La terra dei vigliacchi







LORENZO BARBERIS



"La terra dei vigliacchi" di Alessandro Bilotta è un grandioso affresco dell'età della grande depressione sotto la maschera di un giallo comunque intrigante. I disegni di Pietro Vitrano, con un gusto sottilmente antiquato, illustrano bene questa "Storia" bonelliana.



La copertina di Aldo Di Gennaro, nel tipico stile vagamente retrò de Le Storie, qui funziona molto bene e illustra il titolo, "La terra dei vigliacchi", con una scena marginale ma in cui si coglie appieno un tema portante dell'albo (la violenza come vigliaccheria, ultima spiaggia dell'impotenza dell'inetto). La copertina interna, invece, riprende la prima vignetta della potente tavola 34, quasi muta (ma non del tutto), come molte in questo albo.



Dopo un bell'incipit ambientato nel 1918 con tavole quasi mute, i titoli di testa ci portano con una semi-splash page al 1939 (l'anno di "Ask the dusk", esplicitamente citato a p.87; benché il registro qui sia più dalle parti dell'angoscia di Steinbeck e Faulkner) dove lo sceriffo Lucius Drake accoglie un Hazael Sullivan ormai detective, tornato a Salinas Valley per indagare sulla morte di Shirley Rivers (15.iv). Il naufragio esistenziale della misteriosa Providence ha dato il la al declino del centro (11, i).



Finalmente scopriamo anche il nome dell'amico d'infanzia di Sullivan, Isaac Mahon (16.iv), che forse vi ha pensato non solo in nome della vecchia amicizia (18.v), come scopriamo nella telefonata alla compagna.









Un'altra bella semi-splash page (20.i) ci riporta al 1918, dove conosciamo Judith, oppressa da un padre manesco (33.i-ii) e la sottile follia di Hazael (27), nonché il suo astio per Providence.



Il ritorno al 1939, con un bello stacco (35-36), ci fa scoprire che la giovane Shirley non è forse così pura come pensavamo (il pensiero corre a Twin Peaks e Laura Palmer).



P.47, con la scena che qui inizia e si conclude in 50, è uno spartiacque della trama (la definitiva discesa del protagonista verso la sua follia) e la scena ripresa in copertina. In 49, Lucius è l'unico personaggio che "esce dalla gabbia" in tutta la storia (mentre compie un atto di pietà che spezza la spirale di violenza), a sottolinearne la maggiore estraneità alla maledizione di quei luoghi.



Judith Powers si fidanza così con Jacob Perkins, lo sposerà e avrà una figlia, Lois, che è legata a Shirley (lo stacco delle due generazioni è segnato dai nomi, prima biblici, poi "borghesi" e moderni: Jacob, Judith, Isaac addirittura Hazael contro Shirley, Lois...). I fantasmi del passato ritornano, e vediamo che, nel 1939, Jacob si rivela marito e padre manesco (57-58): non c'è fuga dalla maledizione della terra dei vigliacchi.



Ritorna anche l'incidente di Isaac, con un rimando a "Memorie dal sottosuolo" (62.ii), di cui il racconto condivide alcuni elementi: lo spezzamento tra un passato e presente, il conflitto novecentesco tra lo schiacciamento degli inetti e l'inutile follia del superuomo, anche la Guerra di Secessione Americana come uno dei momenti dell'ingresso dell'uomo nell'era dell'irrazionalità (Tarantino sarebbe d'accordo, credo).



Nella seconda parte, abbondano le citazioni letterarie: il già detto "Ask the dusk" di Joe Fante (p.87), uno dei grandi capolavori sulla grande depressione, ma viene anche ribadito Dostoevskij, accanto a Schopenauer e un meno decifrabile - almeno per me - Orazio (p.96), mentre conosciamo la bibliotecaria di cui Lucius pare innamorato (vedi p.41,iii) e vediamo la libreria di cui ci parlava in 11.v.



Da qui in poi le storie parallele del 1918 e del 1939 precipitano entrambe verso la loro inevitabile, terribile conclusione, con belle tavole spesso mute o quasi, in cui la drammaticità della trama traspare dal montaggio claustrofobico e affannoso dei disegni.



Ritorna anche il tema del doppio, un'altra delle tracce trasversali del lavoro di Bilotta: più evidente nel precedente Ramsey & Ramsey, qui declinato sia all'interno di Isaac (il "figlio sacrificale" di quella terra...) sia nel suo rapporto con Hazael.



Il finale chiude magistralmente tutte le tracce narrative aperte con una grandiosa cupezza tipica di Bilotta, con una potente e tetra semisplash page (114.iii) e la consueta citazione di Fante.



La storia si denota quindi per la sua potenza narrativa, che come al solito in Bilotta passa tramite un montaggio impeccabile della tavola che, in Bonelli, è al contempo all'apparenza "tradizionale": frequente però il ricorso ad efficaci sequenze mute, e altrettanto frequente l'uso, nel modulo della griglia bonelliana, di un modulo a striscia orizzontale (presente in quasi tutte le tavole) che pare richiamare la grandiosità dell'inquadratura cinematografica (con vignette più piccole a svolgere una funzione narrativa e di raccordo). Molto efficace l'uso, ad esempio, in due tavole parallele come 62-63.



Una storia potente, dunque, con la maturità cui le Storie ci hanno abituati. Un nuovo capitolo del cupo ciclo dei vinti di Bilotta, particolarmente bravo ad adattare agli italici comics la tragedia dell'Inetto novecentesco, nelle sue varie sfumature esistenziali.