Artieri Fantastici





LORENZO BARBERIS



Si è inaugurata ieri, presso il complesso di San Francesco a Cuneo, la magnifica mostra di chiusura del CuNeoGotico, un progetto triennale cui sono particolarmente orgoglioso di aver prestato qualche piccolo contributo.









Quella all'inizio è la bella copertina del curatissimo catalogo (come sempre), adornata con studi di gargoille, la manifestazione più pura dello spirito gotico. All'interno, un decoro ipnotico a labirinto ottagonale rosso e blu apre questo terzo quaderno del CuNeoGotico (la N rigorosamente rovesciata, come nella Rennes della gemella Provenza), nel progetto grafico di Silvia Virgillo - Puntuale, che aveva firmato anche il secondo volume, dedicato al neogotico letterario (molto bello anche il suo calligramma b(l)auhaus che apre il volume nel segno del blu).



La A centrale di "fantastici" richiama il compasso, simbolo che la massoneria riprenderà dalla tradizione muratoria autentica, anche "filosofica", come molto dell'immaginario "artiere" che ritroviamo nella mostra e nel catalogo.







La squadra, invece (che è la A mancante?) campeggia nell'immagine della Misura, tratta dall'Iconologia del Ripa, con cui si apre il testo del catalogo. Le due colonne (anche qui, un rimando, forse non casuale...) del testo prefatorio sono poi separate da un differente strumento muratorio.







La piramide serpentinta dell'Analisi della Bellezza dell'Hogarth introduce invece la prefazione di Enzo Biffi Gentili, direttore del MIAAO di Torino e del progetto CuNeoGotico, che ci guida nei Misteri dell'Arte (nei due sensi delle due parole) partendo dal concetto di "capolavoro", quello tecnico, della tradizione delle aristocrazie operaie, e non (solo) quello per estensione di cui talvolta si abusa parlando oggi di certa arte contemporanea.




Una riflessione che si muove dall'inedita accoglienza, in questa mostra, della tradizione del Compagnonnage francese, la tradizione ininterrotta (anche con una fase latomica, dopo la proibizione del 1655...) dei maestri costruttori delle cattedrali. Baluardo contro le chiuse corporazioni castali e contro le degenerazioni dell'arte, il Compagnonaggio è una "laguna, non lacuna" culturale della concezione dell'arte italiana, che può rinascere oggi ai fasti passati partendo dalla consapevolezza degli Artieri, che non disdegnano la tradizione "meccanica" da cui nascono.







E l'Hommage au Compagnonnage si sviluppa in questo Tempio degli Artieri, sala centrale della mostra, dove i simbolismi apparentemente massonici sono evidenti ad ogni osservatore sufficientemente smaliziato.



Ma questi simboli, prima che massonici, sono puramente muratorii, così come la triade venerata dai Maestri, Salomone, Maestro Jacques (come il Molay...) e Padre Soubise (d'ascendenza forse benedettina, per completare le fonti templari). Le due colonne di luce che precedono la triade "d'altare", infatti, non sono intitolate a J e B, Joachim e Boaz, ma a MJ e PS, Maitre Jacques e Pere Soubise presumo.










Gufram su disegno di Franco Novembre, Jolly Roger





Così vale anche per la morte rituale, evocata dalla seduta-teschio di cui sopra e dal cofano funebre "Papa" della Delbosco, su cui spicca un compasso ottocentesco del compagnonnage: rito iniziatico prima ai compagnoni che alla massoneria speculativa.







Mario Mondino, Archipendolo







Gianfranco Coltella / Le Meduse, Trono cuNeo gotico; Colonne luminose MJ e PS.



L'Archipendolo di Mario Mondino, struttura centrale che non può non farmi pensare al mio amato Eco del Pendolo di Foucault, sembra unificare la A (l'architrave) e la V (la punta del pendolo), "alto e basso", che siedono ai suoi lati nelle figure del Trono del Silenzio di Franco Ferrero (della sua affascinante mostra al MIAAO scrissi qui), triangolo rivolto al basso, e del Trono CuNeoGotico di cui sopra.



Mute presenze simboliche, le tarsie lignee di Adriano Bocca assistono al rito. I bassi gradi del Compagno e del Maestro d'Arte sono gli unici degni, in verità: gli alti gradi sono tutte deformazioni ironiche stigmatizzanti l'attuale corruzione dell'arte contemporanea.



Il materiale iconografico scovato da Biffi e presentato sul catalogo è sorprendente e affascinante, e testimonia visivamente lo stretto rapporto tra templarismo e ars muratoria che, pur noto, raramente ho visto fondare sulle fonti primarie con efficacia come in questo catalogo.






