Dylan Dog 352 - La calligrafia del dolore







LORENZO BARBERIS





Spoiler Alert: analisi passo passo. Leggere prima l'albo.





Dopo l'exploit di Ratigher a inaugurare il primo numero post-350, il 352 vede una storia di Cavaletto, interessante autore torinese che avevo anche intervistato qui sul blog. Di recente, in ambito horrorifico, Cavaletto ha avviato una sua serie molto disturbante, "Paranoid Boyd" (vedi qui), mentre su Dylan Dog predilige un orrore decisamente classico, anche in questa storia che è la prima scritta per la nuova fase, dopo che vi è stata una maggiore possibilità sperimentale col "Rinascimento Dylaniato".





Del resto, se in superficie lo stile di Cavaletto è molto classico, è da sempre post-moderno in modo sottile, con una riscrittura insita alla storia celata tra le righe del testo, come implicito anche, ad esempio, nel recente Old Boy n.25 (vedi qui). Old Boy e New Dylan corrono in mondi paralleli, dove spesso si costruiscono corrispondenze tra storie: e là, come qua, si crea un mistero basato su oggetti maledetti (una spada nipponica nel classico, una penna maledetta qui: quasi un gioco sul fatto che "ne uccide più la penna che la spada", parallelismo che per certi versi ricorre anche nell'albo).














Un'altra curiosità, a partire dalla copertina di Stano, è che viene molto richiamata la 326, una storia di Enna su tatuaggi maledetti. La seconda del Nuovo Corso (dopo la 325 di Ambrosini) e quella immediatamente precedente al 327 di Cavaletto stesso, la sua storia precedente sulla regolare. Forse una pura coincidenza, ma comunque curiosa.





La storia (ben illustrata dallo studio di Piccatto, qui affiancato da Giulia Massaglia, Renato Riccio e Matteo Santaniello) introduce fin dalla prima vignetta (5.i) la strana stilografica del notaio, che già dalla cover capiamo essere l'oggetto centrale con cui vergare la "calligrafia del dolore". Curiosa l'iscrizione, "Sine Sole Sileo", "Sono silente senza sole", solitamente associata alle meridiane: appare probabile che il rimando, come vedremo, sia al fatto che, senza colui che la impugna (e che diviene a quel punto, per la penna, il "Sole") la penna non può nulla.










Goldfinch firma, e con la sua firma "appone il sigillo" ("witness my hand and offical seal") alla sua condanna. Il nome rimanda a un tipo di uccello (ma anche a un dipinto famoso e a un recente romanzo dedicatogli) e comunque, col richiamo al Gold(finger?) bene richiama l'idea di antipatica ricchezza che i personaggi sprigionano fin da subito. 





Fino a qui tutto bene: il notaio Calloway (Callous Way, "un metodo spietato"?) è, tra l'altro, appassionato anche di galeoni, sembrerebbe (6 iii,v) e comunque non è il titolare dello studio (che appartiene invece - in origine? - a tale McNeal, 7.iv: lui sarà uno degli "associates").





Mooncaster, la dimora maledetta venduta con la transizione, finisce così nelle mani di Diane, vecchia fiamma di Dylan, che anch'ella rimanda nel nome alla dea lunare (to cast the moon-child, come direbbe Crowley?). Interessante l'insistenza ossessiva sulle "dita lunghe e fredde nel cuore", che potrebbe quasi apparire un rimando al puntale della penna argentea, oltre che a quella della lama rituale che, sacrificalmente, le trapasserà il cuore (ne uccide più la penna che la spada, appunto).







Come già ne "Il cuore degli uomini", e forse in modo sotterraneamente ancor più radicale, Dylan appare ossessionato dal suo dongiovannismo, quasi una dipendenza che ha sostituito l'antico alcoolismo (p.16).





Il nuovo corso permette a Cavaletto addirittura un ambiguo desiderio di Dylan per una minorenne, in 19-20 e poi in 24-25 (una scena di questo tipo venne censurata, ai tempi, nel n.3) con il riapparire di quell'onirico lovecraftiano che aveva rispolverato John Ghost (e che è divenuta la recente, fruttuosa fissazione di Alan Moore, tra l'altro) e che si associa a un po' di splatter più del vecchio standard. 





Tuttavia, questo mood lovecraftiano (che tornerà negli altri scenari) amplifica l'ossessione già presente, nel caso specifico la gelosia di Mark, malcelata sotto la patina da uomo di mondo.





Sopravvissuto (è escluso dalla follia omicida di Mark, forse per mediazione delle energie che lo animano), Dylan rinviene a Chatham, nel Kent, portatovi dalla vicina Carlisle (altra reale città, e anche il vampiro di Twilight: ma Cavaletto esclude questa connessione). 





Un mese dopo inizia a indagare: la casa è in vendita da parte di un'immobiliare dal simbolo abbastanza iniziatico-piramidale (p.34), e Lord Mooncaster, che vive a Penrith (il Regno Unito dylaniato di Cavaletto è piuttosto preciso nelle notazioni geografiche, e Penrith, al di là di altro, fa pensare a Pen-Rite, "il rito della penna") e si rivela un vecchio ambiguo e inquietante sotto la superficie di un pietismo superficiale.





