Darwin 2







LORENZO BARBERIS



Avevo avuto modo, ai tempi, di parlare della prima stagione di Darwin sul blog, qui:



http://barberist.blogspot.it/2016/10/seasons-diverse-darwin.html



L'elemento interessante di quella prima stagione era stato soprattutto l'esercizio di stile di realizzare un fumetto totalmente muto: una cosa in sé non totalmente innovativa, è chiaro, ma comunque decisamente interessante.



La prima stagione si chiudeva  con l'incontro con l'Homo Sapiens Sapiens e con la Parola, e da qui riparte la seconda stagione.



Soggetto e sceneggiatura sono sempre di Giulio Antonio Gualtieri, ai disegni nuovamente Alessio Moroni, col supporto di Federico Butticé per gli sfondi e alcune illustrazioni (la copertina invece è di Simone Di Meo).



Valeria Panzironi si occupa dei colori, invece di Alessandra Rostagnotto del primo numero, ma sembra proseguire la scelta visiva di colori cupi e terragni, appropriati a rendere il duro mondo della preistoria.









Merita davvero una menzione anche il lettering di Maria Letizia Mirabella, che aveva già curato la prima edizione: se infatti in generale il lettering sta iniziando giustamente ad ottenere una considerazione artistica in campo fumettistico anche dove è un lavoro meno vistoso e pervasivo, in un fumetto come Darwin questo aspetto diviene centrale. Mi è piaciuta molto la soluzione visiva per connotare lo sbraitare del mercante di schiavi, dove la conquista della parola non è una conquista di civiltà, ma un modo per passare a una barbarie più sistematica. Ma, in generale, è un fumetto che poneva scelte di lettering molto specifiche: accentuare in massimo grado l'espressività dei versi per compensare l'assenza di testo (e secondo le indicazioni generiche di settore) oppure tenersi a un livello comunque espressivo ma più sobrio? Si è scelta la seconda ipotesi, secondo me in modo riuscito.









Appare dunque giusto che il nome di tutti i membri dello staff creativo siano ricordati nel frontespizio (a quelli citati fino qui, va aggiunto Fabrizio Fermata, che ha ideato il logo, al tempo stesso sintetico ma ricco di dettagli rivelatori a una seconda occhiata, con i graffiti di scene di caccia che ritornano anche nel fumetto). Bianco su fondo nero, come i titoli di coda di un film: a dimostrazione che anche il fumetto seriale è ormai diventato un sistema produttivo complesso, non certo, è ovvio, ai livelli di un kolossal americano, ma comunque basato su uno staff più ampio - e più determinante - di quanto comunemente si creda (il "name above the title", comunque, nella cover interna viene mantenuto - per sceneggiatore e disegnatore, che hanno un ruolo autoriale specifico più forte; nella cover è integrata la colorista Panzironi, un ruolo che nel fumetto online in particolare è in pratica ineludibile, non essendovi le ragioni di costi che portano al bianco e nero "italiano" su carta, salvo specifiche scelte estetiche).



Una considerazione a margine: nel cinema, si è passati nel tempo da un sostanziale anonimato autoriale in favore dello star system, a una "politica degli autori" che ha messo al centro dei riflettori il regista, fino a una consapevolezza matura (non del tutto passata al largo pubblico) di una pluralità di autori. Nel fumetto seriale, la transizione dal "fumetto dei personaggi" al "fumetto d'autore" sta forse vedendo in questi anni il riconoscimento di questa complessità del "fumetto d'autori".



Questa considerazione mi era venuta spontanea parlando di Orfani - Juric della Bonelli: Darwin - una collaborazione Studio In Rosso / Verticomics - dimostra che lo standard si applica a qualsiasi realtà professionale, non solo all'ammiraglia del fumetto italiano.







Primo livello: il dinamismo primordiale di Darwin.



Ma veniamo al fumetto in sé.

La storia si sviluppa come nella prima stagione come ricca di azione ed estremamente dinamica: la griglia è abbastanza tradizionale (sebbene con frequenti tagli orizzontali, preferiti dal webcomic). La Parola è apparsa, ma è quasi del tutto assente nel primo episodio, in cui vi è solo un umano, che quini non dialoga con nessuno, e la sua Parola non è diversa qui, come funzione, dal grido aggressivo degli altri primati.



Arrivano poi, dal secondo episodio della stagione, altri umani, e nel terzo episodio entriamo anche in un villaggio umano di età preistorica. Tuttavia la parola mantiene sempre la sua valenza primordiale, ringhio malamente modulato con cui tenere a bada le belve feroci, di cui le più pericolose fra tutte (è la novità dell'Uomo) i suoi stessi simili. La centralità, a un primo livello, è data dunque all'azione sviluppata dai disegni realistici ma sintetici di Moroni, con i colori duri e terrosi della Panzironi a dare un tono emotivo costante, entrambi in continuità con la prima stagione.



