Dylan Dog 375 - Nel mistero





LORENZO BARBERIS



Questo albo 375 di Dylan Dog segna il secondo ritorno di Tiziano Sclavi al suo personaggio, come ricordato in copertina, a un anno dal numero 362, "Dopo un lungo silenzio" (vedi qui) che ha coronato il "nuovo corso dylaniato". Naturalmente, in questa  analisi potrebbero esserci degli spoiler, e consiglio quindi di leggere prima l'albo.



A Sclavi si affianca in questo numero un altro ritorno, quello di Angelo Stano, disegnatore del numero 1 e a lungo copertinista della serie, dal numero 42 fino, appunto, a quel numero 362 dalla copertina bianca, illustrata da "Nessuno" (nell'eterno gioco di rimandi, "Storia di Nessuno" è un grande classico sclaviano-staniano, che qui viene ripreso). Il 362 di Sclavi segnava il  passaggio di consegne al nuovo copertinista, Gigi Cavenago, e al suo seducente stile pittorico che anche qui non manca di manifestarsi.







Proprio la cover di Cavenago, infatti, rimanda alla conclusione del numero (p.97-98), applicando al personaggio una dissoluzione cosmica. Un albo che ha un sapore subliminalmente "conclusivo" anche per l'inevitabile rimando all'altro, fondante, albo a colori di Sclavi e Stano, quel numero 100 "sempre a destra sullo scaffale", la conclusione di Dylan Dog - almeno in uno dei suoi multiversi possibili. Probabilmente è casuale, ma questo Dylan cosmico pare rimandare, quasi, alla cover di Stano in Spazio Profondo, l'albo di Recchioni (a colori) di transizione piena al nuovo corso. Là un Dylan cosmico che nasce, qui un Dylan che si perde nel cosmo.







Per la prima volta possiamo tra l'altro anche apprezzare il frontespizio di Cavenago a colori sulla testata. Bella la scelta del rosso come colore di sfondo, che fa risaltare ancor più le pagine bianche su cui Dylan scrive la sua storia (e il diario, nello scorso numero, è stato sottolineato nella sua importanza).









Come dicevamo, non è certo questa la prima storia a colori di Sclavi: se nel 100 lo stesso Stano aveva colorato l'albo, come Brindisi per il numero 121, il numero 250 - ultimo sclaviano prima di un lungo addio alla testata, all'apparenza allora definitivo - era stato colorato dallo Studio Tenderini. In questo 375 però, per la prima volta, appare l'applicazione di un colore secondo i moderni canoni della Bonelli (nate con Orfani e, appunto, col rinascimento dylaniato), con il prevalere di un colore come tono emotivo su un colore realistico, per mano di una colorista del calibro Giovanna Niro. 









L'antagonista dell'albo appare fin da subito evocare molto da vicino il nuovo antagonista introdotto da Recchioni, John Ghost, con cui ufficialmente non coincide. Appare sul tetto di un grattacielo (5) e mostra fin da subito la stessa freddezza da yuppie anni '80 (o da cecchino professionista, appunto, se vi è una differenza sostanziale tra i due ruoli). Notevole tavola 7, dove (come torna poi a p. 9), il mirino letale suddivide una quadrupla nelle sue quattro vignette tradizionali. Un espediente che non tornerà, ma che informerà di sé tutto l'albo: la storia è da leggersi dal punto di vista del freddo e spietato killer, "col suo mirino" appunto.







Tornano le strofe della danse macabre, un grande classico sclaviano, da p.8 in poi, ispirate ai Simulacri di Hans Holbein il Giovane, uno dei modelli originali di questo stilema, ripreso anche nei caratteri marcatamente gotici.



A p.11 anche una classica citazione sclaviana, inserita direttamente nel fumetto, con un rimando a Lloyd Webber, al suo "Phantom of the Opera" e "Whistle Down The Wind": se la prima è sicuramente collegata all'estetica di "symphaty for the freak" di Dylan, la seconda potrebbe avere delle attinenze con il tema e la riflessione di quest'opera.









