Dylan Dog 362 - Dopo un lungo silenzio












LORENZO BARBERIS





Possibili spoiler: leggere prima l'albo.





Dopo il celebrativo del trentennale di Dylan Dog di Recchioni e Cavenago, un numero ancor più speciale: il ritorno di Tiziano Sclavi (giustamente annunciato in cover) su Dylan Dog. Un ritorno "dopo un lungo silenzio", ovvero dal celebrativo 250, di luglio 2007, con cui Sclavi aveva lasciato il suo personaggio davanti a un tribunale infernale.









Anche per "Storia di Nessuno" cover bianca e tiratura d'eccezione.




Copertina interamente bianca, l'unico disegno il logo di Gigi Cavenago, che su una cover bianca funziona bene. Bianchi anche i redazionali e la cover interna, "Nessuno" accreditato come copertinista ("il copertinista è stato regolarmente pagato", aveva detto sornione il curatore Recchioni, citando l'Ulisse di Polifemo).



Una scelta voluta, riafferma Recchioni, per sottolineare il tema dell'incomunicabilità, centrale nella rappresentazione sclaviana dell'alcoolismo, e in generale uno dei più potenti orrori del suo Dylan Dog.







La cover bianca è anche cover di passaggio.

Cavenago, già copertinista dell'Old Boy, diviene ora copertinista ufficiale della serie, dal prossimo numero in poi, che ha proprio l'aria di un restart con l'immagine classicissima dello studio dylaniato (nelle cover di Cavenago - qui e Old Boy - il nuovo logo del trentennale, di cui personalmente non ero stato entusiasta sull'ultimo numero, funziona bene). La nuova nomina apre anche a un cambio sul trimestrale, di cui è appena uscita quindi, probabilmente, l'ultima versione di Cavenago.













La cover bianca è anche un rimando, ovviamente, a "Non è successo niente" (1998), romanzo di Sclavi ambientato in un microcosmo editoriale che ricorda da vicino la Bonelli e i suoi autori. Sclavi è molto critico su questa sua opera, che è invece tra le poche che meriterebbe di restare tra gli esempi del ristretto postmoderno italiano (da cui la mia modesta proposta qua, su - mi pare appropriato - Lo Spazio Bianco).



Si inizia da una tavola muta di Giampiero Casertano, storico disegnatore della testata (curiosità: appare in un cameo a p.92), spessissimo in coppia con Sclavi dallo storico numero 10 in poi, l'albo che per molti segnò il momento di accelerazione del successo. Unica scritta, molto significativa, "London", su un bus.



Sclavi apre quindi con una semi-splash, stilema che userà poi spesso per tutto l'albo. Un suo marchio di fabbrica, quasi (si apre così il primo Dylan Dog, che inizia ad usarla), come Recchioni ha fatto della splash page il suo identificativo stilistico bonelliano (in realtà, ovviamente, per tutti e due gli autori il montaggio è molto più complesso).



La semi-splash torna a p.9, a introdurre una scena-madre che, con minime variazioni, circolarmente ritornerà nell'albo, fino in chiusura, confermandone l'importanza a scandire la progressione dei quadri della narrazione.



Nella pagina "di apertura", col titolo (10), va notato come questo potrebbe essere anche - tra i molteplici sensi: il silenzio di Sclavi, il silenzio del demone dell'alcool per Dylan, il silenzio dell'amata per Owen - una didascalia che precede il dialogo tra Dylan e Crystal (nome, tra l'altro, di uno champagne di pregio reso famoso dal monologo di Tarantino in Four Rooms).







La ricaduta di Dylan è del resto perfettamente congruente al periodo di "caduta" del personaggio, e solo Sclavi forse poteva scrivere un capitolo così delicato (che, è arcinoto, ha anche un rimando biografico).



Il segno di Casertano funziona bene per questa narrazione: non solo per la lunga frequentazione dei due autori su Dylan, ma anche la maggiore "pesantezza" e materialità del segno rispetto al Casertano degli esordi (una lenta, cupa evoluzione che si è sviluppata con consapevole gradualità, fin dagli ultimi numeri dell'età aurea della serie) rende bene per certi versi l'idea della fatica del personaggio, che qui giunge alla sua crisi più profonda.



