Mercurio Loi







LORENZO BARBERIS.





(Spoiler alert as usual: analisi passo passo dell'opera in questione.
Se non avete letto già l'albo, non leggetela.)





Con colpevole ritardo, recensisco l'ultima uscita de "Le storie", la collana dedicata dalla Bonelli a "romanzi a fumetti" autonomi, slegati fra loro, invece che a un classico personaggio dal nome allitterante. Più libera, più autoriale, la collana ospita le migliori firme bonelliane (e quindi di fatto italiane) del fumetto. Non lo seguo costantemente, limitandomi ad acquistarlo quando è ospite uno degli sceneggiatori che mi piace (più raramente per via dei disegnatori), come nel caso di Alessandro Bilotta, di cui avevo già apprezzato, qui, "Il lato oscuro della Luna" e "Friedrichstrasse".





Ma qui Bilotta invade il campo principale dei miei interessi, l'ambito esoterico, con una storia legata fin dal titolo al suo eroe, "Mercurio Loi".





Il nome rimanda certo non a caso all'Hermes greco in versione romana, nome perfetto per un indagatore, soprattutto se coinvolto in indagini a sfondo, appunto, "ermetico".





Una riscrittura di Holmes, per molti versi (come quasi ogni giallo, giocoforza...), come anticipa l'editoriale di Gianmaria Contro; ma una rilettura personale ed avvicente, come già un "nuovo Holmes" (su molte cose in antifrasi all'originale) è stato, in Bonelli, un pilastro del fumetto italiano come Dylan Dog.





L'inizio è perfettamente in medias res, e ci introduce Mercurio col suo assistente mentre sono imprigionati in un sotterraneo misterioso, al centro dell'avventura. Mercurio appare subito molto holmesiano, con in più elementi d'azione più marcati, che fanno pensare anche a Indiana Jones; ma cattura subito del personaggio un atteggiamento di ottimistico stupore, quasi infantile a tratti, che lo rende immediatamente simpatico (p.11).





Scopriamo di trovarci in una rievocazione ottocentesca dei Lupercalia; Mercurio giunge a interrompere il presunto sacrificio di un bambino, mentre si trova ad affrontare la sua più atroce paura, i ragni (come Indy con i serpenti...), riuscendo ovviamente a sfuggire, unendo astuzia ed abilità rocambolesca, alla trappola mortale preparatagli dall'arcinemico Tarcisio Spada, ex assistente ribellatosi al mentore nella dualità iniziatica, secondo un antico schema (reso celebre, ai più, da Star Wars).





Sarebbe la perfetta conclusione di un classico bonelliano, ma siamo solo a p.28.





Mercurio riemerge col giovane Dante Fusco, il ragazzino (nomi sempre significativi), e incontriamo il suo Lestrade, il colonnello Belforte, e il giovane assistente Ottone De Angelis (come Mercurio, il nome di un metallo: indubbiamente molto alchemico, soprattutto se vediamo un riferimento all'"ottone degli angeli" come un rimando all'Alchimia Spirituale: l'ottone è da sempre "oro dei poveri", che però alchemicamente può essere trasmutato, come ogni "metallo vile", in materia più pregevole).





Titoli di testa. Mercurio torna a casa, e ha ancora il ragno addosso (p.38): leitmotiv che attraverserà tutto l'albo, e che si associa perfettamente alla battuta del momento "La paura si trasmette dagli occhi... quindi basta non guardare".





Il ragno passerà poi ai piedi di uno sconsolato Ottone, appena bocciato dall'inflessibile Mercurio nel suo ruolo di docente universitario, che nelle vesti di mentore ermetico lo conduce al cospetto della Sciarada, la setta ermetica "bianca" presieduta dall'infante Galatea che tenta di contrastare le energie nere che ribolliscono in questa Roma papale del 1825. Il rimando alla Sciarada, il gioco linguistico autodefinito (Scia + Rada = Sciarada, due parole che assieme ne formano una terza, di senso compiuto), potrebbe essere un indizio dell'importanza dei nomi simbolici dei personaggi.





