Dylan Dog 356- La macchina umana







LORENZO BARBERIS.





Avvertenza spoiler: analisi annotata passo-passo. Leggere prima l'albo.





Lavoro davvero notevole, questo Dylan Dog 356 di Alessandro Bilotta per i disegni di Fabrizio De Tommaso, al suo esordio sulla serie regolare dopo aver illustrato la breve "Il saldo" di Gualdoni sul primo Magazine dell'anno scorso.





Anche qui ci si trovava tra l'altro di fronte a una storia che, citando il Benni di Fratello Bancomat in chiave più seriosa, metteva in discussione il sistema capitalistico: e il segno asciutto, nervoso, essenziale di De Tommaso sembra perfetto per questo tipo di distopie.





Oltre al segno, perfetto anche il montaggio, aiutato dal fatto che la griglia bonelliana è ideale per ogni orrore claustrofobico, come anche qui avviene. Quindi pochi sperimentalismi, nessuna splash page, due sole semi-splash (a presentarci la ditta, in 15, e il suo demone, in 56), molte vignette mute ma senza tavole completamente silenti. Curioso l'espediente grafico in 32.iii, che non ricordo su Dylan Dog, ma che credo semplicemente funzionale; a riprova della valenza della griglia in quest'albo, quando i personaggi ne escono (81, 82), con vignette smarginate e in melanconica mezzatinta, è per la caduta in un orrore ancora più grande e letale, maschere nude private della loro unica, falsa identità di impiegati inetti.





Eccellente ed essenziale anche la cover di Stano, perfetta per l'albo.





Fin da subito ci troviamo nel meglio degli inferni kafkiani, rispecchiamento dell'attuale mondo lavorativo, cui ci ha abituato la migliore tradizione dylaniata (in un albo, tra l'altro, perfetto per il primo maggio).



La Daydream si pone come una allucinatoria azienda contemporanea che sfrutta al meglio le pieghe di una spietata neo-legislazione del lavoro per opprimere i propri dipendenti. La cosa inquietante è il perfetto realismo di questo orrore, che scopriamo presto essere collegato (10.iii) alla Ghost Enterprise, con un piccolo accenno della "blanda continuity" che aveva portato a John Ghost come nuovo antagonista.



Insistito, come al solito, il rimando al 666, evocato nelle ore di straordinario di Owen come nella matricola di Dylan Dog.



P.17 svela un elemento che sarà importante sul finale (vignetta iii: e in più, il "piano 17" sarà importante nella trama, a suo modo), mentre p.23 ci mostra come ci troviamo in una dimensione onirica, in cui Dylan è convinto di lavorare qui da 15 anni (più o meno dai vent'anni, quindi, data la sua età fissa a 35).









Vi era già stata una storia breve, in un lontanissimo albo gigante, in cui Dylan immaginava di essere un impiegato in uno dei suoi peggiori incubi: L'incubo dell'Indagatore, appunto, di Sclavi e Villa, l'unica storia realizzata dal primo copertinista della testata (che saldava in un flusso onirico, appunto, la sua quarantina di storie come sogno del Dylan-Impiegato). Questa storia ne è in qualche modo un riuscito ampliamento.



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Groucho in quest'albo è più inquietante del solito nel rapporto sottilmente omosex tra lui e Dylan: nella professione irregolare di Detective dell'Incubo il suo ruolo di assistente delirante è tutto sommato più accettabile, qui davvero, stante il ruolo impiegatizio di Dylan, ricorda molto Freddie Mercury nel suo ruolo di perfetta desperate housewife coi baffi.











P.42 trova il modo di suggerirci una implicita colonna sonora per l'angosciante orrore senza fine della ripetizione da ufficio, con "In the court of the Crimson King" appunto dell'omonima band King Crimson (il Re Rosso, ripreso già da King come versione personale del Re in Giallo lovecraftiano), mentre 43.vi ci rimanda un nuovo indizio.



A p.47, simmetricamente, troviamo una nuova "prova" della lunga permanenza di Dylan in questo inferno samsiano. A metà albo (52.vi) Dylan ha la conferma della natura infera del sogno ad occhi aperti della Daydream, che consta di 33 piani (come l'inferno dantesco, composto di 33 canti), di cui il n.17 è quello centrale e proibito agli impiegati.









Non a caso, forse, nel canto XVII Dante si trova nel girone degli usurai, dove lo accoglie Gerione, simbolo della Frode, per condurlo nell'abisso infero più profondo. Il mostro che Dylan incontra, la metamorfosi della spia aziendale, potrebbe anche ricordarlo in parte (il corpo è serpentiforme, la testa di uomo, come il Gerione dantesco).



La fine dall'albo, illusoriamente, arriva a p.59. Credo sia la prima volta che ciò sia usato per un "falso finale" (mentre presenta due storie, ovviamente, "L'ultimo uomo sulla terra"). Come ne "Il Giorno della Marmotta", però, l'impresa di Dylan risolve poco: elimina un mostro, ma non l'Inferno (p.68).



A suo modo, forse, c'è anche una sfumatura metanarrativa (il rischio di Dylan come travet dell'orrore), in parte scongiurata dal rinascimento dylaniato: ma credo che il tema qui sia meno rilevante che in altre narrazioni.



A p.71 la storia accelera quindi verso la sua logica conclusione, mentre vediamo chiudersi anche gli orrori personali dei vari colleghi di Dylan, imprigionati come lui nell'inferno lavorativo; a p.83 Dylan, nell'andare al rendez-vous contro chi comanda il sistema, sale fino al piano 45 (ce ne sono altri ancora sopra, almeno il 46: non si confronta quindi con i veri capi, ma con uno degli ultimi paradossali livelli di dominio).



L'inettitudine intenzionale dei dirigenti mi ha fatto ripensare a un vecchio video virale su un reale discorso dirigenziale (vedi qui). Le scimmie qui sono a un livello più alto, infatti sono più bestiali e più oneste nella loro voluta incapacità.






(Ovviamente è Fracchia, l'altra maschera di Villaggio,
ad avere più aderenza al tema horror)



Ma forse c'è anche una connessione (rovesciata) col momento più tragico e kafkiano del primo Fantozzi, quando i dirigenti scherniscono la figlia di Fantozzi come una scimmia, mostrando la loro natura non tanto disumana, ma ferina, cattivi non superomistici (questo è il Mega-Direttore, che qui sarebbe l'evocato John Ghost) ma da bulli di scuola media.



Groucho legge "Eclisse della ragione" di Max Horkenheimer, il teorico della scuola di Francoforte (assieme ad Adorno), riprendendo un certo gusto "marxiano" legato al personaggio, avviato da Sclavi e poi andato scemando in un generico "buonismo dylaniato".



Dylan si tramuta in novello Balilla ma il gesto è sterile, come gli ricorda Carpenter (in questo contesto onirico, il personaggio funziona, in quanto ha una parte che non poteva essere assegnata a Bloch: quello di disincantato ma indifferente tutore dello status quo).



I demoni di rango inferiore pignorano i beni inutili di Dylan (vedi 97.v) liberandolo definitivamente dall'incubo. La ribellione dell'eroe non salva i colleghi, ma lui solo: e p.98 è terrificante nel sancire, di nuovo, la separazione tra Dylan e la realtà in cui gli anonimi altri (anche i lettori, in gran parte) sono incatenati, con una esplicita "maschera nuda" dal sapore vagamente pirandelliano.