Intervista con Stefano Cutrì.


A CURA DI LORENZO BARBERIS

(Pubblico qui, in anteprima, una intervista che uscirà per "Margutte", la rivista letteraria - specialmente di poesia - con cui collaboro curando le pagine d'arte. Per la prima volta mi sono cimentato nell'intervista a un poeta di cui mi erano piaciute le liriche, "urbane" e post-moderne il giusto, come piace a me. Questo che segue il risultato...)

Penzolano rami d’edera
lacrime vegetali attratte verso il nucleo
fitte si muovono
trasformate in scie di luce da un finestrino in movimento
e poi qui, bunker, tu ciondoli su origami di carta
impressi sull’asfalto, grigia metafora del mondo

Presentiamo qui alcune liriche e un'intervista a un giovane scrittore torinese, Stefano Cutrì (sua è la lirica di apertura, e quelle che seguono) autore di liriche urbane che disegnano come vedremo la sua Torino, una delle "città invisibili" che la compongono, filtrata dalla sua visione poetica.

*

Nelle facciate dei palazzi

scorgo volti abbozzati di finestre
Enormi golem ingoiano le umane genti
proteggendole

*

è una retta industriale
il paesaggio che circonda la mia sigaretta
notturno il cielo sopra i capelli
un serbatoio d’acqua poggia su scheletriche zampe cementifere
vigilano alte finestre, figlie dell’epoca del vapore

*

Sopra pietre deboli

viviamo, tremano spaventate
immerse come stazioni petrolifere
entro il tempo

*

Sei cavalli davanti al fumo della mia sigaretta

sotto portici illuminati/da temporali di luce.
mormorio alle mie spalle

*

Agosto/vene di cemento a cielo aperto

prive quasi del tutto dei loro globuli bipedi
trasfusi in capillari di sabbia e rocce.

*

Cominciamo con una domanda ovvia, ma in qualche modo necessaria. Come nasce il tuo avvicinamento alla letteratura, alla poesia?

Mi sono avvicinato alla letteratura verso i dodici, tredici anni, dopo aver letto La Spada di Shannara di Terry Brooks, primo romanzo di un grande ciclo fantasy. E anche grazie alle lezioni di letteratura in seconda e terza media in cui prendevo tantissimi appunti e che mi hanno trasmesso la voglia di cimentarmi con la lettura della vera letteratura, impresa che all’inizio si rivelò non facile (ricordo benissimo il giorno in cui, assente da scuola per influenza, mandai in spedizione mio padre per farmi comprare Anna Karenina, l’emozione dell’attesa e la frustrazione per la difficoltà di superare le prime tre fitte pagine del romanzo che la mia mente non ancora pronta faceva fatica a decifrare).

Allo stesso modo l’interesse per la poesia nacque in quel periodo grazie a Pascoli e Quasimodo, ma si è consolidato alle superiori alle I.T.I.S. Avogadro durante il triennio di specializzazione e sempre durante le lezioni di letteratura durante le quali ebbi modo di scoprire in maniera più vasta Leopardi, nel cui pessimismo mi ritrovavo e un po’ mi ritrovo ancora, Foscolo per la sua meravigliosa A Zacinto e poi ancora Ungaretti e Montale la cui strofa finale di Meriggiare pallido e assorto trovo geniale:

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

shannara
La spada di Shannara

La forma scelta è solitamente quella di una poesia molto breve, essenziale. Un riferimento alla tradizione dell’ermetismo, o piuttosto un rimando alla filosofia zen degli Haiku?

Entrambi, come ho detto mi sono appassionato di Ungaretti e Montale, ma non solo: anche di Quasimodo, Verlaine e Mallarmé. Trovo interessanti gli usi che fanno delle parole attraverso le quali indicano qualcos’altro, capaci di creare forti immagini.

