Paranoid Boyd 2 - Il lupo sulla soglia





LORENZO BARBERIS.



Spoilers alert, as usual



Uscirà a fine gennaio il secondo episodio per Paranoid Boyd, la ministerie ideata da Andrea Cavaletto di cui avevo già recensito il primo numero.



"Il lupo sulla soglia", la prima parte di quest'albo, è ben illustrata dal segno minuzioso di Matteo Pirocco in una griglia italiana regolare ma con sporadiche variazioni, specie nell'uso ad effetto della splash page, già presente nel primo numero della serie.



La vicenda comincia introducendoci a una borghesia sottilmente bigotta ma non priva di qualche segreto occulto inconfessabile, tra icone, pale d'altare e una particolare insistenza sul San Giorgio e il Drago, che ritorna tre volte nelle prime tre tavole dell'albo (1.ii, 2.iii, 3.iii).



La confraternita infatti, intrisa di simbolismi cristiani (crocifissi e Madonne, ma anche San Sebastiano), non manca di una certa eterodossia che suscita un certo sospeso senso di inquietudine: a partire dall'anziana donna celebrante (nome piuttosto azzardato, vedi 5.iii....) ma non solo.



Ritroviamo quindi Boyd dove l'avevamo lasciato nel n.1, per una sequenza d'azione che si conclude col terrificante intervento del "lupo sulla soglia" del titolo, in orrifica attesa.



La splash page conclusiva a p. 15 è davvero impressionante, per il suo essere sintesi efficace dei due orrori che innervano Paranoid Boyd: l'orrore del reale e quello immaginario, qui con un penchant per il lovecraftiano.



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"Gli schernitori dell'ultimo giorno", seconda parte dell'albo, è affidata al segno elegante di Enrico Carnevale.



Anche qui si riallacciano varie sottotrame avviate nell'intreccio del primo numero, con le vicende della famiglia del protagonista. Marcata, anche qui, sebbene più dissimulata, la presenza della Croce (in più sensi, viene da dire): sul letto di ospedale di p.16, all'orecchino di Toby nella scena del bar susseguente.



Appare evidente la funzione di amaro sarcasmo che accompagna la persistenza del simbolo in uno scenario di cupa disperazione.



La citazione della Blavatsky, esplicitata in 22.ii, è svolta raffinatamente, con rimando ai Maestri Segreti della teosofia (che, dato il coté alla Lovecraft della serie, fa pensare al Libro di Dzyan che è una delle fonti degli orrori del maestro di Providence).



Omaggio abbastanza evidente, invece, in 24.ii, per "The trasparent woman", film thriller italiano in uscita nel 2015 (vedi qui, ad esempio).



L'ultima vignetta della stessa pagina fa entrare in scena di un colpo lo splatter (letteralmente), che caratterizza tutta la lunga sequenza di allucinata azione finale. L'effetto shock dello splatter è reso più forte dal fatto che fino ad ora non era apparso nella storia (che faceva ricorso più che altro a un orrore esistenziale affiancato a quello "lovecraftiano").



Uno splatter del resto molto disturbante, cosa rara nel fumetto italiano realistico e popolare, almeno a questi livelli: nella consuetudine degli anni '80, infatti, era attenuato in parte da un costante tono sarcastico delle storie, lontano dalla serietà cupa che domina qui; e nel fumetto più autoriale e sperimentale è attenuato dal "contesto", che ci fa attendere maggiormente un certo nichilismo nicciano.



La splash page finale dell'albo conferma il suo valore di effetto-sorpresa (già solo l'invenzione delle pistole, che conferma quanto detto sulla croce, vale l'intera scena finale) con un'immancabile chiusa a cliffhanger.



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Insomma, anche in questo secondo numero Paranoid Boyd si conferma un lavoro interessante, che per ora mantiene (ed amplia) le promesse del primo numero.



Le trame legate ai vari personaggi continuano a intrecciarsi e dipanarsi e se ne aggiungono di nuove (la setta "cristiana" che fa la sua apparizione all'inizio soprattutto). Questo tema di orrore esistenziale, molto cupo e radicale, si intreccia al sovrannaturale alla Lovecraft (che Cavaletto - casualmente? - riprende anche nel suo ultimo Dylan Dog, in edicola in questo gennaio 2016) e, da questo numero, a uno splatter molto radicale ed efficace.



"Paranoid Boyd" insomma si inserisce - in modo personale - in un recente filone fumettistico (ma non solo) che ultimamente sta riprendendo l'immaginario lovecraftiano esplicitandone la metafora, ovvero connettendolo a una descrizione dettagliata dell'orrore esistenziale quotidiano (che in Lovecraft è assente, o rimane al limite sullo sfondo). In letteratura è stato forse Thomas Ligotti il primo a cogliere tale chiave negli anni '80, seguito dalla riflessione critica di Houellebecq nel 1991. Ma di recente è stato Alan Moore, da "Neonomicon" (2010) in poi, a perseguire questo tipo di rilettura nel fumetto (e, in Italia, appunto, il nuovo corso di Dylan Dog, dal 2013). E il successo di "True Detective" (2014) ha portato questo tipo di connessione in un immaginario collettivo più ampio.



Paranoid Boyd come un intreccio di trame, di stili, di rimandi, insomma.
Come un viluppo di tentacoli, o ancor meglio di viscere attorcigliate su un pavimento.
Vedremo come Cavaletto saprà districare, nei prossimi numeri, questo horrorifico nodo gordiano.