Ancora un lungo addio.







LORENZO BARBERIS





Spoiler alert: annotazione passo-passo dell'albo.





E' uscito il nuovo, atteso inedito nella collana "I colori della paura".





La serie si era aperta con la rilettura da parte di Roberto Recchioni dell'Alba dei Morti Viventi di Sclavi, il primo albo della serie; qui Paola Barbato invece riscrive un altro grandissimo classico della serie, "Il lungo addio" (n. 74) di Sclavi e Marcheselli.





I disegni, invece che di Casertano, sono di Carmine Di Giandomenico, una delle eccellenze del fumetto italiano di oggi, che interpreta anche la copertina. Di Giandomenico aveva già ridisegnato una scena cruciale del Lungo Addio nel finale del Pianeta dei Morti di Bilotta, quindi parte un nome particolarmente adatto per questo remake.













E circa alla cover: viene perfettamente ribaltata la composizione della eccellente cover di Stano, con Dylan al posto di Marina e viceversa. Lo sfondo non è più costituito dal nero del cielo stellato su cui si staglia la ruota del luna park, ma il promontorio da cui Dylan si getta per una sfida d'amore.





Un ribaltamento di prospettiva che, sottilmente, pare pervadere anche l'albo: nell'originale la storia era colta più dalla prospettiva di Dylan, qui viene dato più rilievo a quella di Marina, riempiendo alcuni spazi (non tutti) della narrazione. Al contempo, se nella storia originale è Dylan ad accompagnare Marina verso l'addio definitivo, qui sembra essere Dylan ad aver bisogno dell'aiuto di Marina per lasciarla.





Cover a parte, per il resto Di Giandomenico si tiene totalmente (e intenzionalmente) autonomo dalle scelte di Ambrosini, nell'originale: cosa che rende l'albo, visivamente, una interpretazione autonoma. 





Logicamente, il Groucho "serio" dell'originale viene tagliato per esigenze di spazio (32 tavole invece di 96); l'arrivo di Marina a Londra viene visto dal punto di vista di lei, così come i ricordi del passato, a partire da quello dell'arrivo di Dylan alla pensione Aurora, in 7.iv. 













Le prime due tavole, invece (si rispetta la regola implicita del Color Fest, di aprire con una splash page) riprendono una discussione dei due ragazzi giovani sul loro futuro, come quella di DD 74, p.60 (nel vecchio albo Marina si fingeva indifferente all'eventuale dimenticanza di Dylan, qui invece palesa di più il suo non voler essere dimenticata).





La storia d'amore raccontata nell'albo sembra impercettibilmente più adulta; i due ragazzi si baciano appassionatamente più volte, cosa che nell'originale di Sclavi non è palesato (14.v). La griglia è molto rigorosa, sei vignette squadrate, dai contorni molto definiti: cosa che rende più efficaci ancora le variazioni allo standard.













Il maggiolino DYD 666 di Dylan che "esce dalla vignetta" in 15.vi è molto potente; segue una tavola "moderna" nel taglio, molto azzeccata, dopo "l'uscita dai margini della griglia". Una curiosità: in 16.ii invece le espressioni dei disegni non paiono associate perfettamente ai testi.





La scena del salto, a p.17, ha la centralità che merita (specie dopo la ripresa del promontorio in copertina); il dolore di Marina, in 17.vi, appare forse fin troppo caricato, pur nell'indubbia potenza dell'immagine (il fascino dell'originale stava, per me, nell'estrema misura nel rendere i sentimenti).





A p.18 sembra esplicitarsi che il vecchio marinaio (già messo in evidenza nell'albo originale) sia il padre di Marina (e il colore permette di evidenziare il rapporto quasi edipico con Dylan).




La visita al labirinto di specchi deformanti è un capolavoro: vediamo Marina tramutata in un mostro, come quelli di "...e Cenere tornerai" (21.ii), poi Dylan come lupo e Marna come "cappuccetto rosso", i due ridotti a ragazzini ancor più piccoli (21.v), vignetta che riprende quella, nell'originale, dell'incontro del treno (DD 74, 59.vi).



Potente la splash page smarginata di p.23: una novità per Dylan Dog che si va sempre più affermando, introdotta dall'albo di Ratigher e qui, credo, per la prima volta applicata al colore.



In 24-25 la Barbato imprime una decisa svolta al senso della storia originale, sfruttando le pieghe della narrazione precedente, e inserisce una "causa esterna" alla mancata risposta di Marina (e non solo "interno", derivante dalla sua psicologia adolescenziale).



P. 29 e 30 palesano il ribaltamento prospettico (è Marina a giungere in aiuto di Dylan, non viceversa); molto bella anche tavola 31, dove vediamo sullo sfondo il fantasma dell'ambulanza che, presumo, cerca di salvare Marina dopo il di lei suicidio.



Sul finale (p.34), Dylan incontra il figlio di Marina, che qui non è onirico (o, almeno: meno onirico che nell'originale...), e sembra svelare - in modo come al solito ambiguo - di portare il suo stesso nome, completando la frase del protagonista.



Da un lato, il segno della profondità dell'amore di Marina per Dylan, ma un modo anche per rendere la storia sottilmente più cupa ancora dell'originale (Marina si suicida nonostante la presenza, e non l'assenza, del figlio); stando alla Barbato, una evoluzione suggerita dallo stesso Marcheselli.



Nel complesso, quindi, una riscrittura molto interessante di un grande classico del fumetto italiano, una storia che appare in un momento eccezionalmente felice per un Dylan Dog che si avvia al trentennale rinnovato rispetto alla stanchezza degli anni precedenti, tra il recente Color Fest "sperimentale" e l'imminente ritorno di Sclavi al 362.