Who Watches The Graffiti?


LORENZO BARBERIS.

Sto leggendo la tesi di una mia amica sul tema del graffitismo.
Il lavoro è interessante, perché propone una lettura semiotica del fenomeno.
Ma, in particolare, data la mia passione per il fumetto ho trovato avvincente il parallelo con i fumetti, a partire da McLuhan, per cui il fumetto, "forma artigianale" preesistente all'"età elettrica", assume con questa un ruolo preminente in quanto la televisione "trasformò i media caldi della fotografia, del cinema e della radio, in un mondo di fumetti". 

"Fumetti, cinema su carta" per Hugo Pratt e Fellini (definizione, ovviamente, fortemente contestata all'interno di chi, nel medium, rivendicava comunque una autonomia rispetto a una filiazione benché intesa come nobilitante). Più realisticamente, con McLuhan, "Fumetti, televisione di carta".

Il parallelo viene sottolineato tramite questa citazione, essenzialmente.

"Gli anziani della tribù, i quali non si erano mai accorti che un normale quotidiano era pazzesco quanto un’esposizione d’arte surrealista, non potevano certo capire che i fumetti erano esotici come le miniature del XVIII secolo. E non avendo capito niente della forma, non potevano neanche individuarne il contenuto. S’accorsero soltanto delle torture e della violenza; dopodiché, con ingenua logica da analfabeti, aspettarono che la violenza dilagasse nel mondo. O attribuirono ai fumetti la criminalità contemporanea. Il più rimbambito dei galeotti imparò a borbottare in toni lamentosi: “sono stati i fumetti che mi hanno ridotto in questo stato”."

McLuhan fa qui riferimento alle tesi avanzate dal famigerato Fredric Wertham, che nel 1954 parlò dei fumetti come "Seduction of the innocent" nel suo omonimo saggio. Una seduzione, ovviamente, alla violenza: cosa che portò alla stesura di un codice per i fumetti, parallelo al codice Hayes per il cinema, in vigore dagli anni '30.

La cosa mi ha spinto a delle riflessioni, certo non sistematiche, sul rimando a certi archetipi in comune tra le due forme espressive. 

Cronologicamente, i fumetti negli anni '40-50 erano visti come i principali colpevoli della corruzione dei giovani, in modo analogo a quanto avverrà dei graffiti negli anni immediatamente successivi (incubazione nel '60, sviluppo nel '70).

Geograficamente, entrambi i fenomeni (comics e graffiti) si incentrano a New York: e il che è anche logico, per il ruolo centrale della città nello scenario americano. Nei fumetti, però, New York non è solo centro produttivo, ma anche luogo principe della rappresentazione, in modo dichiarato o dissimulato (la Metropolis di Superman).

Sotto il profilo stilistico, i due media usano poi sgargianti colori primari per colpire lo spettatore (se all'inizio nei fumetti è anche un limite tecnico della quadricromia, l'uso di colori semplificati ed accesi trascende questo limite iniziale per divenire elemento culturale dei comics americani), e, per la stessa ragione, uno stile non-realistico ma basato sulla sintesi del cartooning.

Sotto un profilo contenutistico, a diversi livelli, emerge quella mitizzazione dell'illegalità stigmatizzata da Wertham.

I super-eroi sono infatti dei vigilantes illegali. E l'illegalità è connessa a filo doppio col graffitismo, almeno prima della fase "post", comunque più recente e che non ha ancora prevalso nell'immaginario.

L'illegalità, in entrambi i casi,porta alla negazione dell'identità palese, che diviene un tratto irrinunciabile: la dicotomia Clark Kent / Superman si sovrappone a quella tra autore / tag, che diviene la "maschera" del graffitaro.

Certo, una differenza è evidente: la street art porta l'illegalità nel reale, mentre i fumetti teoricamente operano in uno spazio legale (pur esaltando, quando va bene, dei vendicatori mascherati). Il graffito rompe lo schema sociale con l'atto in sé, il fumetto col contenuto.

Ma anche qui: con lo sviluppo del fumetto underground negli anni '60, la distinzione non è affatto così netta: e sebbene la "stampa alternativa" non si configuri come un reato così plasticamente evidente quale la violazione della proprietà privata (o pubblica) insita nel graffitarla, è comunque posta nel limbo della non-legalità.

Comune è, poi, sempre dai '60 in poi, il recupero da parte della Pop Art, che integra entrambi i mezzi espressivi al suo interno come riferimento alla rielaborata cultura popolare. I fumetti di Lichtenstein, i graffiti di Keith Haring.



Le radici comuni vanno forse però ulteriormente retrodatate, andando fino alla figura archetipa da cui deriva il supereroe (e il graffitaro?): il vendicatore mascherato cinque-secentesco delle tragedie di vendetta elisabettiane, da cui deriveranno i vendicatori del romanzo gotico sette-ottocentesco, fino alla loro estrema incarnazione in "Zorro" (1919), figura quasi anticipatrice della cultura supereroistica del fumetto (Batman perde i genitori dopo essere andato a vedere un film di Zorro).

