Mercurio Loi #2 - La legge del contrappasso.







LORENZO BARBERIS



Uscito il 22 Giugno 2017 il secondo numero di Mercurio Loi, la nuova serie a colori di Alessandro Bilotta (qui la recensione del primo numero). La cover è sempre del prestigioso Manuele Fior; se nel primo numero, giustamente, i disegni spettavano all'ideatore grafico Matteo Mosca, ora è la volta di un nome importante del fumetto bonelliano come Giampiero Casertano, per i colori di Stefano Simeone. Savina Bonomi affianca Bilotta nella curatela della serie, mentre il lettering è di Luca Corda. Come al solito, nell'analisi dell'albo sono presenti possibili spoiler, per cui consiglio di leggerlo e poi ritornare qui.



Il titolo dantesco, La legge del contrappasso, ci introduce l'antagonista dell'albo, albo che sarà tutto giocato sul tema del doppio, dello specchio, del mascheramento (in questo, la copertina carnascialesca è perfetta, con tutti i personaggi in primo piano colti nel momento di togliersi la maschera, che però copre ancora in parte il volto).



L'elemento dantesco del titolo (e del villain) è interessante anche perché si collega potenzialmente a un elemento che per paradosso rischia di rimanere sottovalutato (anche e forse soprattutto in una recensione come le mie, che tende a mettere in risalto il "secondo livello" di lettura): ovvero il "primo livello", l'ambientazione storica decisamente originale e potenzialmente pericolosa, la Roma papalina nella prima fase del Risorgimento, col papa tiranno che per ora resta sullo sfondo ma appare in modo estremamente negativo tramite l'azione dei suoi pessimi scherani di alto o basso livello, preti, boia e nobilame vario alla Marchese del Grillo. E se Sordi aveva potuto graffiare con qualche unghiata nel 1981, nel fumetto bonelliano finora poteva esserci qualche "sacerdote che sbaglia" (tipo nel primo Dylan Dog), ma mai un discorso così delicato sul potere papale. La pena del Contrappasso (il villain dell'albo, mosso da astio antipapale in parte spiegabile con quel poco che sappiamo della sua storia personale, ma senza che ne siano chiariti i dettagli) riguarda tutti, ma in ultima analisi è rivolta soprattutto al decadente erede di Bonifacio VIII.











La prima pagina del fumetto (5) è notevole nell'introdurre il tema del doppio tramite la più classica delle immagini ambigue, i due volti identici che formano una coppa nello spazio in mezzo a loro. I due volti compongono poi una texture che può apparire una griglia fumettistica, e che poi scopriamo essere parte di un nastro che la sarta utilizza per mascherarsi nelle protagoniste dei suoi spettacoli teatrali preferiti. Torna anche il tema del barbiere, che a me è piuttosto caro: se nel primo albo era presente in modo diretto, con Mercurio che andava a farsi la barba, qui appare nella citazione del Barbiere di Siviglia (1816). La seconda opera citata, la Zelmira (1826) sempre di Rossini, ambientata in Lesbo, può avere un subliminale in riferimento al personaggio che si immedesima nella protagonista (in una delle molte circolarità dell'albo, nel finale - p.88 - Amelia citerà Il viaggio a Reims, sempre rossiniana e del 1825).



L'interruzione di p. 9 porta a un flashback della narrazione molto raro in Bonelli (dove spesso è usato quello "remoto" per chiarire aspetti del passato, ma poco quello "vicino" per dare una data struttura stilistica alla storia). Soprattutto, è raro che avvenga senza particolari spiegazioni, come qui, affidando al lettore di ricostruire il tipo di salto temporale avvenuto: un elemento che ricorrerà spesso nell'albo.



Il personaggio del giovane impresario Niccolò Gherardi ci viene introdotto in una vignetta nera di cui spicca solo il suo volto (10.i): da notare che un taglio molto simile è anche quello che presenta i due protagonisti della serie, Mercurio e l'assistente Ottone, nel frontespizio dell'albo, sempre di Fior. Un taglio inconsueto, che sembra sottolineare l'impossibilità di una conoscenza perfetta dei personaggi, che pare un tema frequente in Bilotta.



Niccolò mente all'anziano intenditore con cui parla di Amalia Pagano, che finge di non conoscere (10-11), mentre invece ne è l'impresario (12). Una menzogna che ci sarà chiarita solo alla fine, divenendo, questa, pienamente logica: ma anche qui, tutto è lasciato alle inferenze del lettore.







Mercurio ripete la stessa menzogna di Niccolò (13), ma non per calcolo (come il giovane impresario), ma per celia, e forse anche questo contribuisce al disagio del giovane, che invece non coglie un segnale molto importante della cattiva relazione tra Amalia e Mercurio, sottolineato con forza al lettore.



L'arrivo del colonnello Belforte consente la spiegazione del suo mutismo e l'introduzione del Contrappasso, il "criminale del mese". Bilotta sembra qui giocare tra la complessità della sua scrittura e un rispetto formale delle leggi del fumetto seriale: un gioco che proseguirà per tutto l'albo.









La bella quadrupla di Piazza Navona sembra riecheggiare il Canaletto (vedi sopra) o ancor più, forse, i vedutisti romani, da cui sembrano in generale ricavati i colori solari e diurni dell'albo (non solo qui, ma in generale per quanto visto finora della serie).



Ci ricongiungiamo così alla Sartoria, di cui ci si fa apprezzare per due tavole (21-22) la ricchezza di specchi prima di iniziare a usarli in funzione narrativa (23-24), raffigurando i personaggi per spaeculum (et in aenigmate).