Gilbert Baissac, Coffre







Il Tempio Artiere ospita poi i capi d'opera, francesi ed italiani. Lo scrigno di Baissac mi ha fatto pensare - in modo analogico - a quello di Grimilde nel capolavoro di Disney (quando lo scrigno si chiude, un pugnale trafigge il cuore).








Gabriel Bordenave, Labyrhinte







Il labirinto pentacolare di Bordenave, invece, mi ricorda più da vicino quello che sigilla la presunta edizione di John Dee del famigerato (e leggendario) "Necronomicon", nell'edizione di Anversa del 1571. Un rimando, del resto, anche al labirinto ottagono (e, quindi, non magico, ma templare) che apre e chiude il bel catalogo.











Andrea Salvatori, Pietra Grezza e Square Moon



Ma anche gli italiani non mancano di offrire riflessioni simboliche: a puro titolo d'esempio, tra i molti, cito Andrea Salvatori, che ripropone il tema della Pietra Grezza e della Pietra Lavorata, simbolo del passaggio dell'iniziazione.



A coronare il Tempio vi è una seconda mostra, "Sette Cappelle per Sette Sorelle", presentate magistralmente dall'architetto Eduardo Alamaro nel suo saggio "Un'incuneata alla Granda" - con perfetto titolo bif(f)ido.



Si tratta di sette ri-dedicazioni delle cappelle dello spazio sanfrancescano: Le Sette Sorelle non sono quelle del film omonimo ma, con perfetta sineddoche, il Cuneese sussunto nelle sue sette città principali, così dette (sul tema, rimando a un mio divertissment "sulle note del Pendolo di Foucault", che si può leggere qui a patto non lo si prenda sul serio).



Le sette cappelle, nell'ordine biffiano, partono dagli ex-voto (I) e da Sant'Antonio (II) per proseguire con le corporazioni: liutai (III), sarti (IV), architetti (V), Giuda al VI e a concludere i Ceramisti (VII), curiosamente (invece di lasciare al maledetto santo gnostico un reietto ultimo posto, oppure di connetterlo al trivio "religioso" separato dal quadrivio delle arti meccaniche).






Giuliano Babini, Narsete



Le ridedicazioni omaggiano le varie arti e si inseriscono in una innegabile tradizione "templare" biffiana che spazia dal Tempio Ceramico al Tempio Metalmeccanico, nel corso degli anni. Qui a Cuneo abbiamo avuto così la Cappella degli Antoni, del relativo santo, dominata da un prezioso maialino, simbolo del santo, corpo-porco che fagocita l'intera iconografia, e che è anche patrono dei salumieri, qui assurti quasi a sintesi delle arti "della tavola" (con scarso ecumenismo filo-levantino, verrebbe da dire, forse ancora una volta per spirto templare).



Il maialino si chiama Narsete, nome bizantino come il mosaico di cui è costituito; bizantino e neogotico, poiché il generale da cui prende nome, secondo una leggenda (accreditata però anche in Treccani) nel 1568 avrebbe chiamato i longobardi "in Italia per vendicarsi del nuovo imperatore Giustino che l'avrebbe destituito"; iniziando così la lunga "età dei Goti" nel belpaese.












Daniele Beccaria, Arpa






John Egan, Dublino







La cappella dei Liutai accoglie arpe dublinesi, una raffinatissima arpa astratta di Daniele Beccaria, e gli strumenti di Salvi Harps di Piasco, eccellenza mondiale del campo. La Cuneo gotica è del resto terra di ghironda, e l'evento è stato meravigliosamente aperto da Diletta Sereno su un arpa Salvi, con una sonata d'ispirazione elfica.






Silvia Manazza, Il mistero di Giuda



La cappella di Giuda Iscariota (in cui il curatore generosamente mi omaggia di una citazione nei pannelli esplicativi, avendo tra i primi annotato online, qui, le peculiarità dell'impiccagione dell'apostolo traditore nell'affresco di Pietro Pocapaglia di Saluzzo, del 1462) introduce, come spiega magistralmente Alamaro, al tema del tradere/tradire, la Tradizione che non è - affatto! - solo perpetuazione dell'identico. Mirabile scegliere Giuda come simbolo della Tradizione, simbolo di tradimento ma anche della tradizione iniziatica che, da Basilide a Borges passando per i catari cuneesi-provenziali, lo vuole non traditore ma iniziato e vittima, e autore del Vangelo più gnostico (anche nel gotico cuneese il tema è assolutamente centrale, come a Castel Magno, di cui ho scritto qui).




  


Nell'ordine: Cuneo, Canavesio, Castelmagno.