La parte degli haiku è legata alla loro brevità, sebbene, come si può ben vedere, non rispetti la loro classica metrica. Questo non vuole essere un gesto d’offesa, ma penso che ci si possa permettere un minimo di libertà in più a livello di regole. Ad ogni modo ho iniziato a leggere haiku classici, ma la vera illuminazione l’ho avuta con gli American Haiku  di Kerouac, scrittore che amo molto (I vagabondi del Dharma lo trovo sublime) ed è stato in particolare l’haiuku leggendo i suoi ho realizzato che si potevano adattare alla propria cultura, il primo che ho scritto, mi venne in mente mentre stavo guidando una sera fu:

brucio sere in gocce e note
come rotoli di magnesio intorno
a un faro.

(note ha una doppia valenza indica si la musica, ma anche nello slang torinese i tiri di sigaretta)

SuperMarioLand
Super Mario


Quali sono, se li hai, i tuoi riferimenti poetici e letterari (ma anche, perché no, tratti dal fumetto, dal cinema, dal videogame...)?

I riferimenti sono un sacco: passano dagli ermetici, come detto prima, a Hemingway - nel tentativo di rendere i versi secchi e con le giuste parole - passano anche per la cultura pop (in un haiku paragono la luna all’uovo di Yoshi, il dinosaurino di Super Mario), cerco anche di farmi suggestionare dalla musica, ma con scarsi risultati, perché più che l’udito, quello che mi da ispirazione è principalmente ciò che vedo intorno a me e ciò che leggo.

*

Hai forma d’uovo luna

questa notte, uovo di Yoshi
incastonato nella buia
materia siderale

*

lisboa
Lisbona

Al centro delle tue poesie c’è spesso una città. Si tratta della Torino reale, sia pure ovviamente riletta nella poesia, oppure è il rimando a una o più “città invisibili”, simboliche?

È proprio Torino, città in cui vivo e sono nato, in cui amo camminare e osservare, è presente anche un’altra città in alcune poesie ed è Lisbona, in cui ho vissuto dieci mesi, dove ho lasciato parte di me tra quelle strade e il nuvole che corrono, dove non ho vissuto abbastanza e dove vorrei tornare (sotto, due esempi di liriche "lisbonesi", NDLB).

*

ai piedi del castello tra antichi tentacoli lusitani

immobile come le sue mura
cullato dal sole il vento e suoni stranieri

*

la fala lusitana borbotta alle mie spalle

i tetti collinari davanti agli occhi
lo stordimento alcoolico riporta le due metà a loro agio

cabiria
(Il golem di "Cabiria" di Pastrone, girato a Torino nel 1912)

Nelle tue liriche ricorrono anche riferimenti a “golem”, “guardiani” inquietanti e protettivi al tempo stesso. Cosa rappresentano questi nella tua poesia?

Esseri superiori che, come hai scritto tu, ci proteggono: ma non sto parlando di angeli e non c’è nessun discorso religioso dietro, o meglio non strettamente cattolico. Intendo in questo caso la natura stessa, la Terra, intesa come nell’Antichità, come la intendevano Alberto Caerio, Ricardo Reis e la Mitologia.
ginsberg
(Allen Ginsberg, foto d'epoca)

E per finire, as usual, uno sguardo al futuro: quali sono le prospettive future della tua ricerca poetica?

Bella domanda a cui sinceramente non so proprio cosa rispondere, vorrei perfezionare il mio modo di scrivere e sondare il terreno delle poesie più lunghe, perché a volte mi rendo conto che alcune cose che voglio esprimere non sono efficaci con poche parole. Mi piacerebbe omaggiare L’urlo di Ginsberg.

*



Non mi resta quindi che ringraziare Stefano Cutrì per la disponibilità dimostrata, in attesa di poter leggere qualche suo altro contributo, magari sull'Urlo di Ginsberg, che noi Marguttiani amiamo particolarmente.

Foto di copertina: Urfaut, "Vertex Shader" (2015), per gentile concessione dell'autore.