A p.17 si cita esplicitamente il romanzo cui rimanda la copertina: il sogno di un titolo di giornale che annunci solo "non è successo niente" (che è anche, con quelle sottili, mirabili connessioni sclaviane, il leitmotiv dell'alcoolista che ricade nel baratro, frase detta ad esempio dallo stesso Dylan in 53.v).



La storia procede poi con ritmo implacabile, dove il vero orrore non è la blanda storia di inesistenti fantasmi ma la ricaduta nell'alcool, e la rapidità con cui si può ricadere in questo precipizio.



Molto efficace - e molto anomala rispetto il montaggio bonelliano - p.13, dove la tenebra offusca la luce lunare. Spesso del resto in quest'albo, che in prevalenza aderisce tranquillamente alla griglia bonelliana, si varia laddove è necessario. Frequenti tavole mute o con poco dialogo (già 14-15, ad esempio), ma anche - a parte l'innovazione principale, di cui diremo - l'uso dei cerchi in 38, il taglio verticale in 46, i tagli orizzontali in 80,82,83 e così via.









Come Sclavi stesso aveva chiarito in una intervista concessa a Recchioni nel 2011, "Il fumetto è un mezzo molto limitato, cerco di sfruttarne tutte le possibilità" (che, tolta la celebre modestia sclaviana, racchiude molto del suo approccio coltamente pragmatico al medium).



In p.23, col ricordo, si torna alla drammatica semi-splash di 9 (che poi tornerà ancora 98), immagine che acquista forza nella sua ripetizione.



L'elegante soluzione grafica di Casertano per l'apparire degli spettri, in una nuova semi-splash a p.35, anticipa poi la principale innovazione visuale dell'albo: le due tavole mute 36-37, dove per la prima volta le fotografie sono usate in Dylan Dog con questa rilevanza.











In verità, un primo caso si era già avuto nel numero 41, il celeberrimo Golconda!, l'ultimo con la copertina di Claudio Villa (difficile credere a una coincidenza...), in cui la singola fotografia era appunto di fantasmi: una foto famosa per aver ingannato, nel 1920, lo stesso Conan Doyle, ritenuto il simbolo del razionalismo, come il suo personaggio Sherlock Holmes.



Queste foto di presunti fantasmi torneranno nell'albo 362 anche più avanti, in 58 e 63, usate in modo meno spettacolare, e più documentario, quasi a ribadire come, da ora, l'uso del fotografico va considerato nuovo linguaggio, anche ordinario, di Dylan Dog.







Dopo l'incidente, Dylan torna a casa sotto il segno del pentacolo demoniaco del bere (41.iv).

La distruzione del galeone è elemento topico della crisi (43.i).



Il silenzio diviene anche il silenzio di Dio, a metà albo (p.50), davanti alle angosciate domande di Owen, mentre Dylan sembrava più aver colto un "silenzio cosmico" a p.27, mentre suona il solito trillo del diavolo di Tartini. Il confronto di Owen con la croce, col Cristo muto, pare quasi tornare, nella conformazione della tavola, nel tetro addio di Owen, in 96 (una rara, quasi impercettibile, tavola "cruciforme", che "chiude" drammaticamente il personaggio).









Un confronto col Cristo che riprende l'albo di addio alla regolare dell'ex curatore Gualdoni, "Il calvario", storia molto bella in cui si consumava un "mancato incontro" in 81-82, dove Dylan non pregava Cristo, ma la morte, denunciando il proprio ateismo in modo implicito (vedi il mio post qui). Sclavi chiude il discorso, e ribadisce in 90 l'ateismo del suo personaggio (non credo fosse stato finora ufficializzato). Notiamo che l'ateismo di Dylan è cupissimo, e non razionalista: noi possiamo credere in questa ipotesi per pura razionalità, Dylan sa che le forze sovrannaturali del bene esistono; e non se ne fida.



Il tema è quello della teodicea del male: l'inferno scatenato, e solo Dylan che, stanco, si frappone tra gli inconsapevoli e ingrati umani e la tenebra. Dio, salvo qualche rarissima puntata dedicata agli angeli (esistono, ma algidi e neutrali), non interviene.



Il consultarsi di Dylan con il professor Julius Adam è a mio avviso molto significativo, nella storia e forse oltre. Adam viene introdotto nel DD 123, "Phoenix", primo disegnato da Nicola Mari (e con Sclavi come autore), e quindi torna ne "Il sorriso dell'oscura signora", il 161, altro albo di Sclavi e Mari molto significativo, quasi un primo testamento artistico di uno Sclavi che andava diradando di molto la sua presenza sulla testata.