Il barbone veggente al centro della storia che appare in 12 ricorda da vicino quello di "Storia di Nessuno", il numero 43, fondamentale numero Sclavi-Stano al centro del ciclo di Xabaras (e non a caso, anch'egli si chiama "Nemo", nessuno). Anche il paradosso della moneta che resta in equilibrio, opzione intermedia tra "testa e croce" che contraddice la regola aristotelica del "tertium non datur" è un grande classico di Sclavi (un tema apparso in molte storie, anche con altre metafore, e centrale nel "ciclo alieno" di "Tre per zero").



L'ascensore che potrebbe segnare la fine di Dylan Dog pare rimandare al numero 250, dove un ascensore in un palazzo di giustizia lo conduceva a quell'apparente giudizio definitivo davanti al tribunale infero (con un rimando, chiaramente, alla claustrofobia del personaggio). La successiva possibile morte "a causa di un aereo" è di nuovo un altro elemento del mito dylaniato delle origini, alle origini della sua paura del volo (e l'agorafobia più in generale). Il rimando è all'ineluttabilità del fato greco, dove non bastava dormire all'aperto per scansare la profezia di morire per la caduta di una casa (nel mito, è una tartaruga lanciata un'aquila che l'aveva ghermita a segnare il verificarsi dell'imponderabile, la "moneta in bilico" sclaviana appunto).









L'assassino misterioso continua i punti di incontro con Ghost: iscritto a club esclusivi, associa freddezza e prestanza fisica, viaggia su auto di lusso la cui targa, RIP 999, non è solo un indizio vistoso ma è simmetrica alla DYD 666 del protagonista. Il nome Helmut Tod, oltre al palese indizio mortifero (è il nome del medico nazista di "Doktor Terror"), fa pensare a un racconto buzzatiano, "La corazzata Tod", che - diversissimo nella struttura - evocava simili riflessioni sulla morte e il destino (comuni, con esiti lievemente diversi, ai due grandi milanesi del fantastico, Buzzati e Sclavi).



I reietti dei bassifondi sono tratteggiati sempre con l'amara e triste simpatia sclaviana, ma qui appaiono meno idealizzati, e accomunati dall'ossessione complottista che ricorre in molti di loro. Mentre invece appare ormai evidente che nel mortifero Tod vi è certo ingiustizia, ma alcun complotto (che sarebbe in fondo consolatorio): è la morte ineluttabile, indifferente, spietata ma anche talvolta pietosa (63, anche se non si esime dal suo dovere), e talvolta (nel finale, in sede quindi importante) anche pietosa (81-82, con un riecheggiare dei temi del Mater Dolorosa di Recchioni). Un tema, del resto, che era affiorato già in molti albi sclaviani, tra cui il secondo speciale con Mystere, "La fine del mondo" (che cita tra l'altro l'omonimo racconto di Buzzati).



Magnifica l'ultima doppia splash smarginata, perfettamente orchestrata, di p.84-85. Il 22 marzo come data dell'apocalisse e della fine è un rimando al fatto che essa è nient'altro che un nuovo inizio, essendo il primo giorno di primavera (cfr. con il Groucho riflessivo di p.80: la morte del bruco è la nascita della farfalla). La conclusione rimanda in modo abbastanza lineare al finale di "Altroquando".



Nel complesso, dunque, uno Sclavi all'apice del suo caustico nichilismo, qui non stemperato dall'ironia degli anni '80 ma intriso di una vena malinconica che può far pensare ad un altro dei suoi ultimi albi, quel "Marty" (244) che sembrava davvero un testamento spirituale, dove il killer spietato e cool (diverso qui ovviamente nell'aspetto da John Ghost, ma affine come figura) era connesso a un altro loser, il Nessuno che dava il titolo all'albo. Questa storia, se è possibile, è ancora più dolcemente priva di speranza, ancora più crepuscolare.



E ora, attendiamo il sequel del postmoderno ratigheriano, con il nuovo capitolo di Graphic Horror Novel.