Dylan Dog Old Boy - Maxi 28





LORENZO BARBERIS



Il Dylan Dog Old Boy 28 è l'ultimo che avrà una copertina di Gigi Cavenago, dato che l'autore passerà a copertinista della serie regolare dopo il ritiro dello storico titolare Angelo Stano.



Quest'ultimo numero suo presenta due storie tradizionali da 96 pagine ad opera di Giovanni Di Gregorio, e una serie di storie brevi di Gualdoni pensate originariamente per il Gigante, format che è stato abolito con il rinascimento dylaniato.



Mezzanotte di fuoco, la prima (e quella che ispira anche la copertina cavenaghiana) è molto interessante, andando a riscrivere in modo riuscito gli stilemi del western, a partire ovviamente da Mezzogiorno di fuoco in poi, per i disegni di Piccatto che è congeniale per queste operazioni intrise di black humour. Il successo dovrebbe fare sì che la storia, oltretutto stagionale (la Festa dei Morti messicana è il portale per il contatto con questo tra innumerevoli Inferni), ritorni come trilogia nei prossimi Old Boy autunnali; Sisco è un rovesciamento del Dellamorte sclaviano che, tra l'altro, sarà evocato anche nelle brevi di Gualdoni, a fine albo.



Continua anche il gioco del paralellismo con la serie principale: se nel 361 di Recchioni e Cavenago per la prima volta venivano smarginate le vignette a colori, private della linea di contorno, qui si opera la stessa scelta sul bianco e nero, facilitati dalla presenza di numerose retinature che lo rendono, per certi versi, più affine al colore da maneggiare graficamente.



Un Groucho cattivo il giusto, una Trelkowski perfettamente in parte ci conducono all'ingresso in uno dei tanti luoghi infernali dylaniati, un passaggio segnato oltretutto dalla bordatura nera delle tavole del viaggio infero. Mentre Dampyr viaggia nell'inferno di Dante (vedi quanto ne ho scritto sullo Spazio Bianco, qui), Dylan esplora quello di Sergio Leone in versione Grim Fandango, in attesa di un team up con Harlan Draka atteso prossimamente.



Svegliarsi ieri, invece, ha più di un parallelismo con le due storie di transizione del trentennale, il 361 di Recchioni e il 362 di Sclavi. Infatti Di Gregorio, per gli ottimi disegni di Bigliardo, mette in scena un originale modo di risfogliare a ritroso le pagine di Dylan. La protagonista antipatica, carrierista e yuppie il giusto funziona bene in questa ossessione sul tempo che sfugge fra le mani, letteralmente.



In senso tradizionale, ciò avviene rispolverando il professor Knock di Tre per Zero (DD 125), ma poi l'accelerazione del jumping back di Celia, si torna ad albi pregressi: il 304, prima del rinascimento dylaniato (avviato al 325) e ultima collaborazione Di Gregorio-Bigliardo (già li Di Gregorio aveva tra l'altro istituito una "blanda continuity" col 77, L'ultimo uomo sulla terra).







Poi saltiamo indietro al 2010, al 283, dove Di Gregorio collaborava con Casertano (oggi in edicola, sulla regolare, per il nuovo albo di Sclavi).







Il salto a Nebbia (206) della Barbato può forse essere più che altro uno spunto per usare l'efficace espediente narrativo del parco innebbiato come luogo fantastico e spettrale; il ritorno a Golconda, invece, ultimo albo con copertinista Claudio Villa (citato anche dal 362 sclaviano, indirettamente) è probabilmente un omaggio voluto.







Si succedono a p.181, in rapida successione, Il signore del silenzio, Il Buio, Memorie dell'invisibile, in un (de)crescendo efficacissimo che ci conduce con efficacia ai grandi capolavori sclaviani.



Dopodiché, Di Gregorio non segue più l'a rebours degli albi, ma quello della storia dylaniata, e così ritorniamo al 121, con Dylan ancora Bobby di fronte alle rivolte irlandesi. Poi Celia svanisce in un rapido flashback nella storia, oltre la Storia dylaniana (sarebbe stato bello anche un incontro nel 1686 e nel 1666, ma lo spazio dell'albo è limitato), ma Dylan e Knock riescono con un espediente a salvarla. L'aggeggio infernale colpevole dei salti quantici finisce nuovamente nella già citata Golconda, con un ribadire lo specifico omaggio alla transizione Villa/Stano, a fronte di quella Stano/Cavenago. La sveglia, pur non più pienamente funzionante, è presa da Groucho per Dylan Dog: il che giustifica la sua atemporalità, in un certo senso.









Seguono le Altre Storie, ad opera di Gualdoni, che nelle brevi dà spesso il meglio di sé. Le storie in sé sono tutte gradevoli, in effetti, ma legate a quell'epoca dylaniana, come Cuore di mamma, disegnata dalla Martusciello, ben costruita e abbastanza orrorifica, ma priva di particolari elementi di nota. Romeo e Giulietta devono morire! (per i disegni, ironia, di Val Romeo) ha invece un salto nel passato dylaniano col ritorno a Buffalora, dove trova il suo alter ego Dellamorte, Nel romanzo di Sclavi, il paesino è del nord Italia, come quello reale che Sclavi negava di conoscere; nel fumetto, in Orrore Nero, il paesino è in Sicilia, come appare anche qui nella mappa a p.225 (siamo in realtà in un ipotetico paese confinante). Della Bruciata e Filotti sono due clan famigliari in lotta anche in Don Camillo, con un ritorno incrociato alla Pianura Padana. La storia è sviluppata in modo abbastanza coerente ai presupposti sclaviani, fino al classico finale a sorpresa



La camera blindata, disegni di Fabrizio Russo, potrebbe invece stabilire una connessione col presente alla John Ghost, evocato al 361 e nel recente Color Fest. Invece troviamo solo la M citata da 007, ma niente allusioni (nemmeno indirette) alla Ghost Enterprise. Il sistema difensivo irto di Gremlins, comunque, secondo me l'ha progettato lui. Il finale è efficace e cattivo il giusto, e cita Small Soldiers (1998), sempre di Joe Dante, dove i soldatini robotici ribelli sono usati, alla fine, dall'esercito americano. Forse la storia più gualdoniana, comunque, nell'eterno tema dell'antimilitarismo dylaniato a lui caro.



La rapina è di nuovo una piacevole storia con un minimo tasso di violenza (27, vi, a suo modo, è abbastanza cruda), mentre la ragazza della storia è abbastanza psicopatica (ben resa 285 e 290).



Diciamo che di questo blocco gualdoniano la più interessante finisce per essere probabilmente il ritorno a Buffalora, simmetrico se vogliamo al ritorno a Moonlight: ma se questo era un addio al romanticismo ormai industrializzato da Ghost, Buffalora può assumere il senso di un ritorno alle origini, consacrato di recente dal ritorno al personaggio del suo autore.