Dylan Dog 343 - Nel fumo della battaglia





LORENZO BARBERIS



(Spoiler alert. Consiglio di leggere prima l'albo.)



Il 343 di Dylan, il "Black Album", è per certi versi simmetrico al "White Album" dedicato a John Ghost, che aveva dato avvio al tutto nella Lucca del 2014.









Yin - Yang, Bene - Male, Bianco e Nero, Caos ed Ordine. Un dualismo ovvio in un fumetto dell'orrore, specie se in B/N come Dylan Dog.





Qui tuttavia il Black Album ha indubbiamente anche un'altra simmetria col "White": se quello "apriva" la transizione del Rinascimento Dylaniato, questo la chiude: è primo albo non introduttivo, che entra nel vivo, nel "fumo della battaglia", nella seconda metà della fase due.





I sei albi precedenti hanno riscritto il mito di Dylan: ora inizia la fase di nuove storie almeno in parte più ordinarie. Questa è la vera sfida, la vera battaglia: tenere il campo anche ora, che sono finiti i fuochi pirotecnici delle "storie speciali" (certo, c'è la cover "speciale", ultima concessione all'eccezionalità, che ci evidenzia tra l'altro gli occhi azzurrissimi di Dylan; ma di qui in poi gli espedienti si faranno sempre più difficili).













Al 325, Recchioni si era affidato a un autore completo, Ambrosini, per "l'inizio di tutto": qui è di nuovo un autore completo, Gigi Simeoni, a segnare questo nuovo "salto nel nero".





Una scelta che chiarisce la volontà di autorialità difesa da Recchioni, come in quella del ritorno in grande stile di Dell'Agnol, da lungo assente dalle scene dylaniate (dal 247, se non erro, in pratica ancora dall'ultimissima ridotta dell'Era Sclavi), che aveva collocato subito dopo Ambrosini, e ora subito prima di Simeoni.





La storia è un classico dell'horror: Un ragazzino malato della sindrome di Asperger, l'"autismo ad alta funzionalità", si suicida in giovanissima età. Molti anni dopo, egli inizia a scrivere messaggi su una chat alla madre Susy. Ella contatta Dylan che va a scavare nella tenebra in cui è prigioniero il ragazzo.





Già il recente "Dr. Morgue" (2011), nel fumetto bonellide, aveva visto un protagonista con Asperger, al centro di vicende dai tratti esoterici nella sua lotta alla setta del crimine del sindaco Mason, di Montreal. Un fumetto che ho perso, ma che ora, incidentamente, gradirei recuperare, anche perché i simbolismi ermetici evidentemente presenti mi incuriosiscono anche su quella "Montreal" chiaramente simbolica, Monte Reale, quindi Montsalvat, ma potenzialmente Monteregale (l'altro nome del mio Mondovì).





In verità avviene un evento epocale, comunque: Dylan per quest'indagine crea un profilo FB, che in teoria dovrebbe cancellare alla fine dell'episodio (anche se non è esplicitamente detto che ciò avvenga).





A p. 15 viene introdotto il "mostro senza piedi" che sarà - si intuisce facilmente - il malvagio della vicenda; la sua presenza è interessante, perché pare rimandare a un tema diffuso dell'Alchimia.










"Chi vuole entrare nel roseto dei filosofi senza chiave è pari a un uomo che vuol camminare senza piedi". (Michael Meyer, Atalanta Fugiens, 1617).





In effetti, l'Uomo Senza Piedi vuole fare un salto di qualità nel mondo simbolico in cui è imprigionato lo stesso Joy ("gioia"); l'istituto dove era ricoverato era il Roseville, la "Città delle Rose", il Roseto appunto; e i cancelli che chiudono il luogo simbolico da cui contatta la madre (punto di contatto è un dondolo a forma di Stella Marina, il nome che lui le assegnava) rimandano alle spine della Rosa.





L'associazione del "bambino col pigiama a strisce", accostato a una stella sia pure a cinque punte, come quella Marina, rievoca quasi il ricordo della Shoah: come orrori, non vi siamo lontani, sia pure in un volto moderno all'apparenza più asettico.










A pagina 57, inoltre, la medium Maria Trelkowski (che fa il suo ritorno, confermando il mantenimento del personaggio nella nuova fase, in modo molto fedele all'originale corso del fumetto) chiarisce che quello che sta avvenendo è una "costruzione alchemica".






La forza psichica di Joy si rivela in grado di condizionare anche apparecchi elettrici di altro tipo. 


Torna di nuovo utile "Irma" (p.37), lo smartphone donato da John Ghost e usato da Groucho, che sembra sempre più dipendente da esso (ma, per via della sua costante ironia, è difficile valutare il confine tra scherzo e realtà).





A pagina 36 un curioso DD 666 sulla macchina di Dylan, che poi a p.61 torna DYD 666 come corretto. Probabilmente solo una svista, come già la pistola della polizia che, nel precedente albo di Simeoni, usata da Dylan si tramutava nella solita Bodeo. Non penso che la Y abbia qualche significato alchemico qui, nonostante sia un simbolo diffuso per indicare il "rovesciamento" iniziatico (in Dante e in Bosch appare questo simbolismo). Simeoni - data la sua indubbia abilità nella manipolazione simbolica - di sicuro saprebbe come reinterpretarlo in tal senso, comunque.





Da p. 41 in poi, appare un curioso elemento angelico sul piano simbolico dove si sviluppa "il fumo della battaglia" sul finale. Attaccato dai demoni, Joy è difeso da numerosi angeli caduti nel difenderlo, angeli che invocano il "Padre" prima di morire. 





Un cambio simbolico non da poco, in un mondo dylaniato che ha sempre mostrato il divino come assente, da tradizione sclaviana. Non nel senso di inesistente, sia chiaro: quasi ogni albo sugli "Inferni" implica il discorso sulla "concorrenza" che, però, è appunto tale. Una burocrazia angelica opposta a quella demoniaca. Gli angeli a loro volta sono talvolta protagonisti, ma in prevalenza come presenze negative, come in Sette Anime Dannate o Saul.





Qui invece notiamo, almeno all'apparenza e per ora, angeli "buoni" contro demoni anch'essi tradizionali, malvagi lontani dal solito surreale Inferno burocratico dylaniato.





Soltanto ne "Il Calvario", pochi albi fa, l'ultima regolare dell'ex curatore Gualdoni, una bella scena mostrava Dylan snobbare il crocifisso per pregare direttamente la morte (e sempre per salvare un bambino) e faceva presagire il ritorno all'anticlericalesimo dei primi numeri, sia pure in forma più sfumata e allegorica. Questo titolo va in una direzione opposta, quasi un fantasy alla Lewis.





Nell'ultima pagina, l'espressione della madre di Joy, indecifrabile monnalisa (sorride amaramente, melanconica ma rassegnata, oppure il suo è un dolore irrecuperabile?), è perfetta, un livello di uso dell'espressività che mi ha rimandato - nei diversissimi stili - alle criptiche ma raffinatissime espressioni del Corto Maltese di Pratt.





Nell'ultima vignetta, infine, riappare il ristorante De Gustibus, già apparso proprio in "Anarchia in UK" di Simeoni, come dirimpettaio di Dylan Dog. Segno impercettibile di una Londra dylaniata che si è fatta più precisa, ricca di micro-segnali quasi subliminali. Un continuum solo di Simeoni, o estensibile a tutto DD? Solo il tempo sarà in grado di dircelo.





Per intanto, indubbiamente, Dylan entra con tutta la sua forza nel fumo della battaglia.