Dylan Dog - Reality Show / Autoscatto





LORENZO BARBERIS



(Spoiler alert, as usual)



Personalmente seguo solo la serie principale di Dylan Dog, per un problema più che altro di spazi. Questo superbook offre però una interessante combo del 2010 di quattro autori che mi piacciono: Medda con disegni di Piccatto, più una breve di Marzano con disegni di Dell'Agnol.



Reality Show.



La storia di Michele Medda è lo speciale di quell'anno 2010, dedicato appunto al tema dei Reality Show. Storia interessante, anche per il tentativo di modernizzare Dylan con un rimando all'attualità, prima dell'attuale rinascimento dylaniato sotto l'egida di Recchioni. Del resto Recchioni stesso, nel 2012, farà una variazione sul tema personalissima (totalmente diverso l'approccio) omaggiando i Talent Show.







Curiosamente, la TV (da sempre un tema dell'horror dylaniato, da Canale 666 in poi) è di nuovo protagonista in edicola con la ristampa deluxe di "Istinto omicida" (227) di Masiero che esce proprio in questi giorni.



La cover di Stano, comunque, come pure quella di Villa per la ristampa (qui sotto) è decisamente depistante: e se c'è una poltrona-confessionale nella casa, l'omicida armato di ascia è al limite un concorrente sbroccato a un certo punto della storia, non certo questa sorta di Boia-chi-Ninja ripreso pari pari da Villa (con tanto di doppio facepalm di Dylan, più che giustificato).







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Ma veniamo alla storia di Medda, perfettamente servita dai disegni di Luigi Piccatto (qui adiuvato da Sommacal). La storia è basata su un rovesciamento finale molto classico, tutto sommato attendibile, basato su una rilettura moderna e, come al solito in Medda, ironica dei classici, come "Giro di vite" di James o la trasposizione filmica di quest'ultimo in "The Others".



Tuttavia il punto non è la sorpresa, ma l'apprezzamento della declinazione di un grande classico.



Il corvo psicopompo che incontra Dylan ricorda molto Robin Goodfellow nelle Celtiche di Corto Maltese, con Dylan molto simile nel tratto di Piccatto, qui, a quel Corto, ma ovviamente senza la maturità a-storica del Maltese.









L'entità che domina la casa stregata dell'Unreality Show, Baboomba, cita il video di Zucchero del 2005, in un simpatico stile a cartoon, ma è ovviamente un riferimento all'urto iniziale che dà il la a tutta la storia.



I personaggi sono poco approfonditi e stereotipati, ma in questo caso è ovviamente un pregio: sono tali perché devono esserlo, simbolo delle vuote macchiette a cui sono ridotti gli eroi del Reality.



Gli uomini si dividono ne Il Dandy (Jonathan), Il Forzuto (Taricone, buonanima, che era però decisamente più intelligente e consapevole), Il Simpatico (Fedro).



Le ragazze invece sono le due Belle (la Bionda e la Mora, ridotte al fatto fisico, con maggiore de-umanizzazione: la Bionda, da consuetudine, più stupida) e la "Bruttina", ovvero lievemente meno appariscente, con immancabili occhiali, a cui è concesso avere un po' più di personalità.



A p.56, Medda ci svela (dopo averci mostrato il Corvo che continua a sorvegliare i nostri) l'elemento a sorpresa finale, come cogliamo confrontando la tavola con p.15. Il pazzo che mangia un topo, del resto, cita "De Profundis", l'unico, parodistico Dylan Dog regolare di Castelli (non a caso, forse, prima Dylan è confuso con Martin Mystere).



A p.61 vediamo invece il pubblico dello show, costituito dai matti del manicomio, cosa che rende logico che Dylan sia il vincitore alla fine da loro prescelto, il loro campione tra i "normali".



Il reality prosegue con le eliminazioni, che ne confermano la natura da giallo-thriller alla "Dieci Piccoli Indiani" (o, in Dylan, "Sette anime dannate": e gli ospiti del Reality sono appunto sette, Dylan incluso).



Sul finale, dopo lo "spiegone", qui in una insolita cornice di dialogo religioso tra medico e sacerdote, vi è l'apparizione della immancabile Morte che si congratula sarcasticamente con Dylan, svelando in fondo come anche lui, in quel grande reality che è il Reale, sospeso tra Vita e Morte, in fondo lotti per vincere, pur fingendo, "alla Nanni Moretti", disinteresse per il grande spettacolo.







La Morte dylaniana, che avrebbe figurato forse meglio in cover rispetto al Ninja armato di ascia, ritorna poi due anni dopo in una storia dove è assente (come archetipo personificato), quella appunto di Recchioni che dai reality passa ai talent. La stessa morte, probabilmente, che ha dichiarato in Medda di amare l'uso di Dylan quale "ospite famoso" nei suoi show deliranti dell'aldilà.



Autoscatto.







La storia di Giancarlo Marzano è tratta dal gigante dello stesso anno 2010 (la cover va però a una Seline in versione vagamente sadomaso), e si avvale dei disegni di Piero Dall'Agnol, latitante sulla serie regolare prima del recente Rinascimento che l'ha visto tornare con due storie.



Anche qui, il tratto di Dall'Agnol si sposa perfettamente con la storia surreale di Marzano, che ricorda nell'idea di partenza i Langolieri di King. La storia nel suo complesso è perfettamente simmetrica a quella di Medda: anche qui infatti, in modo più sotterraneo, ma abbastanza evidente, si ironizza sull'orrore della contemporaneità utilizzando le modalità del fantastico classico (e con i disegni di autori dal tratto forte e personale).



Medda, con Reality Show, esplicita fin dal titolo il pretesto della satira; Marzano, invece, ci parla sotterraneamente di Facebook, strumento usato dal riparatore per alleviare la sua solitudine. "Incollavo le foto trovate su di un albo, e poi davo un nome a quei visi sconosciuti. Era il mio modo di fare "amicizia" con loro": un Facebook, dunque, nell'accezione originaria del libro del liceo, che ha ispirato il social network. "Più amici collezionavo, meno mi sentivo solo" confessa il patetico ometto, che nel finale invidia Dylan e la sua superficiale compagna di storia (mancava solo "Dailan" ed eravamo dalle parti di Dopo Mezzanotte) immaginandoli una coppia felice come il migliore stalker da social.



Insomma, germi di quella innovazione che sarebbe esplosa col Rinascimento Dylaniato: solo che, ovviamente, quello che qui era sussurrato, accennato, alluso (forse anche per salvare capra e cavoli, lettori tradizionali e innovazione), nel nuovo corso è diventato il più manifesto possibile.



Naturalmente, ai fini del successo di vendite, la nuova comunicazione premia decisamente di più. Ma questi esperimenti dell'epoca appena trascorsa di Dylan, in mezzo a storie più anonime, sono forse altrettanto interessanti.