Concluso il caso dei Luperci, un altro si affaccia, relativo allo spettro di Beatrice Cenci, riapparsa a Castel Sant'Angelo.





Intanto, in un gioco di scatole cinesi incastrate alla perfezione, Ottone partecipa anche alla riunione massonica dei Carbonari, parallela iniziazione in ribellione al maestro (come Tarcisio, anche se in modo differente...) e propugna l'assassinio del boia pontificio (rivelando una notevole ingenuità politica e soprattutto iniziatica...).





Mercurio ha intanto manovrato per farlo uscire con la poco casta Lucrezia Fontana, che voleva concedere le sue grazie a Mercurio per un esame e che egli dirotta sull'assistente, con sdegno iniziale della fanciulla che, però, Ottone riesce ad affascinare.





Mercurio risolve anche il caso di Beatrice Cenci, da cui è affascinato, ma che scopre esser solo l'effetto di un gas ipnotico creato dallo Spada. Curioso che anche la Commedia dantesca, per alcuni, è narrazione di viaggio iniziatico-ipnotico ("... tal dentro mi fei, / qual si fé Glauco nel gustar de l'erba / che 'l fé consorto in mar de li altri dei...") sul modello odusiaco più volte richiamato. Tanto più che il contatto con Beatrice Cenci come "donna angelicata" non è, si intuisce nel finale, illusorio, ma effettivo rapporto col piano astrale superiore.





A p.99 inizia il confronto finale (gustoso il busto del conte Max che permette di accedere al secretum della setta di Tarcisio, tratteggiato nell'aspetto come il fumettistico Conte di Alan Ford...) e Tarcisio viene sconfitto.





Tuttavia, come teme in fondo lo stesso Mercurio, anche Ottone falla cadendo nella sua ingenuità cospirativa, opposta a quella di Spada (tanto sofisticato l'avversario, tanto stolida quella di Ottone). Mercurio è contattato nuovamente da Beatrice (mentre riappare il Ragno, che lascia probabilmente Mercurio su cui era salito nell'ultimo incontro con Bea, a p.86), dopo il primo contatto, ma siamo ben lontani da un happy ending (ovviamente, per il lettore di primo livello c'è quello servito poche pagine fa).





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Un lavoro complesso e intricato, di alta qualità narrativa, servito perfettamente dai disegni deliziosamente retrò di Matteo Mosca (in un'opera intessuta dal Ragno, che può essere quasi visualizzazione della "trama ermetica" dell'opera, cucendola insieme ed evidenziandone gli snodi cruciali).





Tutto fa presumere l'intenzione di farne il primo capitolo di un ciclo più vasto, un'opera aperta che sembra invocare uno sviluppo e una, anche provvisoria, conclusione. Come al solito Bilotta gioca magistralmente sul non-detto, sulla declinazione originale degli archetipi letterari, mescolando alto e basso, sapienza ermetica e detti popolari romaneschi, in una storia in cui volendo si potrebbe leggere, sotto la trama "holmesiana", una sotto-trama "dantesca" e iniziatica.





Ottone come il Pellegrino dantesco-watsoniano (chi è il "Dante bambino" che si deve salvare, all'inizio dell'opera? Il piccolo Fusco, o Ottone stesso?) il quale deve raggiungere l'iniziazione (e che fallisce, indubbiamente, nell'economia dell'albo), il Mercurio come sua guida (elemento trasformativo per eccellenza) virgiliano-holmesiana, Beatrice-Lucrezia-Galatea le "tre donne intorno al cor",  guida iniziatica (Bea di Mercurio, Lucrezia di Ottone, Galatea di entrambe, infanta imperatrice e sintesi del femminino assoluto), il culto dei Luperci fondamento della Roma eterna, l'allucinazione trappola ma anche momento iniziatico (per il solo Mercurio: Spada, ma anche Ottone in senso simbolico, vi cadono preda dei propri incubi) di trascendimento di sé.





Insomma, un'opera complessa e affascinante, al di là della legittimità di questa possibile interpretazione della "sciarada".