Colgo l'occasione per aggiungere qualche annotazione sul Giuda cuneese, che mi è a questo punto ancor più caro: da un rapido confronto iconografico online - e limitandomi solo alla scena piemontese - noto che il tratto scurrile del Demone che prende l'anima di Giuda (questa invece iconografia consolidata) è più diffuso di quanto avessi mai notato. in Giovanni Canavesio da Pinerolo addirittura il demone - con rispetto parlando, ma per capirci - gli scorreggia sull'anima, all'Iscariota; peta soltanto, invece, a Castelmagno, dove Giuda era coronato d'aureola all'ultima Cena (e i demoni sono ben tre). Cuneo, invece, è la più tarologica delle tre, in quanto Giuda è impiccato su una doppia forca (due colonne?), di cui una semi-cancellata (casualmente?) proprio come nell'Arcano dell'Impiccato che allude, appunto, all'apostolo fedifrago, in posa rovesciata.






Andrea Salvadori, Demone Drago Decapitato 






Franco Giletta, San Giorgio e il Drago (negli Ex-Voto)











A parte queste mie speculazioni, eccezionali ovviamente le interpretazioni artistiche: il Giuda di Silvia Manazza e il Drago infero decollato di Salvatori, che dialoga quasi col San Giorgio di Giletta (nella Cappella degli Ex-Voto), creando uno dei tanti fil rouges che connettono questa esposizione. Il drago di Giletta richiama la forma del Cuneo in molti particolari, e rimanda a un suo simile drago di 33 anni fa.







L'architetto Alamaro (in un testo da assaporare tutto con attenzione) non scrive solo la presentazione, ma realizza anche una opera meravigliosa per la cappella degli ex-voto, in cui rivela come in un suo film Totò - travestito da prete - abbia ampliato la sua battuta che ha reso Cuneo famosa: "Sono un prete di mondo, ho fatto tre anni di seminario a Cuneo e Mondovì" (ne parlano anche gli Uomini di Mondo sulla Stampa, che estendono addirittura le citazioni a due: un prete e un frate; credo il Monaco di Monza, perché la Mandragola mi pare il suo ruolo più serioso, quello del Timoteo di Machiavelli). 



In questo modo nella pellicola pretesca (forse "Signori si nasce", del 1960?) sarebbe omaggiata anche la mia città natale, oltre alla rivale-capoluogo. Una trouvaille per me preziosissima, certificata e ceramificata da Alamaro in una piastrella realizzata dalla storica, monregalese Besio ed esposta in mostra (a cui, prima, attribuivo il gioco di parole, che invece sarebbe non spurio, ma del Principe).






Plinio Martelli, San MichelOdino






Titti Garelli, Santa Teodolinda Regina




La cappella degli Ex Voto è quella che mi ha maggiormente affascinato, e taglio per carità del lettore tutte le speculazioni sulle varie figure di Santi che le varie riletture mi hanno suscitato. Molto bello il lavoro di Plinio Martelli, un Odino cristianizzato in San Michele (la Sacra di San Michele è l'icona del primo Piemonte gotico) il cui la potenza del corpo è precisata e impreziosita, bizantinamente, dalla filigrana dell'oro. 





Purtroppo Plinio Martelli è precocemente scomparso immediatamente dopo l'inaugurazione della mostra (vedi qui): il Piemonte perde uno dei suoi autori più validi. Questa rimane dunque, credo, la sua ultima esposizione.





Magnifica anche la Teodolinda della sua compagna, Titti Garelli, sempre sui toni dell'oro di Bisanzio: la Garelli era stata ospite a Mondovì nel CuNeoGotico con le sue incredibili Regine Neogotiche, di cui scrissi qui. Per la Regina di Mondovì offrii anche alcuni piccoli suggerimenti iconografici alla pittrice, su sua gentile richiesta, che lei trasfigurò in una sua regina bellissima e inquietante (vedi qui).







Alessandro Gioiello, San Francesco riceve le stigmate







Santo Tomaino, Batman riceve la grazia per intercessione di San Giuanin Lamiera



L'omaggio al nume tutelare della chiesa, San Francesco, e al nume tutelare del Piemonte, san Giovanni degli Agnelli, la seconda stirpe regale (ormai perduta anch'ella, ahimé) sono due dovute devozioni (e il rimando a Batman è perfetto, Torino è la vera Gotham/Gothik City italiana).







Renzo Riva, Amore eterno






Bounty Killart, Santa Rita.



E concludo questa sezione con il Sacre Coeur di Renzo Riva e la Rita dei Bounty Killart, che avevo conosciuto e apprezzato a Local Art a Mondovì (vedi qui la mia recensione).





Honoré Guirard, Saint-Claude patron des Potiers



La cappella della Ceramica è naturalmente meravigliosa, e da monregalese mi è particolarmente caro, stante la tradizione ceramistica monregalese e il bel Museo che la città ospita, dove prima o poi mi piacerebbe vedere una mostra "iniziatica" a la Biffi.









