Dylan Dog 305. Il Dylan di Gualdoni







LORENZO BARBERIS



Spoilers alert, as usual.



Comprato oggi in edicola la ristampa del Dylan Dog 305. Una storia di Giovanni Gualdoni, il vecchio curatore dell'intermezzo tra Marcheselli e l'attuale Recchioni, che mi offre l'occasione per qualche riflessione generale.



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In realtà questa è solo la seconda storia dell'autore sulla serie regolare, per la tendenza degli ultimi anni a moltiplicare le uscite.



Gualdoni è contattato nello staff di Dylan Dog nel 2006, quando si affianca a Marcheselli, storico collaboratore di Sclavi, per ricevere da questi il passaggio di consegne. Gualdoni, autore giovane per il ruolo assegnato, veniva da una certa esperienza nel mercato francese, nell'ambito del colore, del webcomic professionale, con il prodotto di maggior successo, "Wondercity", facente parte di quel genere, per così dire, per "disneyani cresciuti", tra Witch, PK, Mistery Mouse, in questo caso con una sorta di Hogwarts per giovani supereroi, una declinazione graficamente "alla Cavazzano" dei comics americani.



Probabile ipotizzare che la scelta sia dovuta alla sua esperienza sul colore, in previsione del lancio del fortunato esperimento del Color Fest, in grado di aprire la strada, anni dopo, ai primi fumetti bonelliani a colori, come "Orfani". Al tempo stesso, si cerca probabilmente una scrittura di un Dylan sempre più addolcito, come suggerisce la scelta di un autore proveniente da una fascia di fumetti per la fascia di età idealmente precedente i Bonelli (con Recchioni la scelta sarà opposta: quella di un autore di cose più "mature" di Dylan Dog, con conseguente cambio di direzione).



La prima storia di Gualdoni quindi (se è completa la cronologia sul professionalissimo sito Bonelli, come credo), è nel 2007, sul primo Color Fest. "Dylan in Wonderland" (rimando subliminale a Wondercity), prova breve e quindi in fondo meno significativa per una testata, come Dylan, incentrata soprattutto sul formato del "romanzo breve a fumetti" di 96 pagine.



Decisamente più significativa, a mio avviso, la storia del Color dell'anno dopo, "L'inferno in terra" (2008), sul tema della guerra, che fa emergere un certo gusto di Gualdoni per il Dylan "moralista" (intendo qui questo termine in senso neutro, non necessariamente la sfumatura critica che ha assunto nel parlato comune), che quando ben declinata ha una sua ragion d'essere. In questa storia, con gli ottimi disegni di De Angelis, la trama emerge con forza anche per la brevità.



La pace che nasce da una donna mediorientale, col velo, sembra quasi profetizzare l'arrivo poi di Rania, la nuova agente islamica che affianca il nuovo ispettore Carpenter del nuovo corso.



Nel 2008, sul gigante n. 17, appare anche "Call Center", riflessione su questa piaga del mondo moderno (sia dal punto di vista dei lavoratori schiavizzati che dei consumatori vessati, come il povero Dylan della storia).



Nel 2009 "Le morti bianche" sul Maxi n. 12 è una bella citazione dal Dostojevski delle notti bianche adattato al tema della morte sul lavoro. Dovrebbe trattarsi del primo Gualdoni su un Dylan "a 96 pagine", anche se non ancora sulla serie regolare. Il calembour del titolo conferma lo spazio dato da Gualdoni ai temi "impegnati" di Dylan, un tema presente fin dagli esordi sclaviani, ma accentuato in seguito alla "caccia alle streghe" ed associato come "marchio di fabbrica" al curatore Gualdoni.



Da quest'anno, come detto, Gualdoni prende anche le redini della testata, sostituendosi definitivamente a Marcheselli, dopo averlo affiancato.







L'esordio sulla serie regolare avviene solo nel 2011, con "Nella testa del killer", il numero 298, illustrato da Freghieri, che devo ancora recuperare e leggere, non molto apprezzato online.

L'albo d'esordio del curatore è dato come l'archetipo del "Dylan medio" di quegli anni, incentrati su storie che danno grande prevalenza all'elemento giallistico, con una blanda concessione nel mettere al centro la figura del serial killer, appunto.



L'albo successivo, questo 305 appunto, arriva dopo altri sei mesi, ormai nel 2012.



Dal 305 in poi però sono numerose sono le sue storie apparse nella sua gestione: 309, 312, 314, 316 e 322. Una storia sua intervallata da due o tre numeri di altri: una netta preminenza che, probabilmente, si lega alla sua nuova gestione (subentrato a fine 2009, ci vuole almeno un anno prima che giungano le storie totalmente ideate da un nuovo curatore).



Sono gli anni della crisi del personaggio, per colpe a mio avviso non riconducibili a Gualdoni, con cui Dylan scende definitivamente da 200.000 copie a quasi solo 100.000, prima della timida ripresa con Recchioni.



