Zerocalcare - Kobane Calling





LORENZO BARBERIS



Seguo Zerocalcare dal primo anno del suo blog, before it was cool, eppure non ho mai scritto molto su di lui. Solo una breve considerazione, qui, quando ottenne una partecipazione al Premio Strega, secondo fumettista dopo Gipi, e di lui ben più dirompente in quel contesto. Per questo Natale mi sono fatto regalare il suo Kobane Calling, e mi è venuta voglia di scriverne.



Il lavoro si differenzia in parte dai lavori precedenti, per quanto Zerocalcare abbia sempre cercato di personalizzare, per quanto possibile, le varie uscite, cercando di evitare la mera ripetizione del fortunato modulo del blog.









Nato nel 1983, Zerocalcare (al secolo Michele Rech) era infatti emerso sulla scena indipendente con un primo reportage dei fatti di Genova del 2001, raccontati dall'interno e dalla prospettiva antagonista. Nel 2003 aveva collaborato con Liberazione, poi con Repubblica XL, infine, nel 2010, col Canemucco, il tentativo di Makkox di uscire in edicola. Qui aveva creato l'embrione delle sue storie quotidiane narrate con ironia, col celebre armadillo che rappresenta un inconscio paranoico, e la nostalgia anni '80 come tema conduttore di fondo della forzata sindrome di Peter Pan della nuova Lost Generation. Il successo era venuto nel 2011, col blog (ideale per questo tipo di brevi fumetti diaristici) e il primo graphic novel, La profezia dell'armadillo, che cuciva gli episodi del blog nella tragica cornice della storia di amicizia con Camille.









Nel 2012, con Un polpo alla gola, Zero aveva provato una narrazione più unitaria, l'abbandono dell'armadillo e dell'effetto nostalgia. Nel 2013, oltre a una raccolta delle storie del blog (Ogni maledetto lunedì) è la volta di Dodici, con l'amata Rebibbia invasa da un'invasione zombie e per la prima volta l'assenza del narratore autobiografico, dando centralità invece al comprimario Secco, più adatto forse all'azione.









Il 2014, con Dimentica il mio nome, arriva la candidatura al Premio Strega, secondo fumettista dopo Gipi, e di sicuro maggiormente di rottura rispetto al precedente. Ne ho scritto, come ricordavo, quiNel 2015 esce così L'elenco telefonico degli accolli, seconda raccolta delle storie del blog, mentre in questo 2016 esce questo Kobane Calling, che raccoglie il reportage realizzato per l'Internazionale.









Il nome richiama ovviamente London Calling (1979) dei Clash, ma al richiamo di Londra Zero oppone il richiamo della città curda di Kobane, tema che non si riduce una pura evocazione del titolo ma sarà analizzato all'interno dell'opera: in opposizione alla rassicurante quotidianità della sua Rebibbia, Zero è attratto dall'esperimento sociale della democrazia curda, per il suo progressismo incredibile in un contesto di guerra e devastazione.



Il volume è segnato da una notevole cura e da quella raffinata approssimazione che fa parte della cifra stilistica dell'autore. A partire dal risguardo, che riporta la mappa del primo e del secondo viaggio premurandosi di parlare di "discutibile precisione". Il segno plastico di questa ostentata imprecisione è il segno approssimato che definisce le vignette, il vero marchio di fabbrica di Zerocalcare, che appare un costante modo di mettere in discussione i suoi "scarabocchi" (come li definisce nella bella splash page di apertura).









In verità, sotto questo costante understatement, la padronanza del medium da parte di Calcare è notevole: tuttavia, tolto il segno ondulato di contorno, si scoprirebbe una tavola molto italiana, quasi una gabbia bonelliana (diciamo quella più moderna, che ammette numerose splash page e un montaggio più variato), come ad esempio p.11, o la tavola qui sopra (dall'edizione francese).



Prevalgono certo, come al solito, i tagli orizzontali, che di solito rendono meglio nel fumetto online, a scroll verticale, ma quando serve sa dosare, oltre a splash e semisplash, anche montaggi abbastanza raffinati (vedi p.30, o p.42, qui sotto). Molto efficace l'uso di uno sfondo nero che mette in evidenza passaggi particolarmente significativi sotto il profilo drammatico.









Anche il segno molto cartoonish funziona bene, un po' come (per citare un modello ovviamente molto alto) quello di Maus di Spiegelman. Funziona perché riesce a raccontare cose terribili senza cadere in un eccesso retorico, in una "pornografia del dolore" ricattatoria, ma anche perché, le rare volte che rinuncia a questo registro espressivo per un segno più aulico, la cosa acquista subito una notevole efficacia drammatica (p.170, p.184 qui sotto, ma anche altrove).









Un segno grafico, su più livelli, che corrisponde quindi anche alla narrazione di Zerocalcare, minimalista, apparentemente disimpegnata, ma autentica nella presenza di una costante coscienza autocritica che non appare un puro espediente retorico.



Il lettore non esce dalla lettura di Kobane Calling con nuove certezze, ma con la percezione di una complessità che Zerocalcare testimonia onestamente, pur non rinunciando mai a fornire in modo chiaro il suo punto di vista, qui più evidente di altrove, e criticare anche duramente i propri avversari politici. Però appare un pensiero e un racconto tutt'altro che monolitico, disponibile a rendere conto delle inevitabili sfumature, problematizzando invece di banalizzare (nonostante la costante excusatio per i punti dove invece la semplificazione è necessaria per ragioni narrative).









Insomma, un lavoro appassionato, onesto e impegnativo (anche, oggettivamente, per la reale presenza sul campo dell'autore) che di recente Calcare ha integrato con Groviglio, un addendum al reportage sul complicarsi della situazione, nel mentre naturalmente superato dagli eventi.



Zerocalcare ha dalla sua una età molto giovane e una produzione già di tutto rispetto, giustificata dall'innegabile successo - online, ma anche in libreria. Vedremo se riuscirà a consolidare questo successo; per ora, tuttavia, si può già affermare che abbia segnato questi tormentati anni '10 che si avvicinano a finire.