Warhol a Cuneo



LORENZO BARBERIS
Mentre la GAM di Torino ospita una mostra di Roy Lichtenstein, Cuneo presenta una mostra di Andy Warhol che, sia pur in misura più ridotta, celebra l'altro grande genio della Pop Art.
Il Piemonte in generale ha un particolare penchant per la Pop Art, dato che nel 1965 l'Arte Povera, l'ultima grande avanguardia italiana, era stata appunto avvicinata al contemporaneo e parallelo movimento americano. In entrambi gli ambiti, stanti le rispettive differenze, avveniva una comune riflessione sul Pop. Nell'arte povera questa si sviluppava soprattutto sui materiali, mentre nella pop art americana il centro era soprattutto sui contenuti e sugli stili (specie, appunto, in Warhol e Lichtenstein).
Ma indubbiamente i due elementi avevano spesso vicinanze e compenetrazioni.
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Warhol e la pop art continuano ancor oggi ad avere un grande influsso sulla cultura artistica mondiale: l'arte mondiale, ma anche il fumetto è stato trasformato dalla loro rilettura, e anche il graffitismo, la forma d'arte attualmente più vitale nelle arti visive, è fortemente influenzato dalla sua lezione.
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La mostra di Cuneo si estende su due location, corrispondenti alle due realtà organizzatrici: la galleria Skema 5 e la Fondazione Delfino (che ha anche commissionato il bel "colosso di Rodin" di cui ho parlato qui). Presso la galleria si trovano le opere relative all'"American Dream" che dà il titolo alla mostra, mentre a Casa Delfino si possono ammirare soprattutto le opere relative alla musica: ritratti di artisti e le celebri invenzioni grafiche warholiane, per i Rolling Stones e per i suoi protetti, i Velvet Underground.
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Non possono quindi mancare in mostre le grandi icone americane di Warhol, da Marylin allo Zio Sam, passando per numerose attrici, attori e, come detto, in particolare cantanti (in primis i celeberrimi Beatles). L'immagine della bella locandina della mostra, però, raffigura con un paradossale ossimoro l'icona meno americana di tutta la produzione di Warhol, il Mao realizzato nel 1972, in occasione dello storico viaggio del presidente USA Nixon nella Cina comunista.
Mao è il simbolo, teoricamente, dell'anti-capitalismo, dell'anti-Pop, ma la forza del consumismo, dell'edonismo americano sta proprio nel suo fagocitare i simboli opposti e farli suoi (pensiamo alla "maglietta di Che Guevara" che è diventata l'archetipo di una adesione al comunismo superficiale, poco consapevole, appunto consumistico).
DSCF8786Non è forse un caso, quindi, che in mostra vi sia anche questa rielaborazione pop della Falce e Martello, opera meno nota che opera - al livello dei simboli oggettuali - la stessa riscrittura che veniva praticata su Mao al livello dell'icona.
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 non è quindi un caso che, sempre al livello dell'oggetto, si siano inserite nella mostra numerose variazione di uno dei lavori meno noti di Warhol, quello sui dollari americani firmati e tramutati in opera (qui un mio autoritratto en abime con un dollaro del 1976, il mio anno di nascita).
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Il simbolo oggettuale più noto di Warhol è la celebre Campbell Soup, ovviamente: e anch'essa è presente in mostra solo nell'aspetto dell'Object Trouvé: una lattina, manifesti pubblicitari e merchandising (grembiali Campbell Soup per la perfetta casalinga) firmati dall'artista e resi "Campbell Soup Art" tramite il potere taumaturgico della firma.
C'è anche in mostra una scatola di detersivo Brillo, che assieme alla Coca Cola (assente) forma un triade delle divinità consumistico-pop celebrate da Warhol. Nel caso del Dollaro Americano, tuttavia, l'operazione è ancora più complessa, in quanto il dollaro non è merce, ma, come denaro, accesso alla merce.