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Il 305 è quindi l'albo che avvia questa nuova serie gualdoniana. Disegnato da Mari, uno degli autori più prestigiosi della testata, il numero comincia con una decina di pagine molto pesanti in cui Dylan pontifica moralista sui serial killer. Questo esordio lento è probabilmente la ragione dello scarso apprezzamento dell'albo. Però, in verità, a una seconda lettura, causata dal finale, come vedremo, spiazzante, forse si possono trovare qui i semi di un possibile secondo piano più raffinato, che lo pone quasi come un albo programmatico gualdoniano, ancor più esplicito del primo.



Consiglio di leggere la seguente analisi dopo una prima lettura dell'albo. P. 5 ci accoglie con una mezza splash page del museo, già visto nella bella cover di Stano. Imponente e inquietante, sappiamo già dalla cover che Mary Adams, la fidanzata del mese, psicologa forense che lavora con Dylan a un caso, finirà legata su quella cupola nel finale (Gualdoni gioca molto sulle trasversalità in questa storia) e ci apprestiamo a cogliere come.



Entriamo nell'albo e nel museo a p.6.  Mary cita (non a caso...) la Hammer Movies, di cui Dylan è appassionato, per spronarlo ad amare il museo: ma egli, col moralismo tipico di questi anni, critica il culto dei serial killer davanti ai paradossali ritratti di Lady Bathory e Vlad Dracul (p.7).



Ossimorici: nel cosmo dylaniato, egli dovrebbe saperli reali vampiri, e al limite la sua critica dovrebbe essere di tipo sovrannaturalista: "voi li pensate mortali, e invece...". Un po' è ovviamente la linea di Gualdoni, il "riduzionismo al serial killer" programmatico già nell'albo precedente, e qui più intenzionale ancora: i mostri "fantastici" contro cui lotta Dylan sono, qui, deformazione di mostri "reali".



Il rifiuto che Dylan afferma, proprio qui, di voler capire i "mostri umani", è indice quindi della sua incapacità di agire contro questi "veri mostri", gli unici per Gualdoni reali.



Mary inizia una ambigua apologia del male, subito spalleggiata dall'arrivo dell'inquietante direttore Magwitch (singolare fusione di Magus e Witch nel nome...), troppo entusiasta dei suoi mostri, che danno origine a una serie di medaglioni, suddividendo l'episodio in un collage di storie brevi che pare congeniale a Gualdoni. L'improvviso e immediato affiatamento dei due ("pazzi" per un Dylan che Gualdoni tratteggia volutamente antipatico e saccente) vedremo avrà un suo senso sul finale.



Lo spiegone sui serial killer a p.12 è a beneficio di "nuovi lettori" che si spera di conquistare, tali da aver bisogno di una definizione così ovvia: a p. 14 nuova semi-splash page ci porta sotto la cupola (non manca un serial killer "malizioso" nella terza nicchia, nei disegni di Mari.



A p.15, Mary e un serial killer con martello sono sovrapposti, in modo volutamente rivelatorio.



Intanto appare il primo "medaglione", che vede un Dylan, uguale al nostro, nel Settecento, nel 1771 per la precisione, alle prese con un folle dottor Stevenson, omonimo dell'autore di Jekyll e Hyde, da cui viene alla fine ucciso. In tutte e tre le storie del passato, il "Dylan" dell'epoca viene eliminato: possiamo pensare che questo serva a creare un crescendo, "nella mente del killer", per poi concludere anche la storia stessa, come vedremo, con l'eliminazione del Dylan moderno.



Mag-Witch, "magus" come esoterista, potrebbe aver quindi scelto i casi di serial killing in cui appare un Dylan per favorire il crescendo dell'immedesimazione.



L'ispirazione in questo primo caso è ai delitti - reali - di Burke e Hare, "Igor" prototipici che forniscono di cadaveri, a fine '700, il dottor Knox, "mad doc" ispiratore, per certi versi, di Frankenstein e soci (pur essendo egli nella realtà innocente).



E agli anni di Hyde, di Jack lo Squartatore e del Dracula di Bram Stoker rimanda il secondo episodio, con un Dylan (e anche un simil-Bloch) del 1897. Cushing, il nome del killer, è citazione di un celebre attore inglese dell'horror, mentre il fatto che Bloch si chiami Mason è un rimando all'idea dei delitti seriali di allora come operato massonico. Ad ogni modo, il Dylan-libraio dell'800 si convince erroneamente di un Cushing vampiro, ed erroneamente lo assassina, finendo poi per suicidarsi in carcere per il senso di colpa di aver "ucciso un innocente".



Viene così confermato un già visto tema dell'albo: le colpe di Dylan nella sua lotta ai mostri, il suo errore di leggere il sovrannaturale dove non c'è, influenzato dalla sua cultura letteraria. Nella storia, il duo dei ciceroni di Dylan gli mostra le sue colpe nell'uccisione di innocenti, che saranno ribadite nel finale.



Il terzo quadro, nel 1953, ci mostra un Dylan medico, impegnato a lottare contro un angelo della morte. La storia introduce l'ambivalenza tra il mostro e il suo cacciatore, con l'angelo della morte che uccide per creare a Dylan medico la possibilità di mostrare la sua infallibilità. Un rapporto che anticipa, di fatto, quello tra Mary e Dylan, come vedremo, e che ancora una volta si conclude con la morte di Dylan.