Le pagine successive sviluppano la sottotrama di Ottone, il giovane apprendista ribelle aderente alla carboneria. C'è un vistoso riferimento al poema in ottave "Il Maggio romanesco" di Giovan Camillo Peresio (p.29), opera del 1688 che contiene un primo prontuario scritto del lessico della Roma secentesca, la più significativa ragione d'interesse dell'opera, e che forse è stata una fonte anche per Bilotta.



La grata del confessionale (30-31) è un'altra delle molte "maschere" che appaiono nell'opera, ma determinante è quella del Contrappasso che appare a p.32, e che nel fumetto riflette sempre il volto della propria vittima. Fumettisticamente, questo fa sì che la voce metallica (notare la classica saettatura del filo del balloon) del Contrappasso sembri parlare per bocca delle sue vittime (che è quello che lui vuole, mettendo loro in bocca una confessione che esse non fanno).



Le onomatopee del fumetto, da p.33 in poi, sono resi con l'ingenuità visiva dei vecchi fumetti di supereroi (anche se "italianizzate" nel testo: "Pam!" e non onomatopee più anglofone molto in voga anche da noi, dal dopoguerra in poi). Viene in mente l'ingenuo Batman telefilmico di Adam West, recentemente scomparso il 9 giugno 2017: e in quest'albo Mercurio ha molto, a un primo livello, di Batman (anche il rapporto, come già visto, con un giovane assistente ribelle).











Questo gioco sul supereroico ricorda in parte - ma in modo più sottile - quello di Alan Moore nella sua "Lega dei Gentlemen Straordinari", dove le figure letterarie dell'Ottocento inglese divengono dei pre-supereroi: qui, oltre al Contrappasso e allo stesso Mercurio (che è anche evidente figura di Sherlock Holmes), anche Pasquino diviene una sorta di "eroe mascherato", mentre il Coupé di Mercurio diviene la sua Mercurio Mobile (p. 41), come era definito lo stesso Mercurio, del resto, metallo liquido e instabile.



La spia Del Verme (p.42) sottolinea poi la valenza altamente simbolica dei nomi, tratto tipico, anche questo, dei più ingenui fumetti delle origini, e lo scontro in casa di Del Verme rende ancor più evidente il debito, nelle scene notturne, con un certo gusto caravaggesco, per il quale il segno di Casertano è perfetto: il contrappasso della crocifissione richiama infatti le numerose scene sacre in cui il Caravaggio usa persone del popolo, anche bassissimo, per effigiare santi e sante con maggior realismo.



Il gioco di specchi riprende nella bottega del sarto (imprigionato a sua volta per le corna che non sa portare, tra l'altro) dove la Pagano vede sé stessa rispecchiarsi nelle disillusioni della sarta, fino al bacio mancato identico a quello (non)avvenuto tra lei e Mercurio (p.47), che sarà analizzato nella magnifica sequenza da 52 a 58 che taglia in due l'albo. Tutti i personaggi si guardano in specchio mentre Mercurio li inchioda implacabile alle loro contraddizioni (senza però vedere le sue).









Da lì le cose procedono implacabili verso il finale: Mastro Titta è scoperto come nemico finale del Contrappasso (è anche l'obiettivo di Ottone negli albi precedenti, in una continuity più serrata tipica di questa serie); mentre impazza il carnevale romano (67: la bella quadrupla ricorda quasi, a tratti, gli affollati paginoni domenicali del primo Yellow Kid) va ad apprestarsi lo scontro finale: quando tutti sono in maschera anche il Contrappasso passa inosservato. Mercurio ed Ottone, ovviamente, sono di fatto mascherati da Batman e Robin.



Lo scontro finale con Mastro Titta (78 e seguenti) rende evidente la corrispondenza di quest'ultimo con Hooded Justice, il supereroe iniziale di Watchmen di Alan Moore (che, a sua volta, si ispirava nella propria iconografia a un boia). Il caso viene formalmente risolto (circolarmente, era già evidente da p.19) , ma nessuna spiegazione è realmente chiarita, la maschera non viene abbassata nemmeno in questo caso.



Similmente, le varie trame personali vengono sciolte, ma in modo fallimentare per ogni personaggio. Si esplicita anche il mediocre trucco di Niccolò dell'inizio, e si mostra che era comunque vano (93-94). Il finale con Mercurio affascinato dalla ricomparsa di Pasquino ritorna "nel suo umore", aderendo nuovamente alla sua maschera più superficiale di Holmes della Roma papalina del 1826.









In conclusione, una storia stratificata e complessa, che richiede una attenta rilettura (o più attente riletture) per un pieno apprezzamento, tutto giocato su una serie di fearful symmetries per citare Alan Moore che cita William Blake: il gioco degli specchi, il gioco delle maschere (e il gioco del mascheramento supereroico che sta a fondamento del fumetto avventuroso e d'azione), il gioco della struttura simmetrica dell'albo, dove ogni set up ha un preciso pay off nella seconda parte, il gioco (pirandelliano) del teatro e del rapporto realtà/finzione, qui declinato tramite la chiave del mascheramento carnevalesco (e non solo), e che nel prossimo numero si può immaginare (ma forse non sarà così) declinato nel teatro di marionette, che mi è caro avendovi dedicato la mia tesi di laurea.



Indubbiamente, un lavoro molto interessante, di cui non resta che attendere i prossimi sviluppi.