Intanto, Sclavi ribadisce la presenza di una "blanda continuity", che lui stesso in realtà aveva inserito, e che Recchioni ha inteso rinforzare. Lo fa recuperando un personaggio che nasce molto vicino al Dylan delle origini (poco dopo il 120, che segna una teorica soglia dell'"età aurea") e che Sclavi aveva, pur blandamente, già "serializzato".



Un personaggio che rappresenta lo Sclavi più illuminista, a volte eclissato dal prevalere di una rappresentazione negativa delle caste scientifiche: Adam, simile nell'aspetto al Sean Connery anziano, è un razionalista puro, che nega, ogni volta che appare, validità alle storie sovrannaturali, almeno nella maggioranza dei casi. La fonte, qui esplicitata (59.v) , è Massimo Polidoro, illusionista e presidente del CICAP.



Da un lato, Adam rappresenta inoltre il tentativo di Dylan di aggrapparsi al razionale, cercando di dimostrare che quei fantasmi (che ora sente anche lui, da p.33 in poi) sono veri e non effetto dell'alcool: ma, in una storia in cui si parla di Cristo, esplicitamente (in un fumetto popolare, Bonelli, è una scelta rara), assume un evidente significato simbolico correlato: non mi fido di Cristo, mi fido di Adam, dell'Uomo, pare dire Sclavi.









Anche la presenza, a fianco della Trelkowsky, dei due assistenti alla Stanlio ed Ollio della medium di Insidious (2010) sottolinea lo scientismo che anche la parapsicologia si cerca di dare e che, onestamente, non trova i fantasmi che non ci sono.



L'orrore del delirium tremens, in tavole davvero terrificanti sul finale, a partire dalla semi-splash di p.77 (grazie anche all'abile tensione creata da tutto l'albo) culminano nella potenza sottilmente raccapricciante di 81, l'unica splash che Sclavi si concede (e perciò efficacissima). Torna anche la paura dei pipistrelli, una delle tante fobie del personaggio (paradossale, dato il suo mestiere).



La chiusura, come spesso in Sclavi, è cupa. Dylan si salva (è anche la natura del seriale, ovviamente), Owen invece torna circolarmente nella semi-splash di p.98 alla situazione della seconda semi-splash dell'albo, a p.9. La luce che brilla nel nero (simmetrica, in un gioco di rimandi interni, all'offuscamento di p.13...), l'attesa della voce della moglie "dopo lungo silenzio", è probabilmente l'illusione alcoolica da cui non si riesce a liberare. E tuttavia, nel modo di rappresentarla, come annotato anche dal disegnatore Casertano, vi è un raggio di melanconica speranza, rispetto al nichilismo più puro dell'86.



Forse, come spesso nel miglior Sclavi, sta al lettore decidere.



Parte Due






La data di nascita di Sclavi, e il 666. Nelle Edizioni Paoline.



Fin qui, la parte diciamo puramente "razionale" della recensione.

Raramente mi lascio a considerazioni emotive o personali su un'opera.

Su Sclavi, e sul ritorno di Sclavi, voglio spendere per una volta due parole in più.



Il mio rapporto di lettore con Sclavi precede Dylan Dog.



Il mio amore per il fumetto inizia quando, nel 1982, in prima elementare, mi abbonano al Giornalino dei Paolini. Ancora oggi la ritengo una grande rivista, degna erede della tradizione del Vittorioso, forse fin un po' sottovalutata. Comunque ne apprezzo le varie serie fumettistiche, la variazione di segni e di modalità narrative.



Un giorno di quell'anno, appare una nuova serie. "Vita da cani". Disegni di Gino Gavioli. Testi di Tiziano Sclavi. Ovviamente ora dovrei dire che è amore a prima vista, che in Bobo ho già intuito criticamente Dylan, che nel signor Ciompo ho letto Bloch, e così via. Invece no: quell'umorismo surreale mi lascia abbastanza freddo, nel complesso. Ho sei anni, in fondo, la trasognata serie canina è troppo sofisticata per quel pubblico.



Poi arriva il 1983.







