Orfani - Juric 2. Storia di una principessa





LORENZO BARBERIS



Spoiler alert: leggere prima l'albo



Secondo capitolo per la miniserie di Orfani dedicata alla Juric, una trilogia di albi che costituiscono il prequel delle vicende affrontate nelle serie precedenti, in cui la protagonista Jsana Juric riesce a guidare con crudele efficacia l'umanità attraverso la sua probabile distruzione.



Come mostra già la cover dell'albo, di un superbo Nicola Mari, il secondo albo scava ancor più nella carne del personaggio, in senso figurato e metaforico. La cover sceglie di evolvere la cover precedente, una modalità compositiva frequente nei comics americani, che invece è innovativa in Bonelli.















Se nella prima cover lo spettro della Juric che conosciamo ci rimanda alla bambina ancora innocente, lo spettro del padre adottivo consumato dall'amore vorace e spietato di Jsana fa da sfondo alla protagonista ormai adolescente corrotta, Signora dei Serpenti devastata dai minotauri di un Labirinto che ella stessa ha provveduto a creare.



La cover del terzo albo, ormai diffusa in anteprima, mostra la sua rinascita tecnocratica che non annulla comunque tutte le ferite, ma le maschera e le integra nell'esoscheletro potenziato di una corazza di high-tech psicologico. La Juric è, implicitamente, il vero cyborg prodotto dalla nostra società del Black Mirror: gli orfani che lei manipola non sono altro che futuristiche super-marionette nelle sue mani.







Noto che persino la variant ha sostanzialmente rispettato questo schema, anticipando nel viluppo dei tentacoli l'ordalia che si esplica in questo secondo albo.



Le tre cover in sequenza mi paiono quasi un omaggio al Frank Miller di Martha Washington, autore che Recchioni ha sempre riconosciuto come modello. Martha maturava nelle varie cover di Give Me Liberty, associando i segni della maturazione alle cicatrici delle mille guerre degli USA "nation divided" del vicino futuro (ormai il nostro presente, in tutti i sensi): proprio come Jsana.



Ma anche lo stesso avveniva all'interno degli albi del suo antagonista Rexall, un Reagan/Trump riproposto sempre più fascista dopo ogni vittoria, man mano che trasformava gli USA in una dittatura. Proprio come Jsana.







La "cover sequenziale" di Juric evolve il "frontespizio sequenziale" proprio già di Orfani 1, dal 2013 (la decostruzione millimetrica del Bonelliano sviluppata da Recchioni si applica con precisione ad ogni elemento del fumetto).



Non è forse un caso che in questa "cover interna", ad opera di Emiliano Mammuccari (creatore grafico della serie) ci mostri la Juric che si osserva in uno specchio nero. Regina di Biancaneve, certo, come nel primo lungometraggio disneyano del 1939 (che in Grimilde/Uta irrideva l'idealtypen dell'algida bellezza germanica), ma anche il Black Mirror della tecnologia che ci restituisce con l'albo la nostra immagine deformata, proprio come la serie televisiva anglosassone.









Se Orfani finora era posto in una fantascienza abbastanza distante, la Juric inizia la sua ascesa, vistosamente, ai nostri giorni, pochissimo romanzati. Un futuro molto prossimo o un presente di poco alternativo.



La sequenza di transizione iniziale, dal bianco e nero al colore, avviene col solito schema fluido già visto nel primo albo (potrei aggiungere che potrebbe avere anche il senso di sottolineare una forte continuità che si vuole istituire tra il "bonelliano innovativo" a colori e il "bonelliano classico" b/n, finché non si potrà più distinguere uno dall'altro).



L'intro di Roberto Recchioni/Andrea Accardi è più breve, stavolta, c'è poco da premettere, lasciando invece pieno spazio allo sviluppo del passato. Paola Barbato (che sviluppa il soggetto di Recchioni) è affiancata sempre da Roberto De Angelis, ma anche ora da Riccardo La Bella (disegni), Maurizio di Vincenzo (chine) e Saponti-Acquaro-Pastorello ai colori.



Come già avvenuto nel recente Mystere a colori bonelliano, il Nuovo Albo Bonelli sembra porsi - in alcuni casi - sempre più come un'opera corale-industriale, sul modello filmico, più che come un'opera "artigianale" (nel senso tecnico del limitato numero di realizzatori). Là per la sceneggiatura; qui per il disegno, che se uniamo anche il lettering (ancora molto standard in Bonelli, e quindi poco considerato: cambierà anche questo?), vede in questo caso dieci operatori per il comparto grafico, oltre ai due sceneggiatori (solo per il processo strettamente artistico, tralasciando ovviamente tutto il reparto tecnico e redazionale).









