Tutto quel Rosso







LORENZO BARBERIS.



Spoiler Alert sulla intera "Trilogia dei Colori".



Ho finalmente completato la "trilogia dei colori" di Cristiana Astori, regina dell'horror italiano originaria di Fossano.



Mi era subito piaciuto "Tutto quel nero" (2011), per il tema esoterico che lo caratterizzava in modo marcato, con più di un esplicitato rapporto con "La nona porta", film-romanzo esoterico per eccellenza



In seguito, avevo poi molto apprezzato "Tutto quel blu" (2014), col suo rimando alla fantascienza di Terminator e dell'Autuomo, perfettamente inseriti nella trama giallo-cinefila.



Mi ero però perso appunto "Tutto quel rosso", la "chiave di volta" intermedia della trilogia, uscito nel 2012, e che oggi, grazie a un amico, sono riuscito a leggere. La protagonista è ovviamente sempre Susanna Marino, studentessa di cinema coinvolta suo malgrado nel recupero di pellicole perdute e maledette: e come si comprende fin dal sottotitolo di copertina, "nel profondo del delitto", il riferimento è al celebre film di Argento, Profondo Rosso, girato appunto a Torino nel 1975, come molti capolavori del gran maestro dell'horror italico.



E dato che Torino, la capitale della magia europea, è lo sfondo delle avventure di Susanna, sembra inevitabile che si dovesse confrontare con Argento e col suo Colore per eccellenza, il Rosso sangue del suo film più famoso anche ai non appassionati del genere. Il confronto avviene con una tesi (ottenuta dal professor Rosselli, ulteriore rimando al "colore"...) su tale film, dove ovviamente nulla andrà per il verso giusto.



Il Giallo.



L'opera di Cristiana Astori si dipana come un giallo abilmente confezionato, con più di un rimando ai poliziotteschi anni '70: più che nelle singole situazioni (tipo il rocambolesco inseguimento centrale) è tutto un clima che viene richiamato, oltre precise citazioni che comunque, specie per i cultori del cinema di genere, sono comunque abbondanti.



Un riferimento più sotterraneo è anche ai "fumetti neri" dei '60-'70, che occhieggiano qua e là nelle case dei protagonisti del milieu cinefilo "controculturale" che Susanna bazzica. La caricaturale (ma, purtroppo, credibile) Torino corrotta in cui si muove Susanna richiama la Clerville di Diabolik, o ancor meglio le città di Satanik e Kriminal (citato a p. 119) di Magnus e Bunker. Personaggi estremi, un'alta-media borghesia con enormi scheletri dietro la mano di vernice del sepolcro imbiancato.



Alcune delle rare critiche che ho trovato online mettevano in discussione proprio tale "fumettosità" di certi personaggi: l'allitterante Steve Salvadori sembra un duro "formato Bonelli", Solange sembra una eroina di qualche manga gothicko... per paradosso, una certa caricaturalità, una certa marcata "eccessività" dei personaggi l'ho trovato invece un punto di forza, funzionale in parte a una certa ironia consapevole sul genere, in parte anche a un certo gusto satirico che percorre sottotraccia le tre opere.



Particolarmente gustosa ho trovato a questo proposito la satira (tramite ovviamente anche il citazionismo di pellicole a tema...) di un certo ambiente universitario, specie gli esclusivi collegi sparsi nella collina torinese, dove si forgia l'élite della città: nell'apparenza con l'indefesso studio sabaudo, nella realtà, spesso, con feste che poco hanno da invidiare a Eyes Wide Shut.



Ricordo ancora quando, giovane studente universitario nel 1996, nel cercare una sistemazione a Torino mi era capitato di parlare con il direttore - spirituale e materiale - di un simmetrico collegio religioso maschile che magnificava come quell'istituzione scegliesse il fior da fiore (nelle sue forbite e ardite metafore parlava, mi ricordo ancora, di "rose" e "roseto") e forgiasse tramite lo studio la classe dirigente. Lì avrei potuto entrare in contatto con la "nobiltà" cittadina: "Abbiamo perfino un giovane Agnelli che inizia l'università quest'anno", concluse ad effetto; ci voleva però una raccomandazione del vescovo. Ovviamente, rinunciai. Scoprii poi che, stando a voci dell'epoca, probabilmente false, lo studio dei giovani principi non era dissimile, a parti inverse, da quello delle Bloody Blondes del romanzo.



