta produzione attestata a Torino e, in misura minore, nel resto della regione. Rimando a Wikipedia o meglio alla Treccani online per ulteriori approfondimenti; noto solo, a margine, che l'opera di Mondovì non mi pare attestata online. Forse è solo di scuola del Maestro, nonostante la fattura sia comunque molto valida.





Quel che qui interessa è però che l'opera risulta parzialmente modificata. Il dito ammonitore del braccio destro è stato sostituito con due dita aperte a V, benedicenti, mentre quello a sinistra si è mutato in due dita unite, anch'esse segno, ancor più usuale, di benedizione. Bacchiarello ha elaborato, come si vede, un serto di foglie che cela o disvela, a volere, il dettaglio incriminato. 





Perché la modifica? Quando è intervenuta? Si tratta di un puro intervento di restauro, dopo una rottura accidentale di un dettaglio delicato (difficile, però, una doppia rottura...), oppure ha un valore sottilmente censorio? Nella figurazione della Crux Brachialis, ad esempio (una delle sue poche attestazioni è proprio a Mondovì, nella cappella di Santa Croce, a Mondovì Piazza) il Cristo premia con la destra la chiesa, incoronandola, e punisce con la sinistra la sinagoga, decapitandola con una spada. 





Un rimando al passo evangelico per cui i buoni siederanno alla destra, nel giudizio, e i malvagi a sinistra. Qui tuttavia non ci sarebbe salvezza alcuna, nel doppio indice ammonitore. Invece ora, quasi già conciliarmente, pare benedire entrambi. Se anche la rottura e il restauro sbagliato fossero stati accidentali, la correzione sarebbe molto rivelatrice sotto un profilo freudiano.





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Sentito Bacchiarello, mi sono subito recato nella vicina chiesa di Sant'Agostino, l'attuale parrocchiale di Pian Della Valle; per esaminare de visu il celebre crocifisso, e dare un'occhiata più accorta al contesto in cui era collocato, per ricavarne eventuali ulteriori indicazioni. Ne è emersa un'indagine interessante, anche se non risolutiva.



La chiesa, schiacciata com'è tra due palazzi nobiliari, non è di particolare impatto, e la sua facciata sembra a un primo sguardo quella di un edificio qualsiasi.





La sua edificazione risale al 1548: gli Agostiniani erano giunti in città da Genova nel 1474, stanziandosi sul colle di Piazza: ma ora i Savoia andavano fortificando la città, sfrattando perfino la cattedrale, e il vescovo affida dunque agli eredi spirituali del santo neoplatonico una vecchia, cadente cappella: la chiesa dedicata al locale Sant'Arnulfo, il vescovo-conte di Asti martirizzato in loco dai Mori nel 903, preesistente alla città stessa. Qui, nel 1592, gli Agostiniano completeranno la chiesa del loro ordine.





Secondo alcuni, dietro all'omicidio del santo vescovo Arnulfo da parte di mercenari saraceni si celava lo scarso apprezzamento per il vescovo anche da parte dei suoi sudditi della zona, prima ancora della fondazione ufficiale di Mondovì che col vescovo d'Asti avvierà guerre sanguinarie, fino all'indipendenza nel 1388.





Il fatto dunque che la chiesa fosse cadente giustifica la totale demolizione da parte degli Agostiniani e la costruzione di una nuova struttura; ma potrebbe legarsi a un disagio perlomeno verso un vescovo-martire della rivale Asti, da cui il comune si era emancipato a colpi di guerre e scomuniche vescovili.











Il portale principale presenta un bello stemma, ricciuto e barocco, inspiegabilmente muto (come lo stemma del vicino palazzo nobiliare, tra l'altro, di recente restaurato). Per quanto forse scialbato irrimediabilmente con la dominazione napoleonica, che ridusse la chiesa a locale laico nel 1803, con la restaurazione avrebbe forse dovuto ritornare: ripristinata come edificio di culto privato, la chiesa fu infatti officiata fino al 1915.














Più interessanti i portali laterali, che presentano il decoro solare del monogramma gesuita, recuperato, in forma stilizzata, anche dai decori della porta e da molti elementi all'interno. Un adesione al modello gesuita derivante dalla forza dell'ordine in città, dove giunge fin dal 1560 con l'università monregalese. 





Chissà quanto incise il fatto che il più celebre degli Agostiniani sia quel Martin Lutero che nel 1517, vicario generale dell'ordine in Germania, aveva avviato lo scisma protestante. Lutero scomparve nel 1546, appena due anni prima dell'avvio dell'opera dei suoi vecchi confratelli italiani di Mondovì. Una ostentata adesione alla controriforma gesuita era quindi forse un bel gesto da parte dell'ordine.


















Per paradosso, la chiesa è più appariscente sulla sua parte posteriore, che si affaccia sul centrale Corso Statuto, con un campanile a piramide aguzza, sormontato da una croce celtica: si direbbe un inserto goticizzante di stampo ottocentesco, cui si aggiunge la Madonna del Carmelo di Gioacchino Sciolli,  con basamento vistosamente firmato, recuperata da Santa Maria Maggiore e risalente alla fine dell'800.















