Orfani: Sam #3: Il deserto nero.
LORENZO BARBERIS
Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo,
da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore,
ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto,
ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco,
ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera.
Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna.
Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia? (1Re 19,11-13)
Uscito il 15 giugno il terzo numero di Sam, la stagione conclusiva degli Orfani di Roberto Recchioni, in questa serie affiancato a Michele Monteleone. La copertina è come al solito di Carmine Di Giandomenico, nome prestigioso per la SF italiana a fumetti, come abbiamo già avuto modo di dire negli albi precedenti.
Il system log di Sam inizia a mostrare i primi segni della presa di coscienza che ci saremmo attesi, nel Black Mirror che riporta il suo scoordinato stream of (un)consciousness alla Joyce-Robocop.
"Il deserto nero" si apre così con la celebre citazione sulla religione di Marx, riportata però per intero: non solo il rimando liquidatorio come "oppio dei popoli", ma una visione anche ammirata di una soluzione falsa ma non del tutto malintenzionata, "sentimento di un mondo senza cuore" esattamente come sarà all'interno dell'albo. Al gusto del citazionismo contenuto ma corretto, e quindi non banale, fa fronte subito il rovesciamento della Juric, le cui cause del disprezzo per la religione possono essere perfettamente colte nella miniserie di tre albi a lei dedicata (resta il sospetto se il disprezzo è reale o dissimula il fatto che tutto quanto sta avvenendo dopo la sua dipartita è un suo piano, dubbio più volte avanzato nella serie).
L'importanza del tema religioso (presente in tutta la serie e molto nella mini di Juric, ma assolutamente centrale in quest'albo) non si associa forse casualmente al tema del deserto, stando alla famosa sintesi di Renan, "il deserto è monoteistico" (Renan (Nouvelles considérations sur le caractère général des peuples sémitiques et en particulier sur leur tendance au monothéisme, 1859), ovvero tende a produrre il culto di una divinità unica, con la sua spietata assenza di poliedricità.
Fin dalle prime tavole si coglie come il Deserto è Nero solo in senso simbolico: esso infatti appare invece assolato e sabbioso, spazzato da un vento incessante che produce tavole molto pittoriche, in cui l'elemento espressionistico della violenza della tormenta di sabbia prevale sulla leggibilità pura della pagina. Una prevalenza rara in Bonelli, e in questa forma relativamente nuova anche per la tradizione a colori che Orfani ha inaugurato. I disegni di Luca Casalanguida, Sergio Mancinelli, ben integrati ai colori di Andres Mossa, si muovono sui toni del giallo (che prevale sull'usuale dualismo di blu e di rosso)
Il vento implacabile potrebbe divenire quasi un rimando all'annunciazione del soffio divino, come appare nella Bibbia: il rischio è sempre di sovra-interpretare, ma la suggestione viene.
Quasi inutile ormai soffermarsi su come il linguaggio di Orfani abbia ormai reso consueto in Bonelli un montaggio fumettistico prima assente, derivato dalle altre grandi tradizioni americana e giapponese: qui noto molto l'uso di una splash page usata come sfondo per altre vignette (in Bonelli, prima, quasi esclusiva di un nome come Bacilieri). Qui appare a pagina 10 (vedi sopra) e ritorna numerose volte nell'albo.
Un altro elemento già introdotto e spesso radicalizzato è l'abbandono (a tratti) del segno di contorno, permessa dal colore, che contribuisce ad una forte impressione pittorica dell'albo stesso (vedi ad esempio 25.i).
Ma in qualcosa l'albo riesce ad essere ancora innovativo sul montaggio, ed è p.18, dove l'uso della griglia (e il suo mancato rispetto) viene decostruito in un modo radicale di cui non ricordo antecedenti in Bonelli (sarebbe interessantissimo trovarne, perché solitamente l'operazione di Recchioni curatore di Orfani tende al gusto di un "recupero filologico" di soluzioni già adottate, ma da lui - e dai suoi sodali - riprese con maggior intensità e insistenza).
