Eco


LORENZO BARBERIS.

Un romanzo è una macchina per generare interpretazioni.

Morto oggi Umberto Eco, il maggior scrittore italiano della nostra epoca
(e anche il massimo studioso, se è per questo).

Come tutti, lo scoprii col "Il nome della rosa" (1982), di cui non ho mai apprezzato il film con Sean Connery (il videogioco, a vederne alcune schermate, non sembra male).

Restai folgorato da "Il pendolo di Foucault" (1988), gioco letterario che mi ha da sempre affascinato profondamente, e che ho provato anch'io a giocare su questo blog e altrove.

L'Isola del giorno prima ai tempi mi deluse, ricordo che ne scrissi una delusa recensione sul giornalino del Liceo, nel lontano ormai 1994.

Baudolino (2000) lo lessi ai tempi dell'università: ormai ero entrato in contatto con l'Eco studioso, avevo letto più volte "Opera Aperta" (1962) e "Apocalittici e integrati" (1964), con cui Eco aveva anticipato e poi teorizzato il Gruppo 63, la Neo-Avanguardia italiana (e non solo).

Ho ripassato i Diari Minimi, elogiato con lui Franti e studiato Mike Bongiorno, sfogliato i manuali di semiotica e letto avidamente i vari saggi minori. Ogni volta che potevo prendevo una bustina di Minerva.

Avevo scoperto che Eco sdoganava, e dava un metodo e una sistematicità di indagine, tutti i miei temi proibiti di interesse: non solo l'esoterismo, ma anche la fantascienza, l'horror, il fumetto. Sul videogame non si era espresso all'epoca, ma il concetto stesso di Opera Arta lo legittimava.

Baudolino invece non mi dispiacque, ma lo trovai decisamente minore rispetto alle prime due opere, e perfino all'intricato viaggio nel barocco de "L'isola".

Stavo ormai con Laura quando lei mi regalò La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), la sua opera che forse amai di meno, ma di cui comunque apprezzai molto la sperimentazione narrativa, un po' meno la "struttura assente" inestricabilmente legata a quel vagare vacuo nei ricordi. Mi sembrò quasi un libro un po' senile e passatista, perso com'era nei ricordi.

Avevo ormai da un po' di anni iniziato a insegnare, sotto l'egida della narratologia di Todorov che è diventata sottilmente il nuovo paradigma dello studio della letteratura a scuola. Ho sempre cercato di mediare qualcosa della enorme lezione di Eco nella mia esperienza di insegnamento: non so quanto ci sono riuscito, di certo è piuttosto difficile. Forse l'unico punto a cui credo di essere stato fedele è usare il testo come una macchina per generare infinite interpretazioni, un bosco narrativo per interminabili passeggiate.

Ma poi, nel 2010, "Il cimitero di Praga" (nell'epoca in cui ormai tenevo questo blog) mi convinse in modo molto più deciso. Del resto il blog era un tentativo per portare avanti i miei interessi, che predatavano Eco e avevano trovato in lui la mia chiave di lettura prediletta. Il fumetto (in primis Dylan Dog, che lui amava, teorizzandone la "sgangherabilità", e di cui era divenuto un personaggio), il fantastico, la fantascienza, il complottismo, l'esoterismo.

Adesso era uscito questo "Numero zero" (2015), rimandavo sempre la decisione di prenderlo. Non sapevo ancora sarebbe stato l'ultimo Eco che avrei letto.

Con Eco se ne va il mio modello letterario e di analisi critica.
Ci restano le sue opere, che - per fortuna - sono un infinito labirinto.