La struttura, benché semplice, è rinascimentale: e se all'esterno appare a tratti dimesso, almeno rispetto alle aspettative, l'interno ha una sua contenuta, maestosa fermezza nelle tre eleganti navate.















I decori invece sono barocchi, tra '600 e '700 (periodo in cui si data anche il crocifisso in questione). Alternati ai soliti puttini, reggono i serti decorativi in stucchi dorati dei volti barbuti, da bafometto templare.































Nella chiesa, come in ogni edificio sacro importante di Mondovì, non possono mancare sculture di Antonio Roasio, lo scultore ufficiale della diocesi ottocentesca. Qui ce ne sono due: un maestoso angelo custode, che sorveglia appunto la porta d'ingresso, e la Madonna del Carmine nella cappella sinistra, al culmine di una piramide formata da un monaco e una monaca carmelitana, i due rami dell'ordine a lei devoto.



















La cappella simmetrica, consacrata al Cristo, lo presenta in una versione insolitamente apollinea nell'aureola chiaramente solare. rimarcata dal decoro a rilievo della volta.





















La figura sacra è presente altre due volte, nei due crocifissi sulle pareti delle due navate, simmetriche. Oltre a quello che ci interessa, qui presentato in un dettagliato primo piano, ve ne è anche un altro decisamente più scolastico, che getta però una curiosa ombra a forma di macchia di Rorschach. Anche il cartiglio del nostro crocifisso è differente, una sola banda orizzontale invece della scritta riquadrata della foto (nell'immagine fotografica postata all'inizio, si vedono solo le ultime due lettere della sigla, R.I. - quasi ad accusare la repubblica italiana...). 





L'ipotesi più normale è che i due crocifissi appartenessero alle due chiese unificate nel 1945: il nostro a Sant'Agostino, data la citazione, e l'altro a Santa Maria Maggiore. Il cambio di cartiglio pare dovuto a una uniformazione, dato che ora i due crocifissi appaiono identici. Il cambio delle mani, invece, non ha spiegazioni plausibili, dato che l'altro si limita a mostrare le mani aperte e un Cristo decisamente più triumphans, che guarda ad occhi aperti il fedele, invece di reclinare ad occhi chiusi come quello del nostro crocifisso, più patiens.





























La Vergine è invece presente anche in quattro pregevoli affreschi, con tratti moderni (i panneggi di Maria, il corpo del Deposto), che adornano le due cappelle laterali, sia quella mariana che quella del Cristo. Annunciazione e Ascensione nella prima, Natività e Deposizione nella seconda, secondo una sapiente coerenza tematica; il tema solare ritorna nelle posizioni del sole, in quattro momenti differenti nelle quattro scene: notte - Annunciazione (Cristo ancora assente), alba - Natività, tramonto - Deposizione, mezzogiorno - Ascensione (visio dei: il sole è pienamente splendente). 





Un'ipotesi, che mostra come tutto si complichi: potrebbero essere successivi al 1945? In tale data, infatti, Sant'Agostino diveniva la parrocchiale di Pian della Valle dopo la distruzione di Santa Maria Maggiore nei bombardamenti della seconda guerra mondiale, ed è attestata una trasposizione delle residue opere sacre (la Madonna del Carmine di Gioacchino Sciolli, sulla controfacciata, deriva da qui, come penso anche quella del Roasio all'interno) e un riadattamento complessivo. Allora la sottolineatura del ruolo mariano potrebbe avere questo senso compensativo, dopo la sparizione dell'unica chiesa mariana importante in una città che alla Vergine (quella del Santuario di Vico) pone una devozione specifica. Una scritta in basso a destra dell'ultima opera, tuttavia, semicancellata, pare riportare DCCVI, 1706. Cosa che farebbe propendere per la contemporaneità agli altri decori d'era barocca.




























La Vergine appare anche nella sua versione apocalittica, nell'atto di schiacciare la testa al Serpente, in questa statua dall'aureola elettrificata.

























La sua posizione è strategicamente vicina, in questo caso, a questa bell'acquasantiera in marmo che domina anch'essa il serpente. Ne avevo già parlato su questo blog, qui, in un post meno ampio, notando come la coda del serpente riproduca esattamente il simbolo alchemico dell'acqua (non so se significhi qualcosa, ma il triangolo verso il basso appare, in modo abbastanza gratuito, anche sui confessionali di San Francesco Xaverio, la chiesa gesuita, oggi a Santa Caterina a Villanova).




