Paola Barbato opera una scelta interessante, particolare: se lo scorso albo era un "bonelliano moderno" standard, con una griglia di base "a mattoncino", in questo caso applica invece in gran prevalenza la "griglia squadrata", con vignette allineate, ripreso in Bonelli da Berardi in Ken Parker e, con ancora più tipicità forse, in Julia.



Il "cinema su carta" apprezzato da Pratt, o forse qui, ancora più, la TV su carta, un "white mirror" cartaceo, con il rimando alla nuova serialità cui Recchioni ha sempre guardato con interesse (da John Doe in poi). Tanto più che, scopriamo a p.10, le vignette che stiamo vedendo, virate a un rosso aggressivo (appaiono anche, materialmente, i Serpenti evocati in simbolo in copertina, a p.9), sono schermi di un filmato esposto dalla giovane Jsana alla sua sessione di laurea.









Tramite il red mirror Jsana ci mostra le differenze tra tre gruppi tribali: coltivatori passivi, predatori aggressivi e coltivatori reattivi, che emergono come il gruppo vincente (è quello che meno mi torna antropologicamente: potrebbe essere anche una metafora dell'occidente, che sa saldare istinti costruttivi, quando necessario, con una potenza distruttiva inimmaginabile, da Grecia e Roma in poi).



Il valore simbolico mi pare evidenziato dal fatto che, quando tornano en abime gli schermi televisivi nella storia, si adotta una soluzione grafica molto americana, rara in Bonelli (p.25). La Juric usa le crisi africane di pseudo-Boko Haram per oscurare la repressione di pseudo No-Tav, ma questo produce una crisi (le semi-splash, usate nel primo albo a scandire le sequenze narrative, sono qui appaiate in una scena che risulta così molto forte, in 34-35, anticipando la splash singola in 38).



L'uso del sesso da parte della Juric è mai esplicito come in quest'albo, in un crescendo distruttivo: sesso per sedurre e avvicinare il potente di turno (19-20), sesso per compromettere e ricattare nella seconda sequenza (48-49), sesso per manipolare l'opinione pubblica (progettato in 52, e messo in scena nel tragico finale, dove torna questo secondo uso delle semi-splash, concentrare a rendere più dinamiche le scene d'azione dove serve più che a scandire diluite la narrazione).









Il rosso, come consuetudine di Orfani, è sempre usato come colore associato alla carnalità e alla violenza: il sesso in Orfani è sempre connesso sottilmente alla violenza, ma mai come in questo albo, dove non c'è nessuna separazione: il soffocamento masochistico per il grande manager nipponico, il buco nero dell'eroina per il giovane rampollo, e l'ultraviolenza programmata che la Juric destina alla Holmberg, per strategia ma anche per il suo valore simbolico personale (la sequenza di p.54, raro taglio orizzontale a cinque vignette). Ovviamente, il lettore ha già compreso che la Juric, protagonista delle altre due sequenze, non potrà esimersi dal vivere sulla propria carne anche la terza, la più atroce (e forse nel suo inconscio nemmeno vuole sottrarsi a questa "discesa in Daath").



In questo modo il trionfo della violenza diviene assoluto (la sequenza di p.88-90, nella parte teoricamente a colori, è di fatto in bicromia: il bianco e il nero che danno struttura al segno della tavola, e altrimenti solo il rosso della violenza che domina).



La sequenza 93-96 chiude di fatto l'albo, racchiudendo tra splash iniziale e semi-splash finale un ritorno della Juric finalmente, compiutamente indurita. Il ritorno al b/n dell'oggi (arricchito di un senso dalla sequenza 88-90: è il mondo a cui la Juric "ha tolto il colore", le sfumature di senso discordanti dal suo piano) è in continuità perfetta, lasciandoci con un dubbio anche sul "secondo salto in Daath" della protagonista, quello definitivo della morte.



Se sarà definitivo: perché nel mondo della Juric la morte è un accidente irrilevante come nell'Anonima Aldilà di Sheckley, se si ha il denaro e il potere per accedere a tecnologie informatiche rivitalizzanti. San Junipero è Disneyland, al confronto.







Insomma, ancora un albo potente, sia per la narrazione in sé, sia per il proseguire di quel lavoro sul testo bonelliano che ha ormai lunga data in Recchioni, ma che si estende ora in modo costante anche ad altri nomi autorevoli della casa.