Orfani Nuovo Mondo 11 - Hard Core





LORENZO BARBERIS



Non seguo sistematicamente Orfani, ma ho voluto prendere questo numero 11 "in solitaria" di Recchioni alla sceneggiatura, che prepara il finale di stagione.



Copertina di Matteo De Longis come al solito spettacolare, che continua a giocare sul contrasto di rosso e blu, sangue e macchina, un contrassegno di tutte le tre serie finora uscite.



Una scelta che ritorna anche all'interno, nei disegni di un veterano della fantascienza italiana a fumetti come Giancarlo Olivares, non solo firma storica del bonelliano "Nathan Never" ma, prima ancora, tra gli autori iconici di "Hammer", una distopia che ha qualche intersezione con quella (a mio avviso ancora più cupa) degli Orfani.



Non stupisce che nella cover di questo numero, del dualismo della colorazione (in questo numero, ad opera di Giovanna Niro), prevalga nettamente il rosso in copertina; molto bello anche l'espediente grafico della bandiera nera (vagamente anarchica) che copre il nome della serie e ne riprende la O centrale.











Un espediente, questo, ancora piuttosto innovativo in Bonelli (non lo ricordo su altre serie, anche se non le seguo ovviamente tutte). E non gratuito: la O di Orfani, ma anche uno Zero, con rimando alla sacrificabilità degli Orfani stessi (e sempre alla concezione anarchico-individualista, in fondo).



A me quella Zero/O che è poi il logo di Orfani ha sempre fatto pensare anche a un'altra cosa:







Il simbolo universale On/Off, il che per paradosso acquista più senso man mano che la trama è progredita nelle varie serie, con un sempre più frequente rimando a una cinica clonazione/digitalizzazione delle menti e dei corpi dei giovani supersoldati.



Oppure, ovviamente, c'è un'ipotesi ancora più attuale e più estrema.







Corrisponderebbe anche la presenza di scritta in alto, oltre che il cerchio. E, ovviamente, corrisponderebbe molto altro, a livello di trama: non solo in questo numero, ma a partire dalla prima serie in poi.



Naturalmente forse sovra-interpreto, ma Recchioni è sempre stato molto abile nell'uso dei simboli (ancorché solitamente mai ostentati).



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La cover interna riprende i forti toni rossi che dominano in questa storia sanguinosa, e crea un paradossale contrasto col "Diario di Rosa" che apre ogni numero: qui è un semplice disegno, che mostra tutto l'infantilismo ingenuo dei ribelli. Nel suo sviluppo, la storia è poi equilibrata tra l'espressività drammatica dei rossi (su tutte, la sequenza 52-53) e la freddezza metallica grigio-azzurra.



Tavola d'apertura a taglio orizzontale (caratteristica della SF bonelli, presente in Nathan Never, fin dal primo numero) e poi subito una potentissima doppia splash page, di quelle cui Orfani ci ha abituato.







Anche su questo, è interessante notare come Recchioni punti a innovare il bonelliano ma a partire da una valorizzazione di quanto è già presente nella tradizione della casa editrice.



La prima doppia splash page Bonelli è infatti probabilmente quella della bellissima "L'ultima onda" (1993) del primo Nathan Never, seguita da quella nella storia doppia con Martin Mystere (1996, p.64). In generale è un po' un tratto della SF bonelliana, meno in altri generi, e sempre prevalentemente fantastici: è apparsa anche su  Zona X (n. 25 pagg. 106/107) e Jonathan Steele (n. 57 pagg. 44/45), forse anche su Dampyr.



E, ovviamente, sul Dylan Dog della gestione Recchioni: però, è stato Orfani, con un utilizzo diffuso e pubblicizzato, a rendere evidente quanto da vent'anni avveniva in sordina.






(Doppia splash page in Nathan Never 122)






La prima doppia splash di Orfani (prima stagione, numero 11), particolare.



Anche qui, le doppie splash pages sono usate in rapida sequenza: prima quella smarginata di p.6-7, poi le due, con margini, di p.10-13, a introdurre la sequenza di battaglia. L'inefficacia delle tecniche di battaglia mi ricordano a tratti gli intenti parodistici di Verhoeven che rilegge Starship Troopers di Heinlein (calcando la mano rispetto a Robocop, di cui non era stato in generale colto l'elemento critico). La scena si regge sull'effetto comico del droide di supporto, che vince lo scontro con un intervento volutamente rozzo e suicida (sempre con una doppia splash, naturalmente).



A p.33 entra in scena la Juric, psicologa e despota del Nuovo Mondo, sempre più presa nel suo funzionale delirio di creazione di una incestuosa razza superiore, con una serie di rivelazioni che modificano sottilmente il senso di tutta la serie. Perseo e Andromeda non sono però per lei nomi poi così beneaugurali: se lei è un'apocalittica "prostituta scarlatta", il loro mito rimanda alla sconfitta del Drago.



Tornati al post-battaglia degli Orfani, assistiamo a una serie di scene di sangue raramente così disturbanti, forse anche perché in rapida, spietata sequenza.







La scena muta all'Albero delle Pene (archetipo molto caro a Recchioni e trasversale alle sue storie) taglia in due, significativamente, l'albo e ricorda - mai come in questo caso - la famosissima incisione di Callot sulle guerre di religione secentesche (il vero incubatore degli stati moderni).



L'incontro tra la Juric ed Emile offre l'occasione per nuove rivelazioni sull'atrocità del suo progetto, mentre Rosa si trova di fronte al dilemma di tutti i rivoluzionari: l'unico modo per vincere i propri tiranni è divenire sostanzialmente come loro. Rosa affronta così anche lo spettro del padre, giungendo a una scelta pare definitiva rispetto alla sua eredità spirituale (p.62-63).



Solitamente, ciò che viene stigmatizzato è lo stesso grado di violenza: qui invece ciò che disumanizza non è questo (anzi, la violenza è quasi ambiguamente salvifica in Orfani) ma l'uso della retorica. La falsità ideologica è il peccato capitale.






Eugene Delacroix, "La libertà guida il popolo", 1830. 



In questo senso, anche la citazione della canzone dei "Miserables" (che, vedi immagine sopra, comincia dalla copertina) acquista un senso ambivalente. Infatti, il canto è quello delle rivolte del 1830 (continuate negli anni seguenti) che porta sì al crollo dell'assolutismo ritornato al potere con l'Ancien Regime, ma per favorire l'ascesa di Filippo Egalité, sovrano "liberale" che adotta formalmente il tricolore rivoluzionario e la Marsigliese, ma avvia anche il colonialismo in Algeria. E anche quando, diciotto anni dopo, le nuove rivolte del Quarantotto porteranno alla seconda repubblica, i repubblicani non interromperanno lo sviluppo coloniale.



Può certo essere una coincidenza: ma in un fumetto che riflette al tempo stesso su democrazia e (neo)colonialismo credo non sia così casuale.







La doppia splash page finale (che mi ha fatto pensare a un rovesciamento di quanto sopra, ma qui probabilmente è davvero casuale) conclude con un nuovo - ma logico - colpo di scena, in attesa del finale di stagione.



Un numero quindi profondamente "hard core", dove la ferocia visuale delle scene di battaglia è minore rispetto a quella testuale delle ultime pennellate date da Recchioni alla sua terrificante (e realistica) distopia.