Un simbolo che diviene così simmetrico, diabolicamente, al triangolo divino che splende al centro della cupola, nella gloria di Sant'Agostino. Una figurazione frequente nella controriforma, e declinata poi almeno in parte nell'Ottocento per l'appropriazione massonica del simbolo, segno di un divino razionale, geometrico, illuminato e illuminista, cui l'ottocento clericale opporrà una religiosità più romantica e a tratti sentimentale. Qui la figurazione è portata, certamente, dal platonismo teologico di Sant'Agostino e dal tema solare che predomina nella chiesa. Una datazione precisa degli affreschi sarebbe interessante per tale questione; a occhio direi più '800 che barocco, ma è spesso difficile dire. Il triangolo divino ritorna poi nella cappella laterale dedicata a Maria, mentre il sole raggiato che sovrasta Cristo, come si vede nella foto sopra, presenta invece la M mariana, in un intreccio di simboli ricco di pregnanza, anche in una chiesa tutto sommato essenziale.


















Anche l'altare fa pensare, ancor più nettamente, all'intervento postbellico ad opera di don Carlo Rulfi, sacerdote e architetto responsabile di numerosi pregiati interventi d'arte sacra a Mondovì, in cui si legge sempre un gusto razionalista che si combina con lo spirito delle origini, nei simboli precristiani e in certi modi bizantini, qui evocati dalla semplicità delle forme unita all'uso dell'azzurro e dell'oro. La chiesa riprenderà ad essere officiata nel 1956, a due soli anni ormai dal Concilio Vaticano II che avrebbe cambiato, tra il resto, anche l'arte sacra - e proprio nel segno del razionalismo già assunto dal Rulfi.






















Sicuramente moderni, invece, direi i due quadri sulle pareti, di cui almeno il primo dei due, l'Ecce Homo, direi della mano di Marcellino Massari, pregevole pittore contemporaneo in stile caravaggesco della città. Anche il dipinto più interessante, indubbiamente, con un Sant'Agostino in abiti rinascimentali al posto del Pilato convenzionale.










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Questo è insomma quanto emerso da una prima indagine, che ha evidenziato vari aspetti curiosi pur senza risolvere nulla, sulla questione di partenza, in modo definitivo. Forse l'unico elemento che mi è apparso più evidente dopo questa ricognizione è l'elemento fortemente solare, legato al "sole gesuita", della chiesa ormai ai primi della controriforma (se ne consideriamo l'avvio con l'inizio del concilio tridentino, nel 1545, tre anni prima dell'avvio dell'edificio sacro).





Naturalmente ciò è in ampia parte una stratificazione successiva, date le varie fasi della chiesa stessa. Struttura architettonica di metà '500, decoro tardo-barocco, sconsacrazione napoleonica, aggiunte controriformiste - il Roasio - e profondo restyling post-1945, in seguito all'unificazione con Santa Maria Maggiore, a cui forse deve l'accentuazione dell'aspetto mariano.











Inoltre, non dice molto di più sul crocifisso in questione, di cui ho appurato solo l'autore e la collocazione temporale al secondo Settecento. La foto è quasi sicuramente pre-1945, dallo stile, il restauro possiamo identificarlo al post-1945, probabilmente, nel contesto del rimaneggiamento per l'elevazione a parrocchiale (e bisogna vedere ove prima la statua era collocata: il doppio crocifisso fa pensare che almeno uno provenga da Santa Maria, ma impossibile dire quale).





La logicamente mutata sensibilità sulla questione ebraica può giustificare una censura intenzionale o inconscia? Non saprei, sono tutte congetture. Quando avrò nuove informazioni, sulla chiesa o sullo specifico argomento, aggiornerò il post.





Ormai, sono pienamente caduto in questa enigmatica tentazione che Sant'Agostino ci offre.





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Bibliografia consultata:


Lorenzo Bertone, Arte nel Monregalese, Editrice l'artistica Piemontese, Savigliano 2002,


voce su Sant'Agostino di Mondovì







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(Upload del 1 luglio 2013)




Ad un'occhiata più accurata al dettaglio, mi rendo conto che non solo è modificata la mano destra, vistosamente portata a due dita aperte, ma anche la mano sinistra, dove parimenti il singolo dito è stato sostituito da due dita allungate ma chiuse, come si nota ingrandendo la foto cliccandoci sopra. Non quindi un gesto benedicente e uno maledicente, dunque, ma due gesti di benedizione, sia pure uno chiuso, e uno aperto.





Perché questa differenza? Difficile dirlo, come sempre più difficile giustificare la modifica con una doppia rottura (pur se, in effetti, di un dettaglio fragile come il dito puntato). Un'idea suggestiva, se il restauro è post-1945, è l'inserto spurio della V for Victory di Churchill, inserita da qualche restauratore che ascoltava Radio Londra. Il gesto è più affine infatti al segno vittorioso inglese, creato nel 1941, che non al gesto benedicente a dita chiuse o comunque non divaricate, come nella mano sinistra.





Upload del 17 luglio 2013


Aggiunte nel testo la foto del santino originario, con al citazione latina - spuria - di Sant'Agostino, e ulteriori considerazioni nel corso di una revisione del testo.