Il "Collegio Alda Merini", invece, è "il collegio dietro l'università" (p.29), che mi fa pensare a una citazione delle Rosine nella Via omonima (fondato inizialmente dalla mia concittadina settecentesca, Rosa Govone di Mondovì). Io finii poi nel collegio laico e pubblico situato nella stessa strada, l'Einaudi.



Tutti quei Barberis



E a proposito di note personali (ma non solo). Mi diverte molto la presenza di un mio omonimo (di cognome) anche in questo romanzo, come nel Blu. In entrambi i casi, curiosamente, è la figura decisiva per risolvere il caso.



Qui Sergio Barberis è l'orgoglioso proiezionista del Cinema Zeta, dove nel 1976 (il mio anno di nascita; forse anche quello dell'autrice, che è all'incirca mia coetanea) un incendio - immaginario - portò a una tragedia durante la proiezione di "Profondo Rosso": e tale evento, in cui lui è invischiato, lo porterà alla dannazione personale. Nel "Blu", invece, Davide Barberis morirà in un'altra proiezione "maledetta", in senso materiale. In entrambi i casi, questa morte è l'avvio remoto della catena dei delitti.



Viene ovvio il rimando alla proiezione "maledetta" per eccellenza, quella de La Chevre, a Torino, nel 1983, poco dopo il famigerato "Carnevale del Diavolo": ma non è noto che, proprio nel 1983, a Milano, vi fu un altra proiezione dannata in un cinema a Luci Rosse (tutto quel rosso, anche qui), come spiegato su questo forum dove morirono nuovamente diverse persone, anche se non le 64 della "scacchiera maledetta" di Torino.



"Un lontano sabato pomeriggio dell’83, a Milano, ci fu il tragico rogo di un cinema a luci rosse, l’ “Eros” di viale Monza, dove morirono almeno sei o sette spettatori in seguito all’incendio appiccato da una coppia di fanatici neonazisti (Abel e Furlan), assassini recidivi di lì a poco arrestati e condannati." si spiega nel forum: due proiezioni maledette dunque, come due sono le proiezioni dannate dei romanzi astoriani.



In entrambi i casi, la figura centrale è un Barberis: credo per quanto questo cognome evochi, in qualche modo, quasi un archetipo della "piemontesità".



L'Alchimia dei Colori.













Il piano più esoterico è però costituito dall'uso insistito del valore alchemico dei colori. Se il primo volume, il Nero, aveva un tema più "esoterico", nel Rosso troviamo invece con ancor più forza il tema dell'Alchimia.



Il frontespizio evoca Paracelso e la sua dottrina alchemica dei colori; oltre al Rosso e al Blu, che poi apparirà, egli fa riferimento anche al Giallo, colore che, se vogliamo, fa da "sfondo" alla trilogia. Se vogliamo, il Nero nigredico del primo volume è, proprio qui, contrastato anche dal "bianco", quello di Clara, "chiara", "bianca" vittima sacrificale dell'Albedo, e forse anche dell'Argento, evocato tramite il regista-simbolo sullo sfondo della storia.



Più avanti nel testo, appare la figura ricorrente di Gray Angel, "Angelo Grigio", un mago torinese che diviene nelle tre opere una guida ermetica per Susanna (il termine a volte è usate in ambito ermetico per indicare un angelo "neutrale" nello scontro tra bene e male che ha diviso le schiere angeliche). Gray spiega il Solve et coagula mescolando l'Alchimia con la Tarologia, evocando il valore alchemico e quindi non convenzionale di figure come la Morte (Nigredo) e il Diavolo (Rubedo) negli Arcani Maggiori. L'Albedo è da lui associata allo Spirito, che è "Argento vivo" mercuriale (p.142), quasi confermando l'associazione Albedo-Argento suggerita poc'anzi.



Solve et coagula.









Il Rosso è però soprattutto il colore del Sangue. Oltre a quello, ovvio, dei delitti, è il sangue dei riti "iniziatici" (e in verità banali) delle Bloody Blondes (Rosso e Giallo, anche qui). Marta, Iris e Lodovica (in sostituzione di Clara) si tagliano il palmo della mano in un "rito di sangue" che le affratella, e con cui "tagliano" (invano) la loro linea del Destino.