Il quarto episodio chiude il cerchio. Magwitch chiude le porte (p.68) e sornione presenta a Dylan "il gran finale". Dylan è stordito, e troviamo il Dylan poliziotto degli anni '80 che lotta contro il Killer del Martello, che ci si suggerisce graficamente poter essere un giovane Magwitch. Harry Brooks, il presunto killer, tenta di suicidarsi, trascinando con sé la figlia sedicenne, identica a Mary, che Dylan salva.



Dylan si riprende dal colpo subito (p.77). Il sogno probabilmente è causato dalla suggestione prodotta da Magwitch e Mary (Magus and Witch, coppia infernale?). Mary appare finalmente issata sul pennone più alto del museo, come anticipato da cover.



Quando Dylan libera Mary, però, lei si rivela come la vera serial killer, la figlia di Hammer, e lo colpisce (p.82). Mary svela che era lei la vera killer, che aveva creato quei delitti per amore del padre giornalista, perché li risolvesse (un rapporto malato, di nuovo, tra killer e cacciatore). Poco il realismo, ovviamente: Mary estrae dal nulla The Hammer, e combatte in scioltezza su una cupola scivolosa con tacchi a spillo.



A p.86, ultima tavola, vediamo Mary in azione: la presunta vittima è uguale al personaggio che nell'ultima pagina sarà dato come la "vera Mary" (Mary l'attende, non la vediamo uccidere).



Nella colluttazione con Dylan, Mary quindi cade (p.92): per caso, o appositamente, per costringere Dylan al dilemma morale se salvarla o meno, non è dato di sapere. Ella gli rende evidente allora che egli, col suo buonismo, le permetterà di colpire ancora, e che è responsabile di tutte le vittime dei mostri che non ha ammazzato, di fatto. Gli spettri appaiono sullo sfondo dell'half splash page di p.95, con una forte decostruzione di un certo buonismo sclaviano sui mostri.



Interessante comunque che non si colga se Dylan lasci cadere volutamente o meno la donna nella closure tra p.96 e 97. L'aria cupa del Dylan dopo la caduta fa pensare di sì, a un omicidio intenzionale, legato al suo odio particolare per i "mostri dal volto umano".



Nuovo twist delle ultime due pagine: Mary Adams non è, dice Dylan, Mary Brooks, scopre dopo. Egli ritrova la "vera Mary" (la ragazza di p.96, totalmente diversa dalla "Mary piccola" degli anni '80) e "capisce" che Magwitch non c'entrava nulla.



L'uccisione di Mary gli ha impedito di sapere la verità su di lei: tragico contrappasso più forte se crediamo che l'omicidio sia, come è, intenzionale. Dylan uccide alla fine Mary per il disprezzo che egli nutre per i "mostri mascherati da esseri umani" (specie un copycat, un veneratore di serial killer...), ma questo gli impedisce di risolverne il mistero.



Mary sarebbe solo una copycat mitomane. Ma molti elementi paiono negare il rovesciamento finale affermato: Mary è identica alla Mary del passato, non la ragazza "ritrovata" da Dylan, come Magwitch, identico a un Brooks invecchiato, si comporta per tutto l'albo da complice.



L'ipotesi più plausibile, che Gualdoni lascia sullo sfondo, è un Dylan che ha sbagliato tutto. Sì, Mary è morta, ma Brooks come Magwitch sopravvive. La sopravvivenza di Dylan lo lascia indifferente, avendo ottenuto lo scopo prefissato, di metterne in discussione il presunto ruolo di eroe: ora lo può abbandonare, impunito, ai suoi fantasmi, con cui si chiude l'albo.



Una storia cupa, criptica, non priva però di pregi a sapervi dedicare una attenta lettura (e, quasi obbligatoriamente, rilettura).





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La stagione di Gualdoni, nel 2012, è comunque fugace: come autore e come curatore. L'emorragia di vendite spinge a un rapido cambio di rotta. Nel gigante del 2013, l'ultimo prima della chiusura di questa testata dylaniata, Gualdoni saluta i lettori dal suo ruolo di curatore con una storia breve, ironica, quelle più nelle sue corde, legata al rifiuto del cellulare da parte di Dylan.



Tra i regolari di Gualdoni riuscito anche l'ultimo albo, "Il calvario" (vedi qui), uscito ormai nella Fase Uno, il primo anno della nuova gestione Recchioni, che costituisce di fatto, a quanto detto, l'addio di Gualdoni al personaggio per lungo tempo. Egli infatti, pur restando in Bonelli, è uscito dallo staff di sceneggiatori di Dylan Dog, forse anche per marcare meglio lo stacco della nuova era.



Gualdoni forse non ha saputo comunicare opportunamente il "suo" nuovo Dylan Dog, né coordinare un rinnovamento editoriale per cui, del resto, non aveva mandato. Ma questo Dylan mostra come l'autore avesse, a suo modo, una visione del personaggio interessante, e che a suo modo meriti rileggerne gli albi per un corretto apprezzamento.