Intervista a Barbara Baraldi










LORENZO BARBERIS


L'ultimo Dylan Dog in edicola (il 348) ha ottenuto un notevole successo nella risposta del pubblico, ma anche (cosa piuttosto rara in Italia per un fumetto, specie se seriale) nelle pagine culturali delle principali testate italiane. Il motivo - giustificato - di questa attenzione è l'esordio sulla serie regolare di Dylan Dog della regina dell'horror Barbara Baraldi, autrice della fortunata saga di "Scarlett".


     

Devo ammettere che la storia mi ha particolarmente colpito: ho così chiesto all'autrice un'intervista con cui approfondire alcuni aspetti dell'albo in questione, e lei è stata così gentile da accettare. Qui il risultato della nostra conversazione. Da esaminare, ovviamente, dopo la lettura dell'albo.



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Cara Barbara, il tuo primo albo regolare di Dylan Dog si è svolto in collaborazione con un maestro come Mari, in un incontro particolarmente riuscito di atmosfere decadenti evocate da testi e disegni. Ci sono altri autori con cui ti piacerebbe collaborare alla creazione di nuovi incubi dylaniati?




Quando Roberto Recchioni mi ha chiamato per dirmi che aveva assegnato Nicola Mari alla mia storia ha detto che da tempo aveva il sogno (o l’incubo) di far incontrare le nostre due “oscurità”. Io e Nicola siamo entrambi fan di Miriam si sveglia a mezzanotte, e abbiamo un background musicale sorprendentemente affine. Conoscevo Nicola solo attraverso la sua arte e poter collaborare con lui è stato un regalo grandissimo. Sono entusiasta al pensiero che Nicola sia già al lavoro sulla mia prossima sceneggiatura, una storia che racconta degli incubi del rock’n roll, con Dylan ventenne coinvolto in una goth band a metà tra i Ramones e i Bauhaus. Rimanendo nello stesso ambito, confesso che mi piacerebbe incontrare l’oscurità di un altro autore iconico della serie come Corrado Roi. E poi… be’, c’è Gigi Cavenago, che adoro, a cui è stata assegnata una mia storia per il Color Fest ma che al momento è troppo preso da altri progetti per mettersi al lavoro. Quindi il mio vuole anche essere un appello: liberate Gigi, così che possa dedicarsi alla mia storia!






La storia dimostra una grande padronanza del cosmo dylaniato, anche tenendo conto che si è trattato del tuo esordio sulla serie regolare. Qual è il tuo rapporto con Dylan prima di questo incontro come autrice?




Ricordo il giorno in cui, da bambina, mi sono intrufolata nella soffitta di casa dei miei e ho scoperto gli scatoloni di fumetti di mio padre tra i quali spiccavano Tex, Diabolik e Alan Ford. È stato quel giorno che mi sono innamorata della “letteratura disegnata”. Da adolescente, l’incontro con Dylan. Dylan Dog è stato il primo fumetto che ho comprato con i soldi della paghetta, con Dylan mi sono spaventata, mi sono commossa, ho provato empatia per i “mostri”. Credo che uno dei punti di forza del personaggio sia la molteplicità delle sue anime. Come gli infiniti universi paralleli evocati in tante storie di Tiziano Sclavi, esistono infiniti Dylan e Il “mio” Dylan è uno di noi, una persona normale – quinto senso e mezzo compreso – in grado di affrontare situazioni eccezionali. Un eroe romantico, che come ogni eroe romantico è alla ricerca di qualcosa che, forse, non troverà mai.









Pur essendo anche sceneggiatrice, la tua matrice è forse soprattutto quella dell'orrore letterario, con "Scarlett" e altre cose. Quanto ha inciso nell'approccio alla "scrittura disegnata" del fumetto?



Quando scrivo procedo a visioni, sia che si tratti di un romanzo o di una sceneggiatura. È come se le immagini scorressero davanti ai miei occhi in un susseguirsi incalzante al punto che, a volte, fatico a starci dietro digitando sulla tastiera del portatile. Sono così vivide che mi sorprendo a spaventarmi o a commuovermi durante la scrittura. Nel caso della sceneggiatura devo descrivere la scena al disegnatore, ed è incredibile la sintonia che ho trovato con Nicola. Lui è in grado di fondere le mie visioni con la sua personalissima estetica, imprimendo alle immagini la stessa forza di un’apparizione durante un sogno, anzi… un incubo.






Il tuo orrore dylaniato è per molti versi molto classico; hanno influito in qualche modo il "nuovo corso" e le sue trasformazioni in questa storia?




La mia visione del nuovo corso di Dylan passa attraverso il recupero di un certo tipo di atmosfere “sclaviane”, che a suo tempo mi fecero innamorare del personaggio. Parlo dell’orrore com’era inteso negli anni Settanta o Ottanta, soprattutto quello cinematografico, in cui registi visionari come Argento o Carpenter suggerivano nuovi modelli estetici attraverso la paura. Il mio background cinematografico è lo stesso del “Dylan d’annata” (quando il primo albo è stato pubblicato Profondo Rosso aveva appena 10 anni); le mie fonti di ispirazione sono il cinema di genere italiano, quello di maestri come Bava e Margheriti, su cui si staglia l’ombra lunga del grande Hitchcock, ma anche il noir degli anni Quaranta, il cinema muto, l’espressionismo, mentre in ambito letterario i miei punti di riferimento sono il gotico ottocentesco di autori come Edgar Allan Poe e Carolina Invernizio. Ho apprezzato il fatto che Roberto Recchioni abbia chiesto a ognuno degli autori della testata di esprimere la propria visione dell’Indagatore dell’Incubo e in questo credo consista la più grande vittoria del “Dylan Fase 2”: mettere in luce (e ombra) le diverse anime del personaggio, interpretarlo piuttosto che limitarsi a seguire le linee guida di ciò che Dylan è stato fino a oggi.







Come molti dei migliori Dylan Dog, la conclusione è aperta: può sembrare che Anita in realtà uccida alla fine l'assassina, mostrandosi complice, e non solo vittima, dell'Ombra che la avvolge. Qual è la lettura corretta, se c'è e se vuoi dirlo: solo vittima, o (anche) carnefice?



Non credo ci sia una lettura corretta… Anita Novak è una dark lady a tutti gli effetti, e come tale la sua natura non può essere completamente decifrata. L’incidente in cui ha perso la mano destra l’ha segnata profondamente nell’anima, non solo nel corpo, sprofondandola in uno stato allucinatorio costante con cui deve fare quotidianamente i conti. Dal mio punto di vista, questa sua “vicinanza” all’Oscura Signora la rende una sua complice involontaria.



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Non mi resta dunque che ringraziare davvero di cuore Barbara Baraldi per la gentilezza e la disponibilità dimostrata, nell'attesa delle sue prossime prove dylaniate, che da quanto ci ha anticipato si rivelano davvero promettenti.