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La $ del dollaro, per i complottisti simbolo diabolico del serpente edenico, è il simbolo stesso del denaro (anche grazie ai comics americani, che hanno rafforzato tale valenza iconica anche negli altri paesi). In verità, esso rappresenta il cartiglio Nec Plus Ultra, 2non (andare) oltre", posto da Ercole sulle omonime Colonne d'Ercole di Gibilterra, stilizzato in una S tagliata da due trattini. Già gli spagnoli avevano iniziato a usarlo come simbolo delle monete dei possedimenti d'oltreoceano, e quindi il Dollaro è, davvero, il simbolo stesso dell'American Dream, del "superamento delle colonne d'Ercole" ideali e reali. America come Nec Plus Ultra, appunto.
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Non so quanto Warhol fosse consapevole di questo aspetto o l'abbia recepito inconsciamente, in modo junghiano: ma certa è voluta l'ambivalenza che collega il dollaro alle sue serigrafie di personaggi celebri. Il dollaro è moneta, ma anche ritratto xerografico delle icone fondamentali dell'ideologia americana: i Presidenti USA più celebri, più importanti, a partire da George Washington.
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Tra le icone pop non mancano neppure i riferimenti all'immaginario fumettistico, più ampliamente esplorato da Lichtenstein.
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e Lichtenstein però rielaborava, sia per processo produttivo, sia probabilmente per risoluzione dei problemi di copyright, Warhol per principio non può che duplicare, causando un contenzioso che si è aperto non allora, quando ancora il fumetto era ritenuto arte minore (quando va bene), ma oggi, quando il fumetto è stato giustamente rivalutato appieno quale genere artistico.
Così in ambito dei comics si è iniziato a rivalutare il povero Curt Swan, e criticare l'appropriazione indebita warholiana. In verità, al di là della (rara) duplicazione dell'immagine, ricca di significato (il superuomo e lo spettro del superuomo come i due volti del sogno americano), non si può negare che l'immagine di Warhol, pur derivativa, abbia in questo caso una certa autonomia di rielaborazione, che rende più sottile il tratto, ricontestualizza l'immagine e, innegabilmente, la rende più bella, più iconica. Non a caso non riscrive un John Byrne, ma un autore comunque minore e dal segno meno potente; un po' come Kubrick, dopo Lolita, decise di occuparsi solo di romanzi minori, di cui realizzare film nettamente superiori.
Inoltre, la polemica fumettistica, pur interessante (ne avevo parlato con Anne Desmet durante la sua mostra monregalese, in un "fuori intervista"), mostra un certo provincialismo artistico del fumetto: infatti, lo stesso discorso del "saccheggio warholiano" dovrebbe valere per i fotografi autori delle immagini pop da lui rielaborate, che non sono stati inseriti nella rivendicazione.
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E se Warhol ha saccheggiato icone, ne ha anche create nelle sue celebri copertine, rispettivamente per i Rolling Stones e i Velvet Underground, figli quest'ultimi della sua Factory. Due immagini che sono divenute, da copertine degli album, icone stesse dei due gruppi, dalla carica molto potente anche per la fortissima matrice sessuale che li accomuna.
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Galleria Skema
Insomma, la mostra si pone nel suo complesso come l'occasione di una riflessione affascinante sulla Pop Art, di cui Warhol è il fondatore, e di questo non si può non rendere merito a queste due notevoli realtà espositive cuneesi, Casa Delfino (che è, tra l'altro, scopritrice dell'Arte Fattuale come corrente cuneese che ha tratti di tangenza con le riflessioni poveristiche e popart) e Galleria Skema, che ringraziamo per la eccezionale gentilezza, professionalità e disponibilità durante la nostra visita. Quindi, sotto questo profilo, non ci resta davvero che consigliarvi la visita (possibile fino al 10 gennaio) e di tener d'occhio queste due realtà per future occasioni d'arte cuneese.
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Infine, in coda alla mostra, non possiamo non segnalare una ripresa della locandina da parte del più Pop dei pittori monregalesi, Marco Roascio, che nelle sue ultime ricerche si dedica a rileggere manifesti illustri o meno recuperati nella zona del cuneese, Mondovì in particolare, ha recuperato un manifesto distrutto dalle recenti piogge e l'ha "restaurato" a modo suo, con i tipici inserti che vanno a risignificare l'oubject trouvé. Una ricerca, quindi, in qualche modo erede del lavoro sui ready made della pop art di Warhol e soci, sia pure in una lettura autonoma di cui ho avuto modo, più volte, di scrivere.