Bella Cia(n)o - Battaglia di Leomacs e Recchioni.







LORENZO BARBERIS





Spoiler Alert, As Usual.





"Battaglia" di Recchioni e Leomacs è indubbiamente un fumetto molto interessante, a giudicare da questa prima uscita con disegni di Fabrizio Des Dorides e testi di Michele Monteleone (su sceneggiatura recchioniana).





Avevo letto le storie pregresse nella raccolta "Le guerre di Pietro", con l'inevitabile dissacrazione deandreiana nel titolo.













L'antieroico non-morto risale al 1997 nella sua prima apparizione sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale. Il cognome rimanda in effetti a questo contesto bellico, e la sua diffusione nazionale ne fa un personaggio arciitaliano ("mio padre è siciliano, mia madre è di Milano" afferma).





Ucciso in battaglia, Battaglia fotte la Morte (letteralmente: un grande archetipo recchioniano) e lo ritroviamo al G8 di Genova nel 2001 (la breve sequenza iniziale) o nella Sicilia del 1948, invischiato nelle mitiche elezioni fondanti della Seconda Repubblica. 













Se là Battaglia combatteva per i Socialisti (per modo di dire) nel Numero Zero di questa nuova serie va a trovare il Divo Giulio, dove apprendiamo che è stato al suo servizio nel 1979 (poco dopo il fatidico 1978, quindi...); e pur nei limiti di uno 0, spiace che Giulio sia liquidato così in fretta.














La cosa più interessante è ovviamente il formato, col recupero del formato del Nero italiano, introdotto da Diabolik nel 1962 e prosperato con fumetti neri ben più truci e radicali. Qui si guarda a questi, a un Kriminal, a una Satanik, o più di tutti a un Unknow di Magnus solista, per i neri intensi e potenti di Des Dorides, disegnatore di questo numero.





In effetti Unknow lavorava per i neofascisti, rivelandosi incontrollabile come il primo Battaglia. In questa storia Pietro si rivela invece un perfetto impiegato del fascismo: il supremo picchiatore, non a caso uscito come gli arditi antemarcia dal calderone della violenza della Grande Guerra. Solo apparentemente ciò è contraddetto dalla sua opposta rivendicazione che richiama la più celebre citazione di Zanardi.


















La citazione era già arcinota all'epoca in cui la riprendeva Brizzi per il suo "Bastogne" (1996), l'anno prima del Battaglia original (più che la battuta cool, la sequenza l'ho sempre trovata interessante per il sarcastico sottotesto dantesco che contiene l'amore lupesco di Zanna per Bea, in comunicazione telepatica).




Monteleone gli dà (sul modello del citazionismo di Recchioni) un suo sarcastico spessore: se Zanna è un Lupo per senso animalesco, Battaglia lo è anche per il suo essere, in fondo, un "figlio della Lupa", cane recalcitrante ma in fondo manovrabile nella mani del Potere. Può illudersi di ribellarsi nell'uccidere il singolo potente, ma alla fine rimane nel complesso alla catena nel gioco cosmico, e per questo si adira agli sprezzanti insulti del tedesco (p.85).







L'aneddotica sugli amanti di Edda Ciano è sterminata, dal comunista Leonida Bongiorno in giù. Aggiungergli il Battaglia vampiro al servizio dell'Ovra si incastra bene nel tessuto storico, e l'opera compie il paradosso di essere totalmente italian pulp ma anche a suo modo fedele (nei limiti ovviamente imposti dal genere).









La sua uscita in questi giorni, a ridosso del 29 aprile che ha visto l'esposizione di Mussolini a Piazzale Loreto, rende ancora più significativa la storia. Edda, Galeazzo, lo stesso Mussolini ne escono in una luce livida ma fredda, scevra di assoluzione e di condanna, carnefici e pedine sulla scacchiera bianca e nera della storia (e della Storia) più che veri giocatori nella stessa partita.









Su tutti spicca ovviamente la figura di Edda, vittima e complice, presa a schiaffi dalla vita, da Battaglia e da Ciano, ma in fondo a suo modo compiaciuta della sua volontaria degradazione fino al perfetto finale alla Salomé di Wilde (già Medda l'aveva citata in un lontanissimo Nathan Never).



In questo, sorella della Morte nel primo Battaglia: violentata dal soldato che lei rende vampiro, ma (viene da pensare, dato l'archetipo di potenza assoluta) consenziente alla brutalità che subisce, in quanto in Battaglia genera un nuovo, perfetto servitore (nell'incipit di John Doe 1 di Recchioni, la morte poneva al suo servizio un macellaio del conflitto serbo-bosniaco, per fargli compiere il lavoro sporco e coprire i suoi buchi di bilancio: Battaglia parrebbe, non dichiarato, svolgere lo stesso compito).



Insomma, un fumetto "Unheimlich", come esclama un soldato austriaco nel Battaglia del '97, prima di essere massacrato. Ma indubbiamente affascinante nel suo essere deliziosamente retrò e al tempo stesso strettamente attuale, scorretto come le pubblicità d'Antan che va a citare.











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Chiudo con una riflessione a margine sul tema dell'Impiccato,

giusto per esser anch'io scorretto politicamente nelle mie riflessioni.



Premetto che, pur nel mio compiacimento ermetico, non credo che Walter Audisio fosse agli ordini degli Illuminati. Però, se impiccare Mussolini cadavere poteva aver senso nel simbolismo di quest'atto (si impicca, come Giuda, il traditore: questo l'uso simbolico delle alte gerarchie nei confronti di uomini d'affari fedifraghi, Calvi oppure no), appenderlo a rovescio "rovescia", tarologicamente, la vicenda.




 



L'Appeso dei tarocchi infatti non muore con questa pratica, ma riceve una iniziazione. I pali della sua forca, nodosi come manganelli fascisti, sono punti d'appoggio per la scala sefirotica richiamata dai simboli sui dieci bottoni, scala che l'appeso sta "salendo".



Non a caso l'Appeso era il nome dato dagli ebrei medioevali a Cristo, ovviamente in separata sede, con allusione finzionalità (per loro) della resurrezione. Così come il Pendu(lum) "risorge" nel suo rito paramassonico perché ovviamente non è mai davvero defunto.



E in fondo l'estrema umiliazione inflitta a Mussolini getta una luce nera non su lui, ma sulla Resistenza, e di fatto impedisce di chiudere davvero quella pagina, anche per la mancata assunzione di responsabilità di molti che erano dietro all'"Uomo solo al comando", l'Uomo della Provvidenza lasciato poi a sé (e Dio per tutti) quando le cose si sono messe male, come un Barbagli qualunque.



E mentre, sconfitto ancora una volta in effigie Mussolini, la nostra democrazia marcia trionfale nel suo settantesimo, non ci resta che attendere il prossimo capitolo delle avventure del nostro eroico camerata Battaglia. Nella speranza vana che non ci riguardino troppo da vicino.