Il superamento del primo terzo dell'albo conduce all'incontro del fanatismo religioso nato attorno alla Juric (si riprende il claim della serie: "Non non facciamo arte, facciamo cadaveri"). La Madre Severa trionfa nella sua "cattedrale nel deserto" (39.i); all'imponente statuaria si associano schermi riproducenti le foto della sua vita, come una moderna galleria di vetrate medievali dedicate alla vita di Maria o alla vita di Cristo, che in Juric Mater Severa risultano come diremo unificate. Come già nelle copertine della serie dedicata alla Juric, gli schermi assumono l'aspetto di vignette unite a comporre una tavola di fumetto (molto evidente in 44.iii), come del resto già vetrate e affreschi nelle chiese medioevali.
Non si usano (si sarebbe potuto, materialmente) le vignette degli albi della Juric, credo per non dare eccessivo peso all'elemento meta-letterario, rispetto al discorso meta-religioso, che qui preme di più.
In 44.ii si parla esplicitamente di Juric "crocifissa": se la sua natura di Madre la rende erede di Maria (e delle Grandi Madri junghiane che l'hanno preceduta), la sua morte "in sacrificio per l'umanità" la rende più affine a una figura cristologica, unitamente al creare, negli Orfani, una sorta di discepoli (anche nel cristianesimo delle origini si sottolinea del resto la necessità di "abbandonare padre e madre" per darsi tutti al nuovo culto: nel sistema di Juric, ovviamente, non è una scelta).
Questi Apostoli divengono poi un primo sistema di Santi fedeli alla Madre (46), mentre i figli ribelli divengono nuovi Giuda di tale mitologia, simboleggiati con due piedistalli vuoti. La Juric, venerata come Madre (58), è anche però colta come "Regina Rossa" dell'Apocalisse (esplicitamente citata in 59), cosa che rimanda alla Donna Scarlatta (quale certamente lei è, per colore dei capelli e per perfetta rispondenza all'archetipo della Grande Prostituta di Babilonia). Notiamo anche che, nel volgere di pochi anni, il culto di Juric rende già sovra-storiche le sue imprese (lei e i "prodi cavalieri" Orfani hanno armature medioevali).
Il segno, inoltre, del racconto mitico (59-61) assume tratti fiabeschi e quasi disneyani, la linea più "dura" e netta della Disney anni '60, come ne La bella addormentata nel bosco. La storia sembra così sottolineare come serva poco per iniziare la degenerazione mitica, date le giuste condizioni (anche l'evoluzione mitica del cristianesimo parte già dalla prima generazione di fedeli, anche secondo le ricerche più scientifiche e moderne, come quelle di Pesce e similari).
Anche Sam - che in questo sistema è il Demonio - è intanto crocifissa (70), sia pure in forma di X o Croce di Sant'Andrea (i discepoli, come San Pietro, spesso si facevano martirizzare in modi spurii, in modo da richiamare la croce senza osare duplicarla).
Nel finale, mentre cerca di alienarsi dal massacro che si sviluppa attorno a lei, Andromeda come molti personaggi della serie giunge alla visione dell'Albero delle Pene, punto nevralgico delle narrazioni di Recchioni: il suo ruolo di Male Primigenio assume sempre più le caratteristiche bibliche dell'Albero della Conoscenza.
In questa serie che sempre più si pone come la sua definitiva, stando a quanto dichiarato, Recchioni (affiancato da Monteleone) esplicita in modo sempre più chiaro una riflessione sugli archetipi religiosi cristiani trasversale a tutto il suo lavoro (in particolare, l'Albero delle Pene è al centro di Mater Morbi / Mater Dolorosa, albi cardine del suo lavoro su Dylan Dog, in cui similmente il protagonista giunga a una - più lineare, per paradosso - cristologia).
Il "MacGuffin" finale da p.88 in poi (probabilmente nell'arco della serie avrà invece anche un suo senso: nell'economia dell'albo ha solo la valenza di rilanciare l'intreccio) e ancor più il singolare mezzo di locomozione trovato da Ringo (e ripreso in cover del prossimo numero) paiono segnare anche un "ritorno all'azione" dopo un albo che, senza lesinare in ultraviolenza, si concentra più a chiarire le speculazioni fantareligiose che costituiscono forse l'elemento più significativo della riflessione di Orfani.
Orfani: Sam #3: Il deserto nero.
Soggetto e sceneggiatura: Roberto Recchioni, Michele Monteleone
Disegni: Luca Casalanguida, Sergio Mancinelli
Copertina: Carmine Di Giandomenico, colori Giovanna Niro
Colori: Andres Mossa