A margine: il rimando a Darwin continua a essere particolarmente appropriato: tutta la storia è lo sviluppo di una selezione darwiniana, darwinismo tra specie come nella prima stagione, ma anche primordiale darwinismo sociale tra umani, il "capitolo zero" del ciclo dei vinti di Verga, potremmo dire con una piccola provocazione.









Secondo livello: il "citazionismo ai margini" di Gualtieri.



Un secondo livello viene sviluppato da Gualtieri con quello che potremmo definire un "citazionismo ai margini della storia". Una caratteristica già notata a margine nella prima stagione, che lì risaltava forse meno data la novità costituita dallo sviluppo di un fumetto muto (il primo webcomic italiano, forse, che sviluppa questa scelta su tutta una stagione): ovvero l'uso attento da parte di Gualtieri di tutto ciò che è "cornice" al fumetto vero e proprio per contrappuntare la storia e darvi un senso preciso.



Nella prima stagione questo elemento poteva sembrare quasi una necessità, per bilanciare la difficoltà causata da una storia muta; qui invece, nonostante l'irrompere della Parola nella storia (nel senso di narrazione, e nel senso di sviluppo storico nell'evoluzione umana), il suo uso spicca maggiormente.



Le citazioni assumono un valore soprattutto paradossale: il primo capitolo ad esempio si intitola secondo un breve trattato dialettico di Schopenauer, "L'arte di avere ragione", che ovviamente tratta delle subdole arti della retorica, mentre nel fumetto vediamo che tale arte, nella preistoria (ma solo in essa?) passa tramite l'uso della forza bruta. Non c'è soluzione di continuità tra la violenza bruta e l'eloquenza forbita, e la citazione dall'opera posta a chiusura dell'episodio lo conferma in una chiusura circolare.



Oltre ai titoli, anche le citazioni poste in esergo hanno un valore orientativo forte: ad esempio, all'inizio del secondo episodio, avvicinandoci al villaggio, appare una citazione biblica di Isaia: "Sentinella, a che punto è la notte?". Citazione religiosa cui di solito viene data, oggi, una lettura simbolica "alta", ma che il fumetto ricollega al suo contesto storico: un'era (la preistoria: ma ancora l'età biblica) in cui gli scampoli di "civiltà" organizzata erano minimi presidi circondati dalla tenebra della barbarie.



C'è molta musica (nel primo Darwin, Gualtieri aveva anticipato Bob Dylan tra le citazioni: qui tutto il fumetto, se vogliamo, ha anticipato il Gabbani da Eurofestival, con la sua Scimmia nuda portata da Desmond al Pop). Il gioco sembra - ancor più che nel primo albo - quello di creare un doppio contrasto: da un lato tra citazioni e fumetto, come detto, tra parola embrionale (o assente, in Darwin 1) e parola all'apice della sua potenza in Schopenauer e Sartre, in riflessioni altissime ma cupe sul destino dell'uomo - un "pessimismo cosmico", insomma, in cui ci starebbe bene prima o poi anche Leopardi (magari qualcuna delle Operette Morali, Gualtieri?).



Dall'altro, c'è un contrasto interno alle citazioni stesse: "alto" (i filosofi, ma anche Bob Dylan o Totò) e "basso" (il pop di Britney Spears, per dire). Un gioco che, sia chiaro, non pregiudica una fruizione a un "primo livello" dell'albo di puro e comunque valido entertainement, ma introduce un secondo livello che è fortemente studiato (per chi apprezza questo gioco, l'ultima tavola, la chiusura perfettamente coerente è di grande forza e impatto testuale).



Viene in mente Michele Medda che, in una provocazione, dichiarava di non aver letto i testi intermedi di Watchmen, leggendolo come un puro fumetto. Naturalmente venne attaccato dal fandom più nerd, ma il discorso aveva un senso: Watchmen è postmoderno proprio perché è leggibile a prescindere dagli inserti, che se reintegrati restituiscono una storia lievemente diversa. Insomma, come direbbe Eco, è un'Opera Aperta, modulabile.



In senso tecnico, l'operazione di Gualtieri è analoga: con un primo livello ancora più vicino a un lettore "veloce", ancora più centrale nel webcomics che nel fumetto tradizionale; ma trova un modo, giocando di citazioni comunque agili, di rifinire il senso "filosofico" della storia che va a trattare, di cui abbiamo accennato.



Anche in questo Darwin (e, in generale, il progetto Seasons) si rivela un laboratorio interessante sulle potenzialità espressive del webcomic.