Dylan Dog 360 - Remington House





LORENZO BARBERIS



Possibili spoiler: leggere prima l'albo



"Remington House" di Paola Barbato e Sergio Gerasi è l'ultimo numero di questi primi trent'anni di Dylan. Una storia classica, che fonde insieme due diffusi topoi dell'horror in generale e di Dylan Dog in particolare.







Il primo, il più ovvio, è il tema delle case maledette, reso evidente fin dal titolo e dalla copertina, diffuso dalla Caduta di Casa Usher di Poe in poi. Il tema della casa orrorifica è diffuso in Dylan Dog, molto usato da Sclavi a partire dalla prima vignetta del primo numero del personaggio (come annotato anche in questo valido articolo qui).





La stessa Barbato apprezza il tema, e l'aveva di recente affrontato ne "La follia di Pete Brennan", con altra declinazione (casa paradossalmente iper-moderna, in quel caso).





Mi sembra che la Barbato voglia qui soprattutto tornare sul tema della casa dell'orrore: costruire un rituale credibile esotericamente legato alla casa infestata, rivelarne minima parte al lettore (anche con vari punti dove qualcosa, a un primo sguardo, non sembra tornare, e costringe a una rilettura più attenta) e collocarvi in mezzo il classico Dylan inetto di occultismo del canone - che quindi, in effetti, non riuscirà davvero a sconfiggere il proprio nemico sovrannaturale.








Il secondo tema (che contribuisce a dare un taglio differente a questa ravvicinata rilettura della Barbato) è più legato al personaggio, ed è il rapporto di Dylan per il sovrannaturale da baraccone che egli odia ma in cui, per la società, viene anche lui incasellato.



Un tema trasversale, ma che è stato declinato in modo specifico in alcune storie, come "Il museo del crimine" di Gualdoni e Mari (DD 305) o, prima, il "Nightmare Tour" di Ruju (DD 231). Sarebbe interessante, da un punto di vista filologico, una rilettura "in serie" di queste vicende, per vedere le variazioni della declinazione al cambiare dell'autore e degli anni.



Nel DD 360 il rimando a questi temi si ha soprattutto nella prima parte; lo "scherzare col fuoco" dei nerd dell'orrore è poi la causa scatenante del sovrannaturale vero e proprio, che nei due secondi atti dell'albo prende il sopravvento. Fastidiosi il giusto il nerd Kevin, l'imbranata Tara, l'avido signor Barnes. Bello in 11.iii il gioco di parole implicito in "Remington House - Family Murder": sterminio di una famiglia, in effetti, ma suona anche come "Omicidi per famiglie", un'attrazione per grandi e piccini.









La cover di Angelo Stano è come al solito molto bella ed efficace. Direi un punto d'incontro tra le ultime cover più "grafiche", fortemente basate su contrasti di rosso e nero, e una cover classica. Nella cover predomina infatti il nero, ma in modo all'apparenza "naturalistico": il cielo plumbeo nelle sue sfumature di grigi e la massa piramidale della collina e della casa. A parte il giallo delle luci (che richiama quello del titolo) ci sono solo il rosso, appunto, e il blu tipici di Dylan, macchie precise e circoscritte.



La cover è tematicamente coerente: Dylan non ferma qui il sovrannaturale, riesce solo (a fatica) a scappare.





I disegni di Sergio Gerasi sono un gradito ritorno. Dopo l'esordio su Dylan nel 2012 con Accatino (DD 307) e l'almanacco della paura di Bilotta nel 2014, l'autore era tornato nel nuovo corso con Mignacco (ne avevo scritto qui) con una storia di black humour. Gerasi torna qui di nuovo ai toni più inquietanti e drammatici delle precedenti due storie, che gli sono congeniali.



Gerasi riesce difatti a unire un segno minuziosissimo con un tratto estremamente personale e riconoscibile, ed è quindi perfetto in storie, come questa, giocate sul filo di una potente paranoia, spesso data da dettagli quasi subliminali (frequenti nella Barbato, anche in questa storia).



Ad esempio, la prima - magistrale - tavola ci presenta la villa, interni ed esterni, senza introdurre ancora l'orrore: ma fin da subito nella seconda vignetta (5.ii) notiamo una scure incorniciata, dettaglio inquietante che preannuncia quello che verrà svelato in seguito (se vogliamo, effetto duplicato dal coltello che si intravvede poi nella seconda tavola).






L'elegante splatter di Gerasi.



Un gioco frequente di "riquadri interni", coerente con una storia a griglia classica, il tradizionale "mattoncino" bonelli, ripreso nelle cartoline-fotografie dell'orrore in vendita. Anche Dylan viene fatto entrare in scena con questa mise en abime, alla fine di p.9. Inoltre, la griglia tradizionale dà più impatto quando questa viene variata (coma da p.13 in poi. ad esempio, dove un classico slittamento ondulato del segno e un diverso taglio di tavola segna il primo afflato di vero sovrannaturale: uno schema poi ripreso in tutto l'albo).