La cappella degli Architetti vede poi il lavoro di Ugo La Pietra, che ha costruito delle nove urne villanoviane sulla base dei neogotici essicatoi cuneesi (documentati, nel primo catalogo CuNeoGotico, dagli autorevoli studi del prof. Mamino). Anche La Pietra è già stato una presenza monregalese, con una bella mostra al Museo della Ceramica, di cui scrissi qui.











Infine, il discorso dell'arch.Alamaro sulle cappelle si chiude con La cappella dei (santi?) Sarti, omaggia Giò Abrate, modella cuneese degli anni '60-'70, e alla collezione The Nun di Marina Nekhaeva, che crea tre figure in inquietante ammirazione.



"Sarti" a Cuneo mi fa pensare anche a una grande figura della politica locale, non priva forse anche di qualche risvolto "gotico" (vedi qui) ma qui la connessione è davvero solo una mia casuale associazione di idee.






Ludovica Basso AKA Clorophilla 








(i due ex voto originali sono realmente esistenti, del '59 e del '43)



L'elemento tessile ricorreva già nella cappella degli Ex Voto, nei ricami di Clorophilla ricavati su ex voto esistenti e riccamente simbolici. Una delle tante trame nella texture della mostra, di nuovo.














Katy Hargrove, Dark God




La terza esposizione è quella dedicata ai Quattro Fantastici, i quattro grandi fumettisti-illustratori cuneesi - con rilievo perlomeno nazionale. Aperta da una bella e dotta introduzione di Pompeo Vagliani, direttore del Museo della Scuola e del Libro per l'Infanzia, inizia col più antico e seminale dei quattro, Attilio Mussino, lo "zio di Pinocchio".



Vagliani ricostruisce con precisione tutta la consistente sottotraccia "gotica" di Mussino, ricchissima di spunti anche oltre il rapporto col più importante romanzo fantastico (e io toglierei il secondo aggettivo) dell'Ottocento italiano.



In particolare, a me colpisce il lavoro per l'Avventura, con illustrazioni di un cupo fantastico "adulto": quella sopra mi ricorda molto da vicino la prima cover del Weird Tales americano, da cui poi prese spunto Lovecraft per il suo mito di Chtulu (omaggiato, naturalmente, tra gli ex voto in mostra). Forse la tavola fu di comune spunto al maestro di Providence (nel 1926) e a quello di Vernante (nel 1928).



Il divino Chtulu, del resto, è omaggiato negli Ex Voto da Katy Hargrove, in un'altra liason intertestuale.











La presentazione dei "tre moderni" è la parte di cui mi sono occupato io, nel catalogo.



Giorgio Sommacal, è tra questi il maestro del gotico-comico, autorevole firma dei disegni del Cattivik anni '90, presenta in mostra soprattutto le sue "Bestiacce" un bestiario cuneese secondo temporalmente a quello del Libellus de Natura Animalium dello pseudo-Alberto Magno stampato in Mondovì nel primo '500 (ne ho scritto qualche cenno qui, in prefazione all'Antichristus), e che potrebbe forse dialogare con la ripresa del Bestiario - intenzionale, in questo caso - del monregalese Corrado Ambrogio (vedi qui).







Dei tre contemporanei, Marco Cazzato è la voce di un gotico elegante ed estenuatamente raffinato, di cui porta l'anteprima del suo "Album". Fotografie "al nero" che divengono fantastiche divagazioni nell'inquietante.













E per concludere, Marco Corona rappresenta un doppio rapporto con l'esordio di Mussino. Il fumettista cuneese, oltre al resto (molto), ha infatti sia fatto una recentissima trasposizione del Pinocchio nel 2015 che è anche - non solo, ovviamente - una riflessione su Mussino e sui suoi predecessori. E, proprio in questi giorni, ha realizzato una bella locandina per il BilBolBul, il festival italiano più autoriale, che prende il nome proprio da quel primo fumetto (fantastico) italico creato da Mussino, su un ragazzino nero che inverava le metafore sentite.









Il libro si chiude con un ultimo fuoco di fila di immagini altamente simboliche, un'incisione dal trattato d'architettura di Philebert de l'Orme, dove il compasso si assomma al serpente (come nella simmetrica incisione in apertura); il finis di Mussino per "Le avventure di Capperina" (di cui qui sopra ho riportato, per variatio, un'immagine piuttosto gotica e inquietante) e infine una stilizzata corona ferrea con celebrazione di Saint Cloud, principe dei Merovingi e patrono dei Chiodaioli.



E chiudo anch'io questa troppo lunga recensione con uno dei tre "chiodi" di Guido Casali, mentre nel chiudere la copertina il dedalo nell'ultima pagina mi ricorda, ancora una volta, che come ogni testo labirintico anche questo catalogo e questa mostra esigerà ripetute ermeneutiche e interpretazioni.