Paranoyd Boyd 3







LORENZO BARBERIS



Spoiler alert.



Paranoyd Boyd è un'interessante serie horror della Edizioni Inkiostro, realizzata da Andrea Cavaletto, autore di Dylan Dog che ho sempre trovato molto valido, e che ho anche intervistato su questo blog, qui:



http://barberist.blogspot.it/2015/11/intervista-ad-andrea-cavaletto.html



Ho già recensito i primi due numeri di questa stagione, qui:



http://barberist.blogspot.it/2015/11/paranoid-boyd.html



http://barberist.blogspot.it/2016/01/paranoid-boyd-2-il-lupo-sulla-soglia.html



Quest'ultimo appuntamento, pur con un finale di stagione aperto, chiude degnamente l'arco narrativo aperto in precedenza, quindi consiglio ovviamente di recuperarsi prima le due precedenti puntate (e, volendo, le relative recensioni).








"Se c'è una pistola, deve sparare" (Checov)



La puntata precedente era finita in medias res, come al solito, e l'azione riprende subito con il capitolo V, La principessa senza sogni, per gli eleganti disegni di Simone Delladio. Dopo le frenetiche sequenze di azione iniziali (condite dall'abbondante splatter cui Cavaletto ci ha abituato su questa testata), le vicende di Boyd si intervallano alla fiaba del titolo, che è anche ovviamente una amara metafora della condizione di sua figlia, la vera "principessa senza sogni" del titolo.



Un montaggio alternato straniante, quella tra lotte sanguinolenti e favola infantile, che ricorda l'espediente frequentemente usato da Moore, soprattutto in Watchmen, dove le immagini mostravano una azione in sincrono con un testo in voice off che, pur parlando d'altro, diveniva coerente coi fatti narrati. Cavaletto ne dà una sua declinazione differente, legato a un montaggio di tavola più sincopato e frenetico, che funziona a creare il cupo preludio di questa drammatica conclusione.



Se il capitolo si era aperto con la gun-cross dei fanatici crociati, si conclude con altri due fondamentalisti che prendono a calci Toby, l'amico di Boyd, con l'orecchino a croce ben in vista, nella penultima tavola prima della consueta splash finale. Il calcio alla croce prelude all'apparire di un nuovo simbolo, il marchio diabolico (ma vagamente a forma di croce tau...) da cui Boyd è rimasto segnato nell'11 settembre.



Il tema della croce, trasversale a tutta l'opera fin dalle prime puntate, sarà di qui in poi assolutamente centrale, in modo profondamente disturbante.







 "La prova dell'acqua", sesto capitolo coi disegni graffianti di Rossano Piccioni, ci fa scendere di un ulteriore girone nell'inferno che i diabolici fondamentalisti cristiani hanno creato in terra, mostrandoci con spezzati flashback la preparazione del rito finale.









"Tante maschere, pochi volti" (per i disegni puliti ed efficaci di Studio Creative Comics), settimo capitolo, riprende in forma sintetica la nota citazione pirandelliana per mostrarci il fondo di questo ordine rovesciato dove i peggiori istinti sono giustificati sotto la santimoniosa maschera della religione.



Viene in mente il Freud che ci parlava dell'alleanza perversa che si verifica tra l'Es più oscuro e il Super-Ego nella sindrome dell'inquisitore che tortura con piacere le sue vittime, raccontandosi di farlo per la loro purificazione.







La melliflua monaca in posizione apicale della setta conclude il racconto dell'iniziazione dei due giovani, che non risparmia nessun tipo di abiezione imposta (in modo volutamente caricaturale e grottesco, la figura di Therese pare riprendere le accuse di Christopher Hitchens contro madre Teresa di Calcutta e la controriformistica teologia del dolore cui si ispirava, anch'essa qui portata alle estreme, paradossali conseguenze).



Vengono in mente le peggiori fantasie sul New World Order, sugli Illuminati e sui loro rituali applicati ai loro mind-controlled slaves (non a caso, essi li deriverebbero dai riti segreti dell'inquisizione per tramite del "Progetto Marionette" fascista, secondo la mitologia che li ammanta), ma qui rappresentati non da una sorta di élite massonica, ma da degli eredi deviati della tradizione inquisitoriale (con un rimando, forse, a certe leggende di una "inquisizione nera" volta a riutilizzare i riti stregoneschi ufficialmente perseguiti e sottratti con la tortura alle varie tradizioni magiche).







Il capitolo conclusivo, il numero otto, è quello che dà il nome all'albo, "Il cavaliere triste", per certi versi Boyd stesso, in parallelo a quella "Principessa senza sogni" che è la figlia che lui vorrebbe, invano, salvare dalla torre impervia del suo destino di malattia.



I disegni di Renato Riccio sono perfetti per questo finale di nuovo di azione accelerata e ultraviolenta, dopo due capitoli di flashback, in cui la violenza appariva solo evocata dalla narrazione di secondo livello.



La storia procede così, inesorabile, verso quello che appare essere il suo logico, spietato finale.

Una chiusura dell'arco narrativo spiazzante, ma tutto sommato possibile dato il tono privo di qualsiasi speranza che pervade l'intera vicenda, improntata a un pessimismo nichilistico che raramente nel fumetto (e non solo) si ritrova così lucido e puro.







La conclusione, aperta sul destino di Gil, fa sperare vivamente in un prosieguo di questa prima stagione, che ha ridato vita a un horror senza compromessi.



Nel suo complesso, comunque, Paranoyd Boyd è già un'opera a suo modo conclusa, in uno squarcio assolutamente pessimistico ma di grande impatto sul reale, un efficace pugno nello stomaco del lettore specie in questi tempi in cui vanno risorgendo, da più fronti, opposti fondamentalismi.