Come in "Zorro" (la figura che resta di questa tradizione nell'immaginario collettivo) il vendicatore, oltre a compiere le sue gesta, le firma con un segno graffito, un marchio che, nel caso di Zorro, è lasciato sul corpo dei suoi stessi avversari, ma può benissimo apparire su un muro, in altre versioni del mito stesso, con più realismo e minor forza immaginifica.

Appare consapevole di questa matrice Alan Moore, massimo fumettista moderno, che fa lasciare al suo elisabettiano supereroe "V for Vendetta" (1980) un marchio a forma di V sui muri dominati dai manifesti di regime, o nei luoghi in cui comunque compie le sue azioni.

Qui si pone ovviamente un'altra questione, ovvero il confine tra graffito/segno e graffito/operazione artistica. L'elemento comune è il graffito come segno di protesta e non di semplice atto vandalistico. Se poi da un lato il segno di V è meno elaborato del graffitismo codificato reale, è comunque un elemento di una grande operazione artistica (più precisamente, teatrale) che il protagonista mette attorialmente in scena contro il regime.

Ma è un altro fumetto di Moore, ovviamente, a porre al centro, in modo ancor più significativo, l'elemento graffitico.


La relazione tra supereroi e graffiti ritorna infatti, in Moore, in "Watchmen" (1986). Qui abbiamo anche una distinzione tra graffito-protesta e graffito-arte.

In generale, le scritte sui muri formano (insieme ai manifesti, e ad altri elementi dello sfondo) una sottotraccia a tutto Watchmen, che ne diviene la chiave delle molteplici letture postmoderne, di secondo livello, in questo caso in senso letterale (il secondo piano della vignetta portato in primo piano nell'interpretazione).

Il Graffito-protesta non è usato dagli eroi, ma "contro" i supereroi, e la sua importanza è notevole, al punto da dare il titolo all'opera, e deriva da "Who Watches The Watchmen?", ovvero "Chi controlla i controllori?" citazione correttamente attribuita, nel fumetto, a Giovenale. I supereroi, quindi, come parte integrante del sistema contestato "dal basso": ma, come sa chi ha letto l'opera, frase sinistramente profetica sul suo finale.

Ma questi graffiti contestatari si sovrappongono anche ad altri graffiti fascisteggianti, come quelli che evocano la Kristalnacht, la Notte dei Cristalli di nazista memoria, che avverrà poi, sinistramente, come catastrofe nucleare.

Accanto ai graffiti puramente protestatari appare però nel cosmo di Watchmen anche un esempio di street art, che richiama, mi pare, il newyorkese Richard Hambleton, attivo in quegli anni, reinterpretato in modo funzionale al fumetto.




Si tratta di graffiti "artistici" di coppie di figure umane che ricorrono in tutta l'opera.

Il senso delle due figure abbracciate nel graffito è, come spesso in Moore, non di facile decrittazione. Da un lato, rimandano ai genitori di Rorscharch (la loro stessa simmetricità rimanda a una macchia del test proiettivo), la madre prostituta e il padre ignoto, avvolto nell'ombra.


Un simbolo quindi negativo, che però viene rivalutato in connessione all'esplosione nucleare che incombe, come una persistente minaccia, sui protagonisti, fino all'evento finale. L'abbraccio istintivo, di protezione, di due figure (come a Pompei), diventa il simbolo dell'amore che si oppone alla distruzione incombente.



Apparentemente il gesto d'amore è impotente dinnanzi al nucleare; ma, come era avvenuto al dottor Manhattan, dopo l'esplosione atomica l'umanità rinasce.



La doppia silhouette diventa anche, nel finale, la coppia costituita dai due protagonisti, Nite Owl e Silk Spectre, che rappresentano la possibilità, nonostante tutto, nel cuore dell'Apocalisse, di costruire comunque una relazione positiva, opposta forse quindi all'icona negativa rappresentata dai genitori di Rorscharch (il vecchio mondo) e a quella transizionale dell'esplosione nucleare (che genera il nuovo mondo).

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I graffiti - protesta o arte - sono insomma segno, più che della contestazione di cui si vogliono portatori, di una profezia inconsciamente percepita dall'immaginario collettivo. Ozymandias, il più potente dei vendicatori mascherati, dei Watchmen, osserva le pubblicità per trarne deduzioni sulla percezione dell'immaginario collettivo: ma la sua strategia, si scoprirà nel finale, è parzialmente errata; probabilmente proprio per la sua incapacità di cogliere i segnali della protesta popolare.

I graffiti come autentica espressione del mood dell'inconscio collettivo junghiano, quindi, secondo la lezione di Moore; una lezione con cui personalmente mi sento di concordare.