I disegni dal passato, in mezzatinta, sono particolarmente eleganti (mi domando se usando già la mezzatinta la Bonelli non potrebbe rinunciare al contorno tondeggiante, che è una mia idiosincrasia).



Da p.18 in poi abbiamo anche una giusta dose di splatter, come (vedi sotto) nel "riassunto" di p.21, una bella carrellata di orrori, quasi fossimo in un Crime Comics pre-code degli anni '40.







Ma se apprezzo sempre un po' di orrore truculento, sono certe sottili inquietudini di quest'albo che preferisco: come in 23.i, dove un rapido "body count" della vignetta fa capire cosa sta per succedere nella casa dannata.



E anche la tavola qui sopra, visualizzando quanto ci aveva già prima narrato solo a voce Kevin, serve non solo all'effettistica da grand guignol, ma anche ad evidenziare implicitamente l'importanza dei diversi modi dell'uccisione nel rito (curiosamente: il Remington è un fucile, e le armi da fuoco sono le uniche non usate). La madre è l'ultima ad essere uccisa, e non viene mai nominata (freudianamente rilevante).



Interessanti infatti anche i nomi: l'assassino Isaiah unito al fratello Joshua dà l'idea di una tradizione del padre (Samuel) di fondamentalismo religioso (con la moglie Sue e i figli Miles e Geena, invece, mostrano che il fratello non ha seguito quelle tracce).



Se da un lato la Barbato dissemina indizi precisi, poi come ovvio rimescola subito le carte con le due morti "fuori programma", a spiazzare le attese del lettore; poi l'orrore del massacro si mescola all'orrore del retroscena di miserie piccolo-borghesi che ci vengono svelate (in particolare in 33.iii troviamo la chiave molto freudiana dell'avvio del massacro): meschinerie, ripicche, bigottismi, minimi interessi economici. Una famiglia normale, insomma.











La metamorfosi in 45.v è genuinamente inquietante (e viene ripresa più volte, fino al culmine della bellissima semi-splash a p.66) e ci sposta dalla ghost story alla demonologia. Interessante anche il modo d'agire dell'identità nel rapportarsi a Dylan. In 51.i gli dice: "morirai lo stesso, quando verrà il tuo turno!". Dylan però non deve morire nel remake del rituale. L'entità pare usare quindi una raffinata psicologia per fargli fare ciò che vuole: l'investigatore dell'incubo ipotizza poi infatti di "servire da vivo" nel rituale (non è stato ucciso al tempo, quindi non ha senso "sia l'ultimo": se è solo un intoppo, poteva essere ucciso subito, come i due paramedici).



L'entità che coordina il macabro rito appare così smaliziata da fare a questo punto uso di "doppia psicologia inversa" (non avendo funzionato, prima, la semplice menzogna). "Sto bene... lasciami da solo!" implora la successiva vittima posseduta a un Dylan che se ne sta già andando. Dylan dichiara di non cadere nel banale trucchetto e se ne va, lasciandolo da solo (proprio come l'entità vuole). Il che mi ha fatto pensare a un riferimento non così evidente in primissima battuta.







Infatti, anche qui la catena dei delitti è stata l'innesco per qualcosa di più, nell'autodefinizione delle possessioni come "legione" (p.38): termine evangelico per i demoni, ovviamente, ma soprattutto ripreso dalla possessione più famosa di tutti i tempi: e anche ne "L'esorcista" Legion/Pazuzu usava raffinatamente la psicologia nei confronti del suo avversario.



Come detto, il Dylan inetto in sovrannaturale - coerentemente al canone consolidato - ripetutamente fallisce nei suoi tentativi di arrestare il rito (p.71). C'è anche qualcosa del "Dylan debole" del rinascimento dylaniato, ad esempio nelle battute dell'ultima striscia di p.75, e qualcosa - nella diversa declinazione - del modello nobile sclaviano della "Casa degli uomini perduti", con un Dylan anche qui frastornato e in balia degli eventi.









Ad ogni modo, in 75.vi Dylan finalmente fa la mossa giusta (avvicinandosi in massimo grado ad interrompere il rituale: se distrutta, la bottiglia d'acido probabilmente spezzerebbe il rito).



L'entità così decide di trattare e Dylan può salvare le due donne, barattandole coi due paramedici (prima i ruoli sessuali erano associati correttamente, ora no: questo può far propendere per l'idea che il rito in realtà non funzioni nel modo giusto, come temuto da Dylan nella conclusione).



Insomma, una bella storia, un degno modo di concludere i trent'anni di Dylan in attesa delle colorate celebrazioni del Trentennale, con la Mater Dolorosa di Recchioni e Cavenago, e il ritorno infine di John Ghost.