Yamazaki - 18 Years



LORENZO BARBERIS

Tra le molte proposte della ManFont editore, che di recente ha rilanciato la sua produzione, ha sicuramente un suo peso questo nuovo capitolo della saga creata dal Gentleman Kaiju Club, che offre una personale reinterpretazione di film, fumetti e cartoni "di mostri" giapponesi, un filone specifico che ha avuto un grande successo, come noto, anche qui da noi. Kaiju è del resto appunto il nome di questi mostri nipponici, come denota anche il logo dello studio con un Godzilla con farfallino. Il riferimento principale è naturalmente alla più iconica di tali serie, l'Ultraman del 1966, cui rimanda l'aspetto dei protagonisti.

A parte la prestigiosa cover realizzata dal fumettista statunitense Mahmud Asrar, la storia si avvale nei primi due capitoli ("file") della sceneggiatura di David Cajelli, per i disegni rispettivamente di Valerio Schiti e Paolo Villanelli, cui segue un terzo capitolo con testi e disegni di David Messina, coadiuvato per la colorazione in bicromia da Mattia Iacono. L'elegante book design e il lettering sono invece di Luca Bertelè.

La storia segue le grandi situazioni classiche di questa fantascienza nipponica "da invasione", che rimanda nelle sue basi remote al mito degli Oni, dei/demoni che ciclicamente invadono la terra, fronteggiati da samurai antichi e futuribili. Un mitologema che può ricordare, in qualche modo, il mito dei Titani nel nostro immaginario classico, ma che in ogni caso ormai vive - come qui - di vita autonoma.



Troviamo dunque anche in questo fumetto kaiju invasori mostruosi e un manipolo di eroi ciclopici (qui sono direttamente loro ad avere dimensioni colossali, invece di pilotare il classico "robot" - o meglio mecha - gigante). Il ritmo, come ci si può attendere, è serrato e dinamico; il montaggio di tavola rimanda ancor più a soluzioni americane che non strettamente nipponiche (il taglio della tavola, pur movimentatissima, è tendenzialmente ortogonale, senza i tagli obliqui tipici del manga).

Anche il segno, se ricorda sicuramente il mecha design orientale nelle armature e nei dettagli tecnologici, resta nei canoni del fumetto occidentale, con netti contrasti chiaroscurali, un fitto uso dei toni di grigio (elemento, questo, tipico del manga nipponico, specie di fantascienza ma non solo) con l'aggiunta del rosso che costituisce un classico elemento di variazione sul tema (dalla Sin City di Frank Miller al Morgan Lost bonelliano di Chiaverotti, ovviamente ogni volta con un suo approccio specifico diverso).


La sequenza più genuinamente disturbante è la lunga conclusione del numero realizzata da David Messina come autore completo. L'uso del rosso si rivela qui particolarmente utile nell'evocare l'elemento del sangue, mentre la raffigurazione di Azrail è profondamente unheimlich e qui sì davvero molto vicino alle più riuscite figurazioni demoniche dell'orrore giapponese in senso lato.

Insomma, indubbiamente un fumetto interessante per gli appassionati del genere, specie chi apprezza un sentito omaggio italiano all'immaginario nipponico. A tale proposito, si veda anche l'Astromostri di Serra e Rosenzweig per le Storie Bonelli, con un registro radicalmente diverso ma una radice comune, di cui avevo scritto qui. Personalmente, trovo interessante queste commistioni soprattutto per l'influsso che possono avere sul fumetto di fantascienza nostrano, favorendo una contaminazione di temi e stilemi nipponici che possono condurre (e ormai, in molti casi, hanno condotto: da Hammer a Nathan Never, fino al recente Orfani) a un proficuo mash up.