Anche il nuovo delitto, comunque, appare ispirato da conflitti latenti e rivela notazioni lovecraftiane che non vengono chiarite ufficialmente dalla conclusione (vedere la bella semi-splash in 52.iii), ma consente a Dylan di trovare un nesso tra i due delitti, oltre che una nuova cliente nella persona di Anne Fletcher (cognome adeguato, data la fine fatta da chi le sta intorno...).





Dylan arriva così al cospetto di Calloway (che si dichiara subito legato a un coté esoterico, se ancora vi erano dubbi, in 59.vi: "La penna è come la bacchetta del mago", ricevuta da una tradizione di famiglia).





A p.62, una nota della consueta continuity, col prevedibile ritorno di Irma dal cloud, in un nuovo corpo tecnologico (a tale proposito, invece, Carpenter a p. 54-55 continua a deludere, come al solito).













Cunningham, il collezionista, con cui Calloway si era scontrato, è anch'egli un ricco decaduto come Mooncaster, il quale aveva basato il suo impero sulla penna "Sine Sole Sileo", acquistata a caro prezzo in un classico bric-a-bracque esoterico. Una sorta di "Numero Uno" di Paperone, insomma, ma in fondo più specifica, perché con la penna l'uomo d'affari e di legge "fanno succedere cose" secondo il principio fondante della magia (73,ii, da questo profilo, è rilevante).





Egli quindi - riportata alla mente l'antica ossessione - si uccide nell'identico modo di Mark (cfr. 31 / 74), pugnalandosi in gola e ripetendo "Sine Sole Sileo", quasi una formula magica, un Sei-Sei-Sei che lega la penna al suo "mago". 





Il terzo evento presentato nell'albo è avvicinato al ritualismo massonico (77.iii), e nello scontro finale (in sé prevedibile) con Calloway ritornano elementi lovecraftiani. Anche qui, l'avvento del Cerbero evocato è probabilmente onirico, e spinge gli eredi a eliminarsi a vicenda assecondando nuovamente i conflitti già presenti.





Dylan risolve il caso in modo molto approssimato, come lui stesso ammette, senza scoprire, ad esempio, tutto ciò che, in continuity, l'avrebbe potuto far pensare a John Ghost (e anche l'aiuto di Irma, molto sintetica sul notaio, può essere ambiguo). Insomma, una storia "aperta", come tipico nella calligrafia, appunto, di Cavaletto. 





La penna "è una penna come tante", afferma Calloway (86.i), è lui che la usa "per fare giustizia". 


La maledizione quindi potrebbe appartenere ai luoghi (portali lovecraftiani?), più che alla penna stessa, come percepito anche dalle vittime sacrificali. 





Calloway e la sua "calligrafia" potrebbero quindi essere il vero strumento per scatenare l'inferno (magari anche con un rimando alla Call of Chtulu e similari): assegnando, per ordine dei "superiori sconosciuti" che reggono la nuova Inghilterra dylaniata di John Ghost, dimore maledette a qualcuno che va eliminato per i superiori fini dell'Ordine. 





Ovviamente, la "dimora per il recupero dei tossicodipendenti" del "buon" Mooncaster appare più che altro una gigantesca camera rituale per offrire menti deboli e condizionabili a qualche orrore di Dunwhich di passaggio. 





Naturalmente, lo stesso Dylan (qui debole, come al solito nelle ultime storie, e ancora una volta sconfitto nel caso investigativo) ha ricevuto "in dono" la sua stessa casa: non stupirebbe un collegamento tra benefattori lovecraftiani, magari tramite le classiche scatole cinesi affaristiche. 





Ma tutti sono in qualche modo condizionati dalle proprie ossessioni, in questa storia: Mark stesso è un collezionista (p.7: non ci viene chiarito di cosa), Anne è ossessionata dai motori, Calloway dalla penna stessa, e dalle stilo in generale, Cunningham è un collezionista compulsivo.





In quanto a Dylan, che pure nega il collezionismo (p.60), potrebbe essere vincolato al suo dongiovannismo, che lo spinge, inconsciamente, a collezionare donne come oggetti. 


Una posizione insomma perfino più pessimistica di quella de "Il cuore degli uomini", la riscrittura a mio avviso più radicale del nuovo corso, più del pensionamento di Bosch e l'arrivo di Irma.





La penna della cover, quindi, è solo uno strumento, magari magico, che in qualche modo amplifica il rituale che, nella sua essenza, è l'atto notarile stesso. Nello spezzarla Anne ha irritato il mago-collezionista (anche lui ormai vittima della sua penna-bacchetta: è lei che sceglie il mago, e non viceversa, diceva qualcuno), ma non avrebbe probabilmente spezzato del tutto il suo potere rituale; adirato, Calloway cerca quindi di accecarla (come in copertina capita a Dylan) per rabbia e forse per rinsaldare, col sacrificio, la forza della penna.





Anche Anne comunque non sfugge, nel finale, al "potere della firma", e acquista l'auto targata "DY" che già inconsciamente l'ossessionava: e forse non è un caso, ma una conseguenza del suo essere entrata in un gioco più grande di lei.





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Questo in sostanza è quanto mi ha ispirato la lettura dell'albo. Ma, come spesso con Cavaletto, non sono mai del tutto soddisfatto, e non escludo che l'autore abbia celato qualche altro dettaglio nella sua struttura narrativa. Nel caso, magari, tornerò ancora in seguito sull'analisi soprastante: oppure, come Dylan, accuserò la fase di stanca e mi arrenderò al grande complotto lovecraftiano.