"Agente Allen" mi piace subito moltissimo, diviene la mia serie preferita, senza concorrenti. C'è l'investigazione, come in "Rosco e Sonny(subito sotto), ma anche un pizzico di fantascienza (nel 1985, arriveranno "I fuggiaschi" e il monumentale "Saulus" di De Luca). Nel 1982 la Bonelli ha lanciato "Martin Mystere" di Castelli, ma io mica lo so.



Però.

L'agente Allen, mi accorgo, è dello stesso Tiziano Sclavi che scrive "Vita da cani" (Il Giornalino riconosce i credits agli autori). Due stili così diversi, possibile? Leggo con altro sguardo anche le vecchie storie di "Vita da cani", e qualcosa torna, lo stesso umorismo, lo stesso sguardo in declinazioni diverse. Con Sclavi, per la prima volta, scopro il concetto di Autore, la sua voce, oltre alla Storia, oltre al Genere. Non è che lo scopro in ambito fumettistico: in ambito assoluto. Altri avranno avuto questo imprinting con la letteratura o col cinema, oggi magari col videogame. Non è che cambi molto l'età in cui avviene, e magari per altri è diverso. Quella Voce, però, mi segna. La prima, non sarà mai uguale alle altre.



Poi arrivano le medie. Inizio a vedere film horror videoregistrati in videocassetta, lo Zio Tibia Picture Show. La VHS è una liberazione, alcuni sanno usare il recorder meglio dei nostri genitori, abbiamo accesso a tutto quello che capita Dopo Mezzanotte. Quindi capirete perché mi colpisce questo:







Scopro così il mio terzo Sclavi, quello più autentico, di tutti, che somma e supera i miei altri due. Non è tanto l'horror d'autore (Poe, Lovecraft, King li frequento già, da prima di Dylan). E' la voce di un autore, mai così nitida e precisa nel fumetto popolare. Non sempre condivido del tutto le idee di Sclavi. La sua Voce politica mi lascia anche dei dubbi e delle perplessità.



Ma mi convince che anche il fumetto popolare può dire la sua, può alzare la voce per quel che crede giusto. Lo ammiro: chi glielo fa fare di alzare la voce, davanti a forze che sono comunque potenti? Chi glielo fa fare di schierarsi, di fare Doktor Terror, Caccia alle streghe, e tante altre? Non è l'unico, certo: ma in altri ambiti, ad esempio un giornalista, o uno scrittore engagée, sarebbe "il suo mestiere".



Qui, rischia solo di far perdere soldi alla sua casa editrice (ammiro anche Bonelli, in questo). Posso assicurare che non tutti amavano DD, nel profondo nord dei primi '90. Il numero 83, ad esempio, era piaciuto pochissimo alla maggioranza. Un blocco che qui da me arrivava al 66% dei voti, al suo apice (66, contati, non sto scherzando: non linko, ma cercate, c'è in un post, se volete).



Poi, arriva il 2007.







"Marty" è evidentemente, mi dico, un definitivo addio al personaggio (ma anche le altre tre storie di quella tornata lo sono). In fondo, l'abbandono di Sclavi ci sta. Si capiva da tempo. Sembra disilluso. Anche in "Valle Scuropasso", l'ultimo romanzo, la sua voce è più stanca. Alcuni critici lo definiscono "un grido d'aiuto": magari lo fosse, mi ero detto, a me sembra una disamina estenuata, priva di quella rabbia spesso presente nelle sue opere migliori.



Ma mi dispiace, come ogni addio. Non è tanto l'addio di Dylan Dog, che continua, con altre voci (e molte mi piacciono). E' l'addio proprio a Sclavi, che era stato il mio primo Autore di fumetto. Il mio primo Autore, in verità.



*



E invece no.

L'avventura continua.

Col classico colpo di scena di ogni buon fumetto, l'eroe ritorna in scena.



(E ogni colpo di scena ha appunto uno sceneggiatore: un grazie a Roberto Recchioni, che segna così il suo più grande successo come curatore della testata).



Ma quello che conta è che, dopo un lungo silenzio, Sclavi ha ancora qualcosa da dire.

Non vedo l'ora di continuare ad ascoltarlo.

In un tempo che, credo, ha ancora molto bisogno della sua voce.



*













"La voce della ragione è fioca, ma non può essere tacitata finché non abbia ottenuto udienza" (Freud)



“Caccia alle streghe”, era una metafora politica senza tempo. No, gli inquisitori non hanno vinto, ma sono sempre forti. La lotta deve continuare. (via)