L'iniziazione forzata, falsa e illusoria, è contrapposta all'iniziazione "reale", avventurosa, di Susanna (simmetricamente come, nelle "Nove Porte", il protagonista Corso riesce dove i vari pseudo-iniziati falliscono).



Molte volte un progresso nell'indagine corrisponde infatti a una prova anche fisica, dove spesso la protagonista si ferisce. Per ritrovare ad esempio il diario di Clara (l'Albedo?) da cui parte l'indagine, a p.95 ("le erano rimasti graffi sulle braccia e lividi sulle ginocchia"...) o peggio fuggendo da una finestra per sfuggire dalla cattura da parte dell'antagonista, a p.165 ("Erano spilli, anzi, spilloni. Quelli che la signora Larcher aveva fatto sistemare sulle finestre contro i colombi. In quello spazio angusto si morse le labbra per non gridare, mentre gli aghi le trafiggevano la carne...").



Tramite questo percorso Susanna giunge alla fine a una maggiore consapevolezza, che è quella che si vede, in parte, in "Tutto quel blu". Come le insegna Gray Angel, impara a "dominare il Rosso" e non esserne dominata.



La Trilogia del Colore.



Curioso notare che, in perfetto parallelo con l'opera dell'Astori (e in modo indipendente l'una dall'altra) viene creata una simmetrica e, purtroppo, più celebre "trilogia del colore" da parte dell'autrice E.L.James, che inizia sempre nel 2011 con le famigerate "Cinquanta sfumature di grigio". La James continuerà con Nero e col Rosso, e personaggio centrale è appunto Gray, qui non alchimista ma Padrone BDSM all'acqua di rose: comunque sempre trasversale (mediocre) mentore della protagonista.



Il parallelo è, sia ben chiaro, per contrasto, per antifrasi: se la trilogia della Astori sembra rivitalizzare il genere giallistico italiano con una iniezione della vitalità del thriller, dell'horror, e anche di un certo retrogusto esoterico, la trilogia della James sembra ideata per de-potenziare l'immaginario di Sade che era tanto caro, per la sua forza dirompente, ai surrealisti.



Un percorso simile alla "distruzione programmata" del mito vampirico operata da Twilight: e non a caso il ciclo della James nasce come "riscrittura" di Twilight. Un'edulcorazione che va oltre le necessità del prodotto di cassetta, introducendo elementi de-potenzianti del mito come, in Twilight, lo scintillio dei vampiri.  O, prima ancora (stando all'Alan Moore di "Century": io sospendo il giudizio...), l'oggettivo "de-potenziamento" del mito magico tramite Harry Potter.



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Se vogliamo, una fonte (inconscia, penso: ma forse proprio per questo più forte) della Astori può essere il celebre Libro Delle Tre Scritture (1274) di Bonvesin de la Riva, il modello lombardo della Divina Commedia, che presenta il Libro Nero dell'Inferno, il Libro Rosso della purificazione tramite il sangue di Cristo, e il Libro Dell'Oro (alchemico?) del Paradiso.



Dante non adotta esplicitamente la tripartizione alchemica, ma il nero predomina nell'inferno (associato al rosso, colore di trasmutazione come ricorda Gray Angel...), il Purgatorio si associa al Rosso della fiamma e del sangue penitenziale (fuoco infero, ma anche fuoco del Sacre Coeur graaliano); e il Paradiso si associa all'Oro (in Dante, la Luce), come da tradizione bizantina.



Negli stessi anni di Dante, Giotto sostituirà poi all'Oro dei cieli a mosaico il più realistico Blu dei suoi affreschi; e quindi la trilogia del Nero, del Rosso e del Blu segue abbastanza fedelmente il trittico suddetto, con una progressiva crescita di consapevolezza dell'eroina.



Non credo, ripeto, sia una citazione voluta: ma allo stesso tempo gli archetipi junghiani, che si diffondono in modo inconsapevole nell'immaginario collettivo sono proprio per questo più forti: e Cristiana Astori mi sembra